Incendi e saccheggi nell’azienda agricola: “Basta, mollo tutto”

“Parla di meno”. E’ l’avvertimento vergato su foglio bianco, con inchiostro blu e calligrafia incerta, che un oritano col bernoccolo dell’agricoltura e del lavoro (duro o comodo purché sia), ha rinvenuto giorni fa accanto al cumulo di cenere fumante in cui qualcuno – sostiene di sapere chi “ma non ho le prove” – ha ridotto l’impianto di irrigazione del campo che assieme a due amici aveva iniziato a coltivare e accudire. “Eravamo tre amici al bar – racconta Giuseppe De Nuzzo – disoccupati e senza soldi”. Poi la decisione, inusuale, coraggiosa, di darsi all’agricoltura, rinunciare all’attesa prodigiosa di un lavoro calato dall’alto, per rimboccarsi le maniche, impugnare una vanga, e sudare sotto il sole cocente che brucia la schiena o il gelo che spacca la pelle, tra i solchi nella nuda terra.
Il passaggio dalle parole ai fatti, per i tre che di perdersi in chiacchiere non avevano punto voglia, è stato rapido, immediato, concreto. Un’impresa avviata sotto i migliori auspici e partita col piede giusto. Poi, germogliati i primi frutti di tanta fatica, sono iniziate le grane.
Prima il furto dell’impianto di irrigazione, poi otto galline, poi due sacchi di concime. “Non abbiamo fatto denuncia perché il danno era inconsistente – spiega – e speravo di risolvere la cosa in maniera amichevole”. Ma l’ennesimo, durissimo colpo, De Nuzzo non è proprio riuscito a incassarlo con eguale filosofia.
Qualcuno, forse lo stesso autore dei raid precedenti, ha nottetempo raccolto e ammucchiato l’intero impianto di irrigazione su un fazzoletto di terra. E di quello, in pochi minuti, ha fatto un falò. Ora Giuseppe De Nuzzo è stremato, stanco, sfiduciato. La forza che lo aveva portato a imboccare a testa alta l’impervio sentiero dell’agricoltura sta venendo meno. E con esso le risorse economiche erose da continue toppe per rimediare ai danni. Mentre cresce l’amarezza, la rassegnazione davanti a una realtà che non stenta a definire “mafiosa”: “Io so chi è – dice – Stando sempre all’estero ho pochissimi amici e un solo nemico. Ma non ho le prove. Questa – accusa sciogliendo la lingua fino a oggi tenuta annodata a fatica – è mafia. E conferisco a Oria una medaglia: non più Oria fumosa, ma Oria mafiosa”. “I cittadini normali – s’interroga De Nuzzo – chi li difende? Qui il danno supera i 10mila euro. Non possiamo continuare. Non abbiamo un euro e abbiamo perso la fiducia nello Stato”. Infine, il disperato, rassegnato appello ai giovani: “Andate via. Qui non avete speranze”.

Emilio Mola