di Ida de Giorgio per IL7 Magazine
Caro Filippo,
immagino già la tua espressione alla “mo’ che vuole sta rompipalle” e quindi ti rassicuro.
Questa lettera non è l’avvisaglia di un ritorno di fiamma, cosa che userei volentieri per incenerire il ricordo della nostra relazione, ma una serie di considerazioni, fatte mentre adempivo alla banale occupazione di riaccoppiare calzini spaiati.
Questo San Valentino domestico, col felice ricongiungimento di coppie che giacevano sparse in un cassetto del comò, mi ha fatto pensare ai tempi che furono, quando anche noi viaggiavamo appaiati come due piedi dello stesso corpo. Almeno così sembrava a me, allora. Col tempo ho capito che mentre io proseguivo diritta, convinta che il tuo passo seguisse la linea tracciata dal mio, tu tendevi al ginocchio valgo, dando al tuo procedere una connotazione sfuggente.
Così ho finito col perderti per strada. Senza rimpianti, ma con la convinzione di aver vissuto una storia valida, reciprocamente ricca di significato anche se consuntasi col tempo.
Ecco, oggi ho avuto una rivelazione: come un lampo di luce che ha squarciato la penombra e mi ha permesso di vedere le cose nella loro vera essenza. Mi si è palesata una incredibile verità: aver dato valore alle cose che dicevi, travisandole da quello che era il loro reale significato. La nostra sembrava una relazione serena o, per lo meno, senza litigi. In caso di pericolo, infatti, la tua abilità era pronunciare frasi emblematiche e insieme sibilline, che io mi affrettavo a interpretare attraverso il velo rosa dell’amore.
Ogni volta che intraprendevo una qualche discussione riguardante certi tuoi atteggiamenti, il tuo modo di tagliare corto era dire: ”Non sono in grado di tenerti testa dialetticamente” con lo sguardo basso del cane bastonato senza colpe.
E cosa parlavo a fare io ad uno che non sapeva come rispondere? Oltretutto, la mia presunzione mi faceva ritenere quelle parole un complimento. Quanti sono gli uomini disposti ad ammettere la superiorità delle loro compagne? Sia pure, diciamo così, nel fumo e non nell’arrosto.
Così finiva tutto a tarallucci e vino, tu riprendevi a comportarti come sempre ed io a farmene una ragione.
Oggi ho capito all’improvviso che quella resa incondizionata, quell’apparente ammissione di inferiorità era l’apoteosi della tua astuzia, della serie” la zittisco, continuo come mi pare e passo pure per quello innocente”.
Perché è vero che amavo utilizzare un linguaggio forbito per i miei monologhi recriminatori, ma il succo del discorso è che ti rimproveravo di essere uno stronzo e tu sapevi benissimo di esserlo.
Direi che, volendo fare una graduatoria delle tue frasi gloriose, questa occupa senz’altro il primo posto.
Subito dopo metterei il “se ti raccontassi…” quando ti chiedevo qualcosa di più personale sulla tua vita prima di conoscerti. Parole enigmatiche, pronunciate sottovoce e con un profondo sospiro. E anche in questo caso, l’effetto era quello di mettermi a tacere. Non è che non fossi curiosa, ma pensavo che ricevere un giorno le tue confidenze spontanee, avrebbe consolidato il nostro rapporto. Una estrema prova di fiducia. In fondo mi raccontavi tanto delle tue attività quotidiane, che importanza aveva il passato? E poi, vuoi mettere la sindrome della crocerossina? Qualunque trauma avessi subito, prima di conoscermi, ci avrei pensato io a fartelo superare!
Ecco, raccontami adesso, eri un serial killer? Una spia sovietica? Un diversamente sessuale? Cosa ci poteva essere di così segreto e sconvolgente a parte le sbruffonate con gli amici, il lavoro e magari qualche sveltina qua e là, anche in corso d’opera durante un fidanzamento? Perché la storia dell’alone di mistero ora non vale più.
Al terzo posto la mia preferita: “Non sono in grado di esprimere a parole il bene che ti voglio”.
Come non commuoversi ascoltando questa frase? Quanto può essere tenero un uomo che confessa di non essere capace di limitare in una espressione verbale l’immensità del sentimento che prova per te? E io mi scioglievo, di fronte ad una tale dimostrazione d’amore, anche se, stranamente, l’occasione per questa esternazione sentimentale era sempre una tua mancanza. Ora però ti chiedo: quale difficoltà c’è a dire “ti amo”? O pensavi che pronunciarlo avrebbe prodotto una reazione anafilattica tale da ucciderti?
Ecco, il senso di questo scritto è dichiarare di aver scoperto il tuo gioco: non volevi impegnarti, non volevi dire nulla che potesse in qualche modo comprometterti. Come nei polizieschi: “Tutto ciò che dirà potrà essere usato in tribunale contro di lei”.
In effetti: non mi hai dato motivo di litigare, non mi hai mai raccontato cose che mi facessero dubitare di te, non mi hai mai fatto promesse.
Sei riuscito a fare l’amante senza coinvolgimenti di nessun tipo. Il tuo viaggio nella mia vita è stato come una traversata senza scali: niente soste, niente dazi da pagare.
Quindi, caro Filippo, se ti sei preso la briga di arrivare alla fine della pagina, sappi che oggi, appallottolando calzini, ho finalmente visto ciò che sei: un vero genio.
Chapeau a te, Filippo, ma stai attento a non attraversare mai davanti alla mia auto.