
Gentile giornalista brindisino,
lo so, sei già indignato. Perché sei tu il tenutario della pubblica parola, e non io. Perché il monopolio dei pensieri comuni ce l’hai tu e non io. Perché sei tu che cazzeggi nelle stanze del palazzo del quarto potere e non certo io. Perchè il sentire comune lo formano le tue parole e non le mie. E quindi, giustamente, ti chiedi chi mi abbia dato l’ardire di esternare, di pubblicizzare, di divulgare. Nessuno. Me lo sono preso da solo. Come d’altronde hai fatto tu quando hai deciso che il tuo mestiere sarebbe stato quello di informare, di comunicare, di avvisare, di rendere noto. L’hai deciso tu in un giorno della tua giovinezza passata.
Hai deciso tu di dedicarti a questo lavoro, di passare le tue giornate in redazione, di fare le ore piccole, di scartabellare, consultare, leggere, capire e di avere con il computer, ed oggi con il telefono cellulare, quel rapporto morboso che farebbe impallidire qualunque adolescente. A me non interessa sapere se tutto ciò sia nato in te per incomprimibile spinta interiore, per bruciante passione, per inconfessata emulazione o per mero calcolo occupazionale. Forse sai già che non mi importa sapere nulla delle tue caratteristiche personali e professionali; per cui o scrivi su carta o scrivi su testate on line, non cambia. Tantomeno se scrivi di politica, di sport o di cronaca nera o rosa o di qualunque altro colore. Io mi sono deciso a scriverti perché sono stanco e avvilito di leggerti quotidianamente. Tanto avvilito da spingermi sino alla presunzione di porre (io a te, cosa inaudita) delle domande.
La prima : Perché scrivi così male?
Non dirmi per la fretta. Non ci credo ! Non scrivi né di colpi di stato, con consequenziale imminente fuga di dittatore spodestato all’estero, e né di calamità naturali improvvise e catastrofiche. La probabile crisi al comune di Brindisi e il solito ingrossamento del canale Patri non richiedono certo la stessa immediatezza. Gli argomenti che tratti ti lascerebbero tutto il tempo per rivedere le bozze, per strutturare meglio una frase, per aggiungere quel verbo che manca, per chiudere l’incidentale che hai inopinatamente aperto. Vedo che ultimamente hai anche ingaggiato una lotta all’ultimo sangue con il congiuntivo ed il condizionale e comprendo che te la stai passando davvero male. Ti capisco: non si fa così. Due contro uno è scorretto. A questi, forse, piace vincere facile e, leggendo ciò che scrivi, inoltre, mi viene da immaginare la faccia che farai quando scoprirai che la punteggiatura ha delle regole precise e che quei minuscoli segni fra le parole obbediscono a leggi diverse da quelle che regolano i puntini sui dadi, gli uccelli appollaiati sui fili della luce o le cacche di mosche sullo specchio. Quel giorno vorrei essere vicino a te per vedere disegnarsi sul tuo viso la parola che ti verrà in mente e che sempre in modo scurrile sillabiamo di fronte allo stupore più grande.
Non ti voglio offendere e né avvilirti, ma se ti dico che esiste anche una cosa che si chiama analisi del periodo te la prendi a morte? Non me ne volere ; lo dico così, giusto per completezza d’informazione. Niente di personale. Forse potrà anche tornarti utile. Devi sapere che in ogni discorso c’è una proposizione principale e poi ci sono le subordinate; e queste possono essere dubitative, esortative, eccettuative, interrogative dirette ed indirette e tante, tantissime altre. Queste, se usate a dovere, danno colore, sapore, suono, senso a quello che si vuol dire; a saperle usare, c’è davvero da divertirsi. Prova! Il fatto è, vedi, caro giornalista locale, che il linguaggio, qualsiasi linguaggio, cammina come noi, su due gambe: la retorica e la grammatica. L’una per farlo bello, l’altra per renderlo corretto.
Senza una delle due, il linguaggio stenta, cammina male, e se poi, addirittura, non usiamo nessuna delle due, ritorniamo alla famosa presentazione fra Jane e Tarzan che, credevo, ci fossimo lasciati oramai alle spalle. Quindi impegnati, mi raccomando, e se non ce la fai chiedi aiuto ok? Ok.
La seconda : Perché sei così arido?
Non so quale sia il tuo obiettivo quando scrivi. Sei più alla ricerca di una reazione emotiva o ti interessa maggiormente, invece, una adesione razionale alle tue valutazioni? Scusami, ma da come scrivi , tutto ciò non si capisce. La tua prosa è piatta, scarna, incolore. Sciatta. Il tono usato per la sventura del cucciolo smarrito è identico a quello usato per raccontare della tentata rapina alle poste, e le peripezie di questa giunta sono trattate in modo monocorde così come un tamponamento con qualche ferito. Credo che tu desideri entrambe le cose, no ? Vorrai sicuramente che io mi appassioni, mi indigni, mi arrabbi o magari che mi senta frustrato, ma anche che mi impegni, che cerchi di capire, che partecipi, che condivida idee e programmi comuni. O che mi diverta. O che mi commuova.
Insomma ti interessa o no quello che provo quando ti leggo? Dovrebbe, perché vivi delle mie letture, del mio acquisto del giornale che genera soldi della pubblicità o dei miei click sui tuoi blog che ti producono consenso. Quindi, per favore, corteggiami un po’: impegnati, abbandona questa visione della scrittura da encefalogramma piatto, emozionami, fammele “vedere” le cose che scrivi, fammi partecipare. Ti conviene perché, se lo farai, appena se ne presenterà l’occasione, potrai persino riuscire a farmi appassionare anche all’ennesimo annunciato rimpasto della giunta Consales. Il che dovresti considerarlo davvero un successo.
Finisco qui anche se avrei altre tre domande da porti. Smetto perché mi sono dilungato molto. Se troverò spazio da qualche parte non è escluso che ti possa riscrivere. Nel frattempo ti consiglio di sceglierti uno spazio tutto tuo fra Baricco e Tarzan. Quanto più possibile lontano dalla giungla.
Absit iniuria verbis.
A.Serni