Tenuta Moreno, per il giudice non ci fu alcuna truffa: tutti assolti

Figurava anche il nome dell’ex sindaco di Mesagne Mario Sconosciuto nel processo sulla presunta truffa ai danni dello Stato messa a punto dai soci del noto hotel resort “Tenuta Moreno”. Un raggiro che, secondo l’accusa, aveva permesso ai titolari della società, di incassare indebitamente dallo Stato 1 milione e mezzo di euro sottoforma di agevolazioni nei fatti non dovute. Oggi, a distanza di tre anni, tutti gli imputati sono stati assolti con formula piena perché – si legge nel dispositivo – “il fatto non sussiste”.

Nel novero degli imputati, oltre al nome dell’ex primo cittadino assistito dall’avvocato Carlo Molfetta, spiccavano quelli di Antonio Argentieri (difeso dall’avvocato Massimo Manfreda): socio per il 25 percento della “Villaggio Moreno srl”, di cui è stato prima amministratore unico quindi presidente del consiglio di amministrazione; di Leonardo Apruzzi (difeso dall’avvocato Marina Del Foro): detentore di un altro quarto della stessa società, nonché rappresentante legale dell’omonima “Immobiliare salentina”; e di Maurizio Cosimo Nitti (difeso dall’avvocato Giancarlo Camassa): architetto incaricato dall’amministratore unico della “Villaggio Moreno” di redigere una perizia giurata.
Per tutti l’accusa era di truffa pluriaggravata continuata in concorso, consumata e tentata, per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Ma qualcosa nell’impianto accusatorio imbastito dal sostituto procuratore Raffaele Casto, comiciò a scricchiolare fin da subito.
Secondo il giudice per le indagini preliminari Valerio Fracassi “gli elementi acquisiti – scriveva – non consentono allo stato di ritenere raggiunta la consistenza indiziaria richiesta in relazione ai delitti di truffa contestati e dunque anche in relazione all’illecito amministrativo”. Insomma, prove concrete per addebitare a soci e sindaco d’aver realizzato in combutta fra loro una truffa milionaria, mancavano del tutto. Inoltre l’azienda è fisicamente al suo posto, lavora e produce ricchezza.

Secondo la tesi sostenuta dal sostituto procuratore della Repubblica i quattro avevano con l’inganno indotto in errore il responsabile della divisione contratti “Credito agevolato” della “Efibanca spa”, al fine d’incassare dal Ministero dell’Economia un finanziamento da 1 milione e 500mila euro, poi nei fatti incassato in due trance da mezzo milione l’una, cui si sono aggiunte una terza da 368mila euro, e una quarta da 158mila euro. Dove sarebbe stato il raggiro? Per la procura, nel presentare al Ministero tramite Efibanca la richiesta di agevolazione finanziaria (è il 22 giugno del 1999), Antonio Argentieri aveva dichiarato – mentendo – che l’immobile per il quale doveva essere realizzato l’investimento milionario rispondeva “ai vigenti specifici vincoli di destinazione d’uso”.

In realtà, denunciava l’accusa, l’istruzione della pratica finalizzata a ottenere la destinazione d’uso da parte del Comune era soltanto in corso. L’atto sarebbe giunto solo cinque mesi più tardi. La società avrebbe insomma vantato, al momento della richiesta del finanziamento, requisiti di cui ancora non disponeva. Allo stesso modo il Comune, pur conoscendo tempi e modi, avrebbe comunque rilasciato tutte le autorizzazioni necessarie a realizzare l’investimento.
Da qui il capo d’imputazione per truffa pluriaggravata in concorso, e la conseguente iscrizione nel registro degli indagati dei quattro presunti responsabili, che a inchiesta ormai conclusa attendono: rinvio o archiviazione.

Accuse pesanti, molto, risoltesi tutto in un nulla di fatto. Con la piena assoluzione di tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”.