
“Io non ho ordinato né commesso l’omicidio di Giancarlo Salati”. Francesco Gravina nega. Nega ancora, nega tutto. “Gabibbo”, così noto a Mesagne e negli ambienti di mala per la corpulenta stazza, è stato ascoltato questa mattina alla presenza del suo avvocato Elvia Belmonte durante il processo che vede Massimo Pasimeni e il collaboratore di Giustizia Ercole Penna alla sbarra per l’omicidio del 62enne Giancarlo Salati, alias “Menzarecchia”, avvenuto a Mesagne il 16 giugno di 4 anni fa. Per brutale assassinio il gup del tribunale di Lecce ha già condannato a 30 anni di reclusione lo stesso Gravina e Vito Stano, e a 10 anni il pentito Cosimo Giovanni Guarini.
Penna e Pasimeni (difeso dall’avvocato Marcello Falcone) hanno invece scelto il procedimento ordinario. Nella vicenda, secondo l’accusa, i due capi della frangia mesagnese della Sacra Corona Unita furono, assieme a Francesco Gravina, i mandanti della spedizione punitiva. Emisero la sentenza di condanna a morte perché Salati aveva commesso, nella logica mafiosa, sgarri sanzionabili solo con la pena capitale. E a spiegarlo agli inquirenti è stato proprio lo stesso Penna, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia.
Ma Gravina, sentito come imputato dello stesso reato nei cui confronti si è proceduto con il rito abbreviato, ha sempre respinto ogni accusa. Al gip che ne dispose l’arresto disse di non averlo nemmeno visto Menzarecchia quella sera. E per un semplice motivo: attraverso quella porta, troppo angusta per permettere il passaggio a uno della sua stazza, non sarebbe nemmeno riuscito ad entrarci.
Oggi ha ribadito la sua estraneità al delitto: sia in veste di mandante che di esecutore materiale. E per questo il suo legale procederà con l’impugnazione della sentenza in Appello non appena saranno depositate le motivazioni. Si terrà invece il prossimo 13 novembre la prossima udienza a carico di Penna e Pasimeni. La parola passerà al pubblico ministero per la requisitoria. E la conclusiva, eventuale, richiesta di condanna.