Scu a Francavilla, confermata la condanna a “zio Carlone”

La nuova Sacra Corona Unita aveva una sua cellula a Francavilla Fontana. E teste di ponte ne sono stati Giancarlo Capobianco di 50 anni, Gaetano Leo di 48 anni e Salvatore Capuano di 44. A quattro esatti dall’operazione di polizia “Last minute” che portò in carcere 28 presunti affiliati al ricostituito consorzio criminale, in gran parte indicati agli inquirenti dal boss pentito Ercole Penna, questo pomeriggio la Corte d’Appello ha confermato le condanne già emesse in primo grado a carico dei tre reggenti della Scu nella Città degli Imperiali.

A tutti è stata confermata l’associazione per delinquere di stampo mafioso: 8 anni di reclusione sono stati inflitti a Giancarlo Capobianco (assistito dagli avvocati Michele Fino e Luigi Vitali). A Gaetano Leo (difeso come Capuano dall’avvocato Ladislao Massari) il giudice pur riconoscendo come in primo grado la continuazione del reato relativamente all’appartenenza al sodalizio mafioso, ha ridotto il computo finale da 10 a 8 anni di reclusione, non ritenendo l’imputato tra i “promotori” dell’organizzazione criminale: grado che spetterebbe al solo “zio Carlone”. Confermati in ultimo i 3 anni e 4 mesi a Salvatore Capuano. Nel conto complessivo è incluso per tutti lo sconto di pena di un terzo dovuto alla scelta del rito abbreviato.

A permettere lo smantellamento dell’associazione, le dichiarazioni rese agli inquirenti dall’ex boss mesagnese Ercole Penna, arrestato il 28 settembre del 2010 nell’ambito dell’operazione “Calypso”, che l’11 novembre successivo avviò la sua collaborazione con la Giustizia, negli inediti panni del “pentito”. E’ stato lui a fare i nomi di Leo, Capobianco e Capuano, quali referenti dell’associazione a Francavilla. Ma solo Capobianco dopo il vaglio di ben due gradi di giudizio, è stato ritenuto organizzatore e promotore del gruppo. Perché se è vero, come riferito dal pentito Ercole Penna, che Capobianco non è mai stato sottoposto al vecchio rito di affiliazione perché vetusto e dannoso per tutti i membri dell’associazione, è vero anche che stando a precedenti sentenze della Cassazione riguardanti simili casi, è spesso sufficiente la “partecipazione” continua alle attività criminali, per fare di un uomo, un affiliato.

E per l’accusa, a quelle attività, Capobianco avrebbe preso sempre parte. A dimostrarlo ci sarebbero, i contatti tenuti dagli anni da “Zio Carlone” con i vertici del sodalizio, le testimonianze. Dettagli che Capobianco, costituitosi dopo due mesi di latitanza, avrebbe sottovalutato fin da subito certo che – come si evince dai colloqui intercettati in carcere – avrebbero potuto condannarlo solo per truffa: ma nulla di più. E invece gli elementi raccolti a suo carico si sono fatti via via più pesanti, fino a ricostruire quell’intreccio tra i suoi affari e quello dei clan, tali da far permettere al pm di definire Capobianco come il “forziere” del gruppo. Non solo: zio Carlone si sarebbe anche occupato dell’acquisto e dell’occultamento di armi (anche questo reato, ricostruito grazie ad alcune telefonate intercettate).

Durante gli interrogatori seguiti al suo arresto poi, il 49enne francavillese, vero proprietario di diversi negozi di prodotti per la casa intestati a prestanome (tutti sequestrati), si è detto vittima di diverse estorsioni a suo danno. E un mafioso, questa la tesi, non può essere vittima di estorsioni. Queste, mai denunciate alle forze dell’ordine, sono testimoniate da diverse lettere intrise di minacce a lui e ai suoi famigliari (una delle quali alza la posta da 200mila a 250mila euro) e da una raffica di proiettili esplosi contro l’auto dell’uomo.

In realtà, secondo l’accusa, quelle minacce non erano estorsioni, ma ritorsioni di altri criminali che approfittarono della cattura di Ercole Penna per attaccare i suoi sodali ormai con le spalle scoperte. A testimonianza di ciò a Capobianco Penna, direttamente dal carcere, garantì una scorta armata. Elementi che, uniti ad altri, non fanno di zio Carlone un semplice “truffatore” o una vittima di estorsioni. Ma un affiliato alla Scu, al pari dei compari e compaesani Gaetano Leo e Salvatore Capuano. Tutti condannati.