di Giancarlo Sacrestano
Era il pomeriggio del 20 novembre del 1528, quando per le vie della città di Brindisi cominciò a diffondersi la notizia. L’incredulità, lo sbigottimento e la paura del significato sinistro attribuito immediatamente alla notizia, fece ammutolire gli ignari brindisini. Già colpita da una serie di disgrazie ed epidemie, accadeva proprio quel giorno che crollasse una delle grandi colonne che da mille e cinquecento anni erano il segno distintivo della città e nel 1300, erano persino raffigurate quale emblema cittadino nella sua, forse prima rappresentazione, al lato destro del bell’affresco denominato “l’albero della vita” presente in Santa Maria del Casale.
Risaleva al primo secolo dopo Cristo la elevazione delle due colonne gemelle. Per secoli, forse con la funzione di faro avevano indicato ai naviganti la città e l’approdo amico e ospitale.
La caduta di una delle due colonne, fu una tragedia tanto grande che da quella data si fa principiare persino “La cronaca dei sindaci di Brindisi”.
Dal libro “Memoria Historica dell’anchissima e fedelissima città di Brindisi, pag. 623 si legge (,,,) Non fu solo questo male (l’epidemia di peste datata 1526) annuncio de’ sinistri accidenti, ma quel che appresso successe, fu vero prognostico della prossima rovina, che soprastava alla Città, e questo fu, che una delle due grandissime Colonne, che tante centinaia d’anni era stata salda agl’impeti del Cielo, e alla sorda lima del tempo, da sé stessa, senza apparente cagione rovinò dalle fondamenta l’anno mille cinquecento e venti otto, il vigesimo giorno di Novembre, e quel che fu attribuito a non minor portento fu, che il pezzo supremo della Colonna restò sopra l’infimo, cadendo a terra tutti gli altri di mezzo fra la base , e il capitello, come oggidì si vede con meraviglia;
Non venne riconosciuta alcuna causa alla caduta, se non un castigo divino alla miseranda esistenza di una cittadinanza che peccava di indolenza e subiva ogni tipo di oltraggio.
Anche lo straordinario evento per cui l’ultimo pezzo della colonna, cadendo si sia fermato sul piedistallo senza rovinare a terra, fu letto come un segnale di benevolenza, “feriti, ma non distruttitiubili”, ma anche letto con un eccessivo desiderio di scaricare le responsabilità al destino, senza assumersi alcuna responsabilità in ordine al governo delle cose del territorio e delegando a Dio o chi per lui, la salvezza, magari in extremis, da ogni tragedia.
Le sventure della città che quel crollo pareva quindi preannunciare, infatti non tardarono, ancora Andrea Della Monaca a pagina 551 precisa: “che ancora fu sindico della città di Brindisi nell’anno mille cinquecento, e venti nove, e essendo in questo tempo invaso il Regno dall’armi Francesi, e occupata violentemente la Città di Brindisi, e miseramente saccheggiata da quelle milizie, con far anche mille dispregi all’insigne Imperiali; egli per non mancar alla fede dovuta al suo Signore, animosamente s’oppose a’Nemici, benché ne restasse gravemente ferito nella testa, anzi per impedire l’ingresso dalla parte di Mare All’Inimico, serrò la bocca del Porto minore, ch’è fra le Torri, con affondarvi una sua Fusta carica di piombo”.
Il crollo ebbe comunque tale tanta rilevanza che per oltre un secolo, più di cento anni, quasi 40.000 giorni, durante i quali, nessun brindisino pensò come reagire, lasciando che i pezzi della colonna fossero invasi dalle erbacce, nella incuria più totale.