L’amore non va in prigione: i figli incontrano i papà detenuti

di Adele Galetta per il7 Magazine

Quando Rocco ha chiuso la sua “scatola magica”, quella dei momenti più belli vissuti insieme a suo papà, è scoppiato a piangere ed abbracciandolo gli ha detto: “Chissà se faremo ancora queste cose insieme”.
Rocco ha 8 anni, ogni quindici giorni, il mercoledì pomeriggio, entra nella Casa Circondariale di Brindisi per incontrare papà Stefano, rinchiuso lì dal 2015.
Una circostanza che Rocco comprende a pieno ma per la quale non ha colpa perché Stefano vuole e può continuare ad esercitare il proprio ruolo di padre, perché l’amore per il proprio figlio va oltre le sbarre. E va salvaguardato.
Il progetto Altrove ha avuto inizio nel 2014 e dal 2018 è sostenuto dalla Cooperativa Eridano di Brindisi che, fin da subito, ha creduto nella potenzialità e nell’importanza dello stesso.
“Tutto nasce dalla volontà di sostenere la genitorialità dei detenuti, messa a dura prova durante il periodo in carcere – spiegano Angela Corvino, esperta di counseling e la fotografa Martina Leo – con l’obiettivo principale di fare in modo che la lontananza fisica non interrompa la relazione affettiva tra genitore e figlio”.
Il progetto si suddivide in tre momenti. Il mercoledì, il giovedì e il sabato.
“Ogni sabato, dalle 10 alle 12 – raccontano – incontriamo solo i papà per il “gruppo di crescita” che ha come obiettivo quello di agevolare, utilizzando le tecniche del counseling, la conoscenza di sé padre e fissare obiettivi per migliorare la relazione con i propri figli attraverso la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse. I mercoledì, ogni quindici giorni, dalle 15:30 alle 17:30, c’è l’incontro padri e figli. In queste due ore il nostro obiettivo è farli incontrare in un contesto che non è quello del colloquio ma in un momento esclusivo tra papà e figlio che, attraverso le attività preparate per loro e con il nostro sostegno, diventano momenti di crescita e di intimità utili a sopperire la mancanza fisica quotidiana e accrescendo invece la qualità del tempo passato insieme. Molto spesso i genitori ci dicono di non aver mai passato fuori dal carcere momenti così belli e intensi come quelli durante quelle due ore perché tutto il lavoro fatto, prima e durante, agevola l’ascolto e la qualità dello stare insieme. Nello specifico, facciamo attività laboratoriali in modo che i figli abbiano anche altri ricordi delle loro visite e del tempo passato con il papà. Durante questa attività costruiscono insieme delle cose che i figli portano a casa in modo che nei momenti tristi possano ritrovare in quel lavoro un abbraccio del papà. Il giovedì, invece, dalle 13:30 fino alle 18:00, la famiglia e i figli attendono i colloqui. Durante questo momento sosteniamo il bambino a vivere più serenamente il momento dell’attesa prima del colloquio e dell’esplorazione post colloquio delle emozioni, in modo che i bambini tornino a casa senza il peso della situazione vissuta. Inoltre questo momento di ascolto alla famiglia serve per sostenere le difficoltà attraverso il racconto spontaneo e il disegno. Questi incontri ci portano a conoscere a fondo situazioni delicate che, in casi particolari, vengo affrontati individualmente”.
Negli ultimi mesi, per la prima volta, grazie alla forte disponibilità a collaborare della Casa Circondariale, del direttore e di tutto il personale, le porte del carcere e del progetto, hanno accolto esperti esterni, costruendo con loro piccoli eventi di gioco.
Il laboratorio di cioccolato tenuto da Nicola Ravone della pasticceria “La Nuova Capannina”, quello di panettoni tenuto da Tommaso Chirico del “Forno San Lorenzo” di Ceglie Messapica, la creazione del logo del progetto con il designer Domenico De Pascale, momenti di lettura con libri donati dalla Feltrinelli di Brindisi.
“Uno dei momenti più emozionanti – raccontano Angela e Martina – è stato, sicuramente, quello che ha visto insieme finalmente la famiglia al completo per Natale: papà, mamma e figli hanno preparato i panettoni da portare a casa.”
Una delle poche opportunità in cui vivono una situazione normale. Il normale che sembra straordinario per un carcerato. Una carezza, un sorriso, un abbraccio.
“Durante questi anni tante sono state le emozioni e i momenti delicati e forti allo stesso tempo che abbiamo vissuto con loro – dicono Angela e Martina – abbiamo visto detenuti che avevano perso la voglia di vivere, ritrovarla negli occhi dei loro figli attraverso un difficile percorso che li ha messi in discussione. Tanti di loro vivono quotidianamente la frustrazione e la vergogna davanti ai propri figli e noi cerchiamo di far ritrovare in loro le risorse per superare questi momenti difficili. Per farlo utilizziamo molto la fotografia come strumento di consapevolezza, scattiamo foto che insieme riguardiamo e durante l’esplorazione in gruppo di queste immagini loro si guardano dall’esterno e arrivano a una consapevolezza che non avevano. Ad esempio, uno dei momenti più significativi è stato sentir dire a un detenuto “allora esisto ancora” guardando una foto di lui con i figli che lo guardavano con amore. E’ difficile descrivere tutte le sensazioni che ci portiamo addosso ogni volta. Tutte le volte noi stesse abbiamo bisogno di tempo per elaborare quello che è accaduto. Infatti ci fermiamo a condividere le nostre emozioni e riflessioni in modo che ogni incontro possa servire a migliorare il nostro lavoro sulla base dei bisogni emersi. Lo scambio che si crea è intenso e basato sulla fiducia e per questo riusciamo a fare un buon lavoro con loro, che ci gratifica, perché vediamo i risultati nel miglioramento della relazione padre-figlio che altrimenti sarebbe a grosso rischio per tutti i limiti ai quali è esposto. Siamo cresciute anche noi e la cosa nella quale, dopo quasi cinque anni crediamo, fermamente, è che le emozioni dentro e fuori sono le stesse e bisogna averne cura.”
Mentre il sole pian piano scompare dietro le finestre del carcere e le mamme ed i bambini si avviano verso l’uscita, Rocco stringe la sua “scatola magica”. L’unico suono in quel momento è quello dei baci.
*Rocco e Stefano sono nomi di fantasia