Abbiamo parlato di resilienza come capacità educativa di sviluppare una progettualità nonostante vulnerabilità personale e avversità apportate dal contesto di vita. Abbiamo detto che resilienti non si nasce perciò, ma si viene educati per esserlo, con azioni che rafforzino questo linguaggio: “Io sono”, facendo riferimento alle risorse interne. “Io ho”, per rimandare alle risorse esterne e al supporto sociale. “Io posso”, per esprimere le competenze sociali al fine di interagire con gli altri, specialmente con chi può offrire aiuto. Per sviluppare la resilienza serve prendere l’iniziativa, non adagiarsi nel ruolo di vittima e farsi affiancare dal mondo sociale.
Ma come si può aiutare tutto questo nello spazio sociale che per più tempo i ragazzi frequentano, cioè la scuola?
In questo ambito le dinamiche relazioni che si sviluppano incidono profondamente sull’attitudine alla resilienza e quindi sul processo di apprendimento, difficile per chi è sfiduciato e incapace di sostenere una frustrazione.
Il percorso formativo degli insegnanti non comprende una formazione specifica sulle dinamiche relazionali e così tutto è rimandato al buon senso e alla buona volontà individuale nella gestione di un problema.
Al contrario un metodo di intervento concreto può aiutare a sperimentare situazioni relazionali costruttive e motivanti che spingano i ragazzi a fare valutazioni diverse e a ricercare in un contesto qualitativamente migliore il proprio benessere.
Difficile da comprendere e attivare? Ci spieghiamo meglio: gli adulti hanno bisogno di veder riconosciuta la validità del proprio agire, i giovani hanno bisogno di potenziare la propria identità personale grazie alla progressiva formazione e conquista di un’identità sia individuale che collettiva; quando questo connubio si attua l’atteggiamento di entrambi davanti alle difficoltà sarà quello di risollevarsi e ricostruirsi.
Il soggetto, l’io, non è completo se non si incontra con l’altro, il diverso da sé. Occorre accettare il pensiero di entrare in relazione con l’altro e interagire empaticamente, per parlare delle difficoltà personali e relazionali, per esplorare e definire il problema, verificare e rielaborare ipotesi e decisioni, valutarne l’evoluzione. Questo allenamento emotivo-relazionale che coinvolge adulti e ragazzi si dovrebbe attivare a casa come a scuola su una linea unica che aumenti la capacità genitoriale, faciliti i processi educativi e faccia vivere i giovani in un nido sicuro dal quale allontanarsi al momento opportuno con altrettanta sicurezza.
Bisogna sviluppare la cultura degli affetti, del rispetto, dei valori, dell’identità, rinsaldare le radici che accompagnano e distinguono e che fanno essere così come si è, che danno la consapevolezza di un’appartenenza….quelle radici che poi danno ali sicure per spiccare il volo.
Dott.ssa Federica Protopapa
Dott. Luigi Persano