L’Epifania – Racconti al balcone

Il profumo dei biscotti le solleticò il naso. Fanny si stiracchiò, ancora indecisa se riemergere dal tepore del piumone o riprendere a dormire. Sentì il vocio della madre e della nonna, sicuramente erano in piedi da ore a preparare dolcetti. Fanny sbuffò, era convinta che la sua fosse l’unica famiglia dove ancora si sentiva viva la tradizione della calza della befana. Decise di alzarsi. Scese le scale e si rifugiò subito davanti al camino acceso in cucina, sfregandosi le mani per riscaldarle. “Ti faccio il caffè e latte?” chiese la nonna. Annuì sorridendo, non aveva mai capito il perché ma la colazione preparata dalla nonna era più buona, come se il gusto del cappuccino fosse impregnato del suo affetto. Il primo sorso le scottò la lingua. “Stasera tocca a te” disse la nonna, “tua mamma è raffreddata, ha bisogno di riposare e stare al caldo”. Fanny la guardò corrucciata.
“Che significa tocca a me? Che dovrei fare?” chiese. Aveva già programmato di uscire con gli amici, era l’ultima sera libera prima di tornare a scuola e il giorno dopo l’avrebbe trascorso a studiare: l’esame di maturità non era una passeggiata. “Devi prendere il suo posto e andare in giro per la case a portare i doni ai bambini” rispose la nonna, mentre infilava qualche pezzo di carbone dolce in una calza. Fanny si chiese se punire i monelli in quel modo si potesse considerare corretto, visto che la moderna psicologia invitava a comprendere e correggere la mal disposizione dei piccoli spiegando loro l’essenza dell’errore o del cattivo comportamento. Almeno così aveva imparato nelle lezioni di pedagogia. E poi che senso aveva dare del carbone dolce? Aveva solo un valore simbolico, tanto lo potevano mangiare lo stesso. Bevve un altro sorso prima di rispondere. “Nonna, non ho nessuna intenzione di vestirmi da vecchia stracciona. Brutta come una strega, con la gobba e il naso storto. Per chi poi? Ormai Babbo Natale la fa da padrone. Con il suo pancione rosso e la risata ohohoh. Quello arriva all’inizio delle vacanze e così tutti possono godersi i regali per un sacco di giorni. Devi ammettere che è più simpatico. Con il suo castello al polo nord e le schiere di folletti che lavorano per lui. Chi vuoi che si ricordi della befana? Siete rimaste solo tu e mamma a cucinare dolci veri. La gente compra due cioccolate confezionate e se la cava con poco”.
Soffiò sulla tazza prima di bere di nuovo. La nonna scosse la testa: “Sbagli. La befana è una tradizione tutta italiana, è importante preservarla. Il suo nome deriva da Epifania, che significa apparizione. Come la cometa che indicò ai Magi la via della capanna di Gesù. Pensa che ad Urbania c’è una festa tutta per lei. Non è una strega, ma una vecchietta gentile che non ha bisogno di divise sontuose con i bordi di pelliccia. Il tuo Babbo Natale è importato dall’estero. Uno straniero al quale è stata concessa la cittadinanza onoraria. Ti ricordi il tuo tema in terza media? Quello sui maltrattamenti sugli animali? Ti sei schierata contro gli abusi perpetrati da Babbo Natale sulle renne, costrette a trainare una slitta per tutta la notte”.
Fanny sorrise, la nonna aveva sempre avuto in antipatia il vecchio barbuto. Si ricordava del tema, stava attraversando una fase ambientalista estrema, tanto da diventare vegana. Peccato che le polpette al sugo della mamma avessero poi avuto la meglio. Allora era convinta che volare su una scopa fosse più ecologico e anche sicuro, visto che nessuno rischiava di essere investito dalle necessità corporali di un animale di dimensioni considerevoli che liberava l’intestino per aria. Ma per quanto la befana fosse più politically correct, non aveva alcuna intenzione di travestirsi e di uscire con quel freddo per andarsene in giro fra le case del paese. Guardò sua madre, aspettandosi un aiuto, ma la donna sembrava febbricitante, con gli occhi arrossati e il volto pallido. Finì di bere il latte e le si avvicinò. “Vattene a letto, dai, finisco io” le disse. La mamma le accarezzò una guancia e se ne tornò nella sua stanza. Quando finirono, la nonna ripose tutte le calze in un sacco di iuta e preparò il pranzo. Fanny portò una tazza di brodo a sua madre. “Lo sai che la nonna ci tiene, a questa cosa della befana. Lo facciamo da generazioni, i bambini di qui se lo aspettano. Non li puoi deludere. Io non me la sento proprio, altrimenti sai che lo farei” le sussurrò la mamma. Fanny annuì, ormai era convinta di doversi sacrificare. Aprì l’armadio, trovò la gonna lacera, lo scialle lavorato a maglia, il fazzoletto da avvolgere sulla testa, i calzettoni di lana grezza e anche le pantofole sfondate.
La nonna le consigliò di indossare una calzamaglia e un pile sotto i vestiti. “Così avrai più caldo” le disse. Le diede dei guanti imbottiti, “magari puoi levarli entrando in casa” le consigliò. Fanny si guardò nello specchio. Il travestimento andava bene, ma avrebbe dovuto invecchiarsi e imbruttirsi con il trucco. Si mise un naso finto, pescato nella scatola delle maschere del carnevale. Se lo tolse subito. “Nonna” esclamò, “diamo uno schiaffo morale a Babbo Natale. Quest’anno la Befana sarà giovane e bella, anche se vestita da barbona, come vuole la tradizione. Tiro un po’ giù il fazzoletto e non mi riconosceranno”. Spiò fuori dalla finestra, non c’era vento e neanche nuvole. Non avrebbe trovato neve. Uscì nel cortile. La nonna le sistemò il sacco sulla spalla e le porse la scopa, una vecchia ramazza di saggina. “Mi raccomando, buona fortuna e afferrati bene” le disse, dandole un bacio sulla fronte. Poi continuò a salutarla con la mano, mentre Fanny volava via nella notte stellata.