Incendiata l’auto della sorella del pentito. Ma i fratelli lo avevano già disconosciuto

“Visto che tra noi non c’è alcun tipo di rapporto da tempo, non vogliamo alcuna protezione o cose simili. Siamo gente che lavora onestamente, che non ha nulla da nascondere e che non si deve nascondere da nessuno a differenza di qualcuno”. Ci avevano provato i fratelli di Giuseppe Passaseo, con parole di ghiaccio, a segnare il distacco da lui, dal “pentito”, dal collaboratore di Giustizia membro della loro famiglia che dopo il suo arresto riferì, passando dalla parte dello Stato, quel che sapeva della Scu, del clan che a Brindisi e dintorni spacciava, estorceva, ammazzava. Avevano cercato di marcare il territorio lungo un profondo confine al di là del quale c’è lui, Giuseppe, al di qua, loro, i suoi fratelli.

A legarli, più nulla. “Lui non fa più parte della famiglia da tempo, non abbiamo alcun rapporto, non sappiamo neppure dov’è e cosa sta facendo perché non ci interessa”. Parole che sarebbero dovute giungere anche alle orecchie di chi, con le sue dichiarazioni, vedeva stringersi attorno il cerchio della Giustizia. Ma forse il messaggio non è giunto a destinazione. O almeno così è, se l’incendio dell’auto della sorella di Passaseo dovesse con certezza essere collegato a lui. Una vendetta della mala, una ritorsione: non possiamo colpire te, allora colpiremo i tuoi famigliari.
Temevano simili conseguenze. E per questo avevano sottolineato che tra loro e lui non c’era più niente, fatta eccezione per l’incancellabile legame di sangue.

“Non c’è mai stato rapporto tra noi e lui una volta che abbiamo iniziato a lavorare”, dissero all’epoca, nel novembre del 2010. “Ognuno ha fatto la sua vita, le strade si sono separate e non si sono incrociate. Noi stiamo a Brindisi, lui da qui è sparito da tempo, saranno almeno sei anni che non ci sentiamo: l’ultima volta è stata per telefono, dopodiché il silenzio, ecco perché per noi non è possibile parlare neppure di un rapporto familiare”.
“Adesso ha fatto la sua scelta, ha deciso di collaborare con la giustizia e la cosa riguarda lui e solo lui: noi non c’entriamo assolutamente nulla, così come non abbiamo mai avuto nulla a che fare prima”.
“Noi – sottolinearono – non abbiamo mai dato fastidio a nessuno e lavoriamo dalla mattina alla sera per mantenere le nostre famiglie. Ecco il motivo per il quale abbiamo voluto fare la precisazione”.

“Se proprio vogliamo essere onesti fino in fondo, lo abbiamo disconosciuto nel momento stesso in cui è sparito dalla circolazione. Non è più parte dalla nostra famiglia a maggior ragione adesso che è diventato un collaboratore di giustizia o intende diventarlo, cosa che neppure ci riguarda”.
“Tutto quello che di lui si dice, lo abbiamo saputo da Senzacolonne”, dissero. “Ma una cosa è bene che venga puntualizzata in relazione alla possibile evoluzione della vicenda: visto che tra noi non c’è alcun tipo di rapporto da tempo, non vogliamo alcuna protezione o cose simili. Siamo gente che lavora onestamente, che non ha nulla da nascondere e che non si deve nascondere da nessuno a differenza di qualcuno”.