“Non ricordo”: due parole che come un mantra recitato ad alta voce hanno riecheggiato per tutto il pomeriggio di oggi nell’aula Falcone Borsellino del tribunale di Brindisi, dove si è celebrata la prima udienza del processo a carico di alcuni presunti affiliati alla frangia mesagnese della Sacra Corona Unita: Francesco Gravina (alias Chicco Pizzaleo, zio di “Gabibbo”, suo ominimo), Fabrizio Livera, Vincenzo Accolli, Danilo Calò, Ivan Carriero, Tobia Parisi, Ercole Penna (che ha assistito in videoconferenza), Vito Stano, Giuseppe Stranieri, Vincenzo Solazzo, Massimo Taurisano Pulli.
A scandire l’impressionante sfilza di “non ricordo”, alcuni degli imprenditori che secondo l’accusa sarebbero stati taglieggiati, minacciati e danneggiati dagli imputati. Loro, i presunti “aguzzini”, erano lì, in aula, alle spalle delle presunte vittime, sorridenti. Da dietro le sbarre schioccavano baci ed elargivano saluti ai famigliari, mentre le presunte vittime, sotto i loro sguardi, erano chiamate a confermare o meno le accuse.
Carmelo De Nitto, proprietario del ristorante “La locanda dei messapi”, rispondendo alle domande del pubblico ministero Alberto Santacatterina, ha capovolto le carte dell’accusa. I mille euro consegnati a Stranieri? Nessuna estorsione: “Era un prestito”.
Poi è stata la volta di Giancarlo Mingolla, imprenditore edile di Mesagne. Secondo l’accusa fu indotto a consegnare a Francesco Gravina mille euro per scongiurare eventuali ritorsioni. Ma Mingolla nega, sostenendo di non aver ricevuto alcuna pressione.
“E allora perché gli consegnò mille euro?” chiede il pm. “Perché mi chiese di lavorare come guardiano”. “E lei che rispose?”. “Dissi che non ne avevo bisogno”. “Quindi non lo assunse?”. “No”. “E allora perché gli ha dato mille euro? Lei è solito regalare mille euro a tutti quelli che le chiedono un posto di lavoro, ma che poi non fa lavorare? Fa beneficenza?”. “No”. Il pm lo incalza. E Mingolla nel volgere di un quarto d’ora cambia versione. A deposizione quasi chiusa spiega di aver fatto lavorare Gravina: “Si veniva la sera e controllava”. Insomma, anche quella non fu estorsione: nonostante alla polizia, nel 2011, Mingolla affermò tutt’altro, come è risultato dai verbali letti in aula dal pm.
Terzo e ultimo imprenditore chiamato a deporre, Fernando De Michele. Secondo i fatti ricostruiti dagli inquirenti, a De Michele furono rubati degli escavatori. Agli investigatori che lo interrogarono sempre nel luglio del 2011 dichiarò di aver ricevuto una telefonata, durante la quale gli furono chiesti 10mila euro. Fu messo tutto a verbale, e la firma in calce a quel verbale, portato in aula dal pm, è la sua. Ma De Michele ha negato: “Non ho mai detto di aver ricevuto quella telefonata”.
Emilio Mola