di GIUSY GATTI PERLANGELI
A poco più di un mese dalle feste di Natale, durante le quali ciascuno di noi si è cimentato, dopo spese faraoniche, a preparare pranzi e cene luculliani manco fossimo stati davvero digiuni dalla vigilia dell’Immacolata, e dopo aver constatato che, qualunque canale si becchi con il telecomando, c’è almeno una trasmissione di cucina, mi preme fare una riflessione sollecitata da una scena che troppe volte mi sta capitando di vedere e che non riesco a togliermi dalla mente.
Cassonetti del supermercato vicino casa.
Anziano, alto, distinto che vi rovista alla ricerca di cibo.
Non è il solo. Non capita “ogni tanto”. E’ straziante.
Persone che hanno lavorato una vita intera, che fino a qualche anno fa erano clienti del supermercato, a causa dei rovesci che il destino spesso riserva, sono costrette al limite della sopravvivenza.
Probabilmente i primi giorni si sono fatti forza, hanno cercato di sopportare. Hanno dato fondo alle scorte che, superficialmente, pensiamo essere presenti in ogni casa. Poi le scorte sono finite e non ci sono i soldi per mangiare.
Non si tratta di barboni, di “clochard” come si ama definirli nell’illusione che il francesismo alleggerisca la loro condizione drammatica.
Sono pensionati che non ce la fanno ad arrivare a fine mese: persone che pagati i costi fissi, le bollette, non riescono neanche a comprare il necessario per sfamarsi. Forse il pudore impedisce loro di chiedere aiuto, forse chi li circonda non si accorge della loro reale condizione.
Un giorno qualunque, dopo aver resistito alla tentazione per settimane, escono di casa…attraversano la città a piedi (perché talvolta anche il prezzo del biglietto della corriera appare una spesa insormontabile) per raggiungere il supermercato più lontano o il cassonetto posto in una zona non troppo trafficata, non troppo esposto agli occhi della gente. E lì, con una sola mano, perché il coperchio è pesante e non sta su da solo, iniziano a rovistare tra i rifiuti. I nostri.
Nell’Italia degli sprechi, degli incarichi multipli e tutti compatibili, delle pensioni d’oro ci sono persone costrette a superare la comprensibile ritrosìa, la dimensione personale della necessità, la vergogna, per fare violenza a se stessi e risolversi a cercare, nell’immondizia, gli avanzi di tavole più opulente.
E allora una mezza zucchina, le foglie del sedano che ci sembravano troppo legnose e che abbiamo scartato, una carota annerita fatti bollire in poca acqua diventano un brodo vegetale che placa i morsi della fame per una sera almeno…
Superano il cattivo odore che ci fa storcere il naso quando andiamo a depositare la nostra di immondizia, quella zaffata di marciume maleodorante che ci arriva quando improvvisamente il coperchio si chiude e non facciamo in tempo a girare la testa dall’altra parte… Vanno oltre le buste rotte, il cui umido contenuto finisce per contaminare il resto dei rifiuti, si bagnano le mani, si sporcano…compiendo un atto che mira solo a conservare la propria dignità.
Non vanno alle mense dei poveri i pensionati che scelgono i cassonetti…perché non hanno mai chiesto niente a nessuno, hanno cresciuto figli e nipoti, hanno fatto per tutta la vita quello che hanno potuto, con i mezzi che avevano a disposizione, mai un passo più lungo della gamba, perché così sono stati educati…l’orgoglio, la dignità, il pudore li condizionano, non li portano a condividere una situazione in cui molti altri versano, più di quanti ne possano immaginare. Piuttosto il pezzo di pane duro in solitudine, che mostrare agli altri la propria indigenza.
Sono persone vestite con cura: il cappotto nocciola, la sciarpa scozzese, il cappello di feltro. Se li vedessimo davanti ad una scuola, penseremmo che stiano aspettando il nipotino all’uscita. Invece sperano che la folla chiassosa degli studenti si diradi al più presto, perché magari proprio nel cassonetto lì vicino potranno trovare una brioche alla marmellata, buttata via perché la ragazzina la voleva alla nutella…
Non so quanti di voi abbiano assistito ad una scena simile e quanti di voi ne siano rimasti colpiti.
Mi permetto di dare un suggerimento ai nostri amministratori locali: potrebbero pensare di collocare presso i vari supermercati dislocati nella città (no, non vicino ai cassonetti, perché è troppo umiliante…) dei “Box della Solidarietà”, fatti di un materiale tale da conservare i prodotti almeno per 24 ore (non refrigeranti, né termici perché forse costerebbero troppo e qualcuno potrebbe appropriarsene come souvenir…) in cui la maggior parte di noi, che facciamo una vita “normale”, possiamo lasciare un pacco di pasta, una scatoletta di tonno, una busta di latte a lunga conservazione, i biscotti che abbiamo acquistato 3×2 che i nostri figli viziati non mangiano più perché a metà del secondo pacco hanno già cambiato gusti, una bottiglia di olio…e non so più che dire perché ciò che nelle nostre case è “normale”, per altre è sopravvivenza.
Non so se sia una proposta concreta o realizzabile, né so se mai qualcuno la ascolterà: so solo che non è giusto, in una società che ama definirsi democratica, solidale e attenta ai bisogni dei più deboli, che si lascino senza sostegno persone che hanno contribuito a crearla questa società.
Non è “normale”, nel senso che è proprio contrario alle “norme” del vivere civile, che un anziano debba rovistare nei rifiuti per mangiare, derogando a tutti i suoi principi e al suo modo di essere. L’aiuto di tutti, un piccolo aiuto restituirebbe un po’ di quella giustizia che in queste situazioni, sembra perduta…
“(…) ma la fame ha un modo tutto suo di cambiarti,
e di farti scordar chi sei” scrive nel suo monologo “Cioccolata vera” Stewart J. Florsheim.
Lì si parla dei deportati nel campo di sterminio nazista. Qui della nostra città… nel XXI secolo.