Signor Romolo, lo faccia per Brindisi: accetti un secondo mandato

di GIANMARCO DI NAPOLI per il7 Magazine

Signor Romolo, le scrivo questa mia, intanto per farle gli auguri per il suo 88esimo compleanno che spero abbia festeggiato circondato dall’amore della sua famiglia e dall’affetto e dalla stima di migliaia di amici di quelle quattro/cinque generazioni che ha saputo conquistare dietro, e soprattutto davanti, al bancone del suo bar Rouge et Noir. I messaggi sotto l’articolo che ricordava il suo genetliaco, redatto puntualmente dal caro collega Antonio Celeste (insostituibile metronomo di questa città, con la sua Agenda Brindisi) riportano il senso della profonda ammirazione che lei continua a suscitare in una moltitudine trasversale di persone, da quelle ormai avanti con l’età e che hanno consumato i tavolini vista teatro sorseggiando Illy Caffè preparato inderogabilmente con robusta acqua del rubinetto, a quelli più giovani che da bambini aspettavano pazientemente il loro turno davanti al suo bancone con otto-gusti-otto di gelato, preventivamente istruiti dai genitori a non alzare la voce, a non correre, a salutarla rispettosamente e soprattutto a non chiedere mai, ripeto mai, il gelato al pistacchio.
Caro signor Romolo, ricordo con nostalgia uno strepitoso articolo che le dedicò una trentina d’anni fa Oronzo Martucci, mio maestro e all’epoca capo della redazione di Quotidiano. In quel pezzo raccontava, tra il serio e il faceto, di come il suo elegante bar, disegnato negli anni Sessanta dall’architetto Galli e mai più modificato, era divenuto il luogo in cui si discuteva di politica, si stringevano alleanze, si ridisegnavano le gerarchie nei partiti, molto più che al Palazzo di Città, più persino della sede della Democrazia Cristiana che si trovava proprio su un balcone che si affacciava sul suo bar, più della fumosa sede del Psi in via San Lorenzo, proprio di fronte a Ricchiuto. Prendendo spunto da quel nome, “Rouge et noir”, banalmente tradotto dai brindisini nel meno nobile “Rosso e nero”, Martucci raccontava degli inciuci da Prima Repubblica avvenuti ai suoi tavolini, al profumo dei suoi leggendari rustici, e dei quali accordi lei, signor Romolo, era stato uno schivo e discreto notaio.
La sua però non era una presenza passiva, non era l’oste che pensa a mescere il vino a comanda, magari origliando le altrui conversazioni. No, lei è stato un rigido e selettivo testimone di un percorso di crescita della città che potremmo paragonare a ciò che ha visto svilupparsi davanti alla sua vetrina la quale all’inizio si affacciava sui ruderi di San Pietro degli Schiavoni, poi per decenni sul rustico di quel teatro che non veniva mai completato e infine su ciò che Mimmo Mennitti trasformò nel salotto buono della città (che nostalgia).
Sapesse quanto ci manca, signor Romolo, il suo processo selettivo, con il quale allontanava dal suo bar gli inetti, gli imbecilli, i maleducati, qualunque collocazione politica avessero, qualsiasi fosse la loro condizione sociale. Non li cacciava, semplicemente li rendeva consapevoli della loro trasparenza.
Ora non voglio farla sentire responsabile di ciò che a Brindisi è accaduto negli ultimi anni, lei aveva tutto il diritto di ridurre gradualmente le sue presenze nel bar che così negli ultimi anni ha smesso di essere il calendario autentico della settimana, che iniziava il mercoledì e terminava il martedì successivo, giorno di chiusura. Serranda abbassata e la politica si fermava.
Caro signor Romolo, non so se segue con immutata attenzione le misere vicende della nostra cittadina, ora che può permettersi di spantofolare, guardare la tv, leggere libri e godersi la quiete della casa. Ma avrà visto, le avranno raccontato, no? Quelli del «Rouge» che abbiamo avuto per cinque anni e adesso quelli dell’ «et Noir» che ci tocca sopportare, vivaddio, per il prossimo lustro. Avrà sentito di folli piste ciclabili, torce e bomboloni, pattinaggi sul ghiaccio ed esplosioni industriali. Ora, ripeto, non voglio attribuirle responsabilità su quanto accaduto, signor Romolo, ma stiamo parlando di gente che lei non avrebbe neanche fatto passare davanti al suo bar, persone cui avrebbe consigliato altri luoghi, anche per un semplice caffè. E forse avrebbero capito.
Brindisi sta morendo di inedia, di pressapochismo, di ignoranza: una città sporca, con le strade rotte e Ortopedia che lavora sulle vittime da marciapiedi come i carrozzieri con le grandinate. Una città che dimentica persino la sua storia: nessuna cerimonia per i 90 anni del suo monumento più importante, fuori dal circuito dei comuni virgiliani, nonostante ostenti baldanzosamente la pseudo casa di morte del sommo poeta. Una città in cui, una legislatura fa, nessuno decideva e in cui oggi nessuno ugualmente decide, priva di un’anima, di orgoglio, di senso d’appartenenza. Per intenderci, una banda di divoratori di gelato al pistacchio.
Signor Romolo, abbiamo ancora bisogno di lei. La prego. Ricorda quando, nella disperazione totale della mediocrità in cui anche la politica nazionale si dibatteva, si decise di andare in pellegrinaggio da Sergio Mattarella per chiedergli di rimandare la pensione, di interrompere il trasloco che aveva già programmato, pregandolo di tornare? Ecco, lo faccia per Brindisi, la città che l’ha accolta 60 anni fa proveniente dai colli ostunesi e nella quale ha lasciato una traccia immarcescibile: compatibilmente con i sui 88 anni, ogni tanto torni a indossare il gilet sulla camicia celeste con le maniche ripiegate al gomito e il grembiulino bianco sui pantaloni, si faccia rivedere dietro e soprattutto davanti al bancone.
Solo lei può rimettere in ordine la politica sbrindellata di questi anni, rispedire al loro posto i furbetti, i gonzi e qualche sporcaccione che ne hanno approfittato per mettere le tende dietro l’angolo del suo bar, al municipio. Se non può fare il sindaco torni a fare il barman-notaio.
Signor Romolo, la prego: accetti un secondo mandato.