L’ “ascolto pedagogico” è quello strumento professionale che si dovrebbe usare in una visione clinica, laddove per clinica s’intende: – Condizione di esercizio di una disciplina e/o professione in situazioni individuali, singolari, specifiche ed empiriche.
Inoltre ci piace parlare di pedagogia come di educazione, quindi per educazione clinica s’intende: – Processo di aiuto allo sviluppo della personalità o di sue componenti, mediazione, relazione di aiuto. Aiuto intenzionale , clinico e scientificamente orientato , recato ai processi evolutivi di ciascun individuo, in relazione ai suoi bisogni soggettuali.
Una definizione può essere “ Professionista che esercita lo studio, la ricerca, l’insegnamento o la pratica della pedagogia” (P.Crispiani)
“La Pedagogia studia, descrive e teorizza sia i processi dello sviluppo umano , sia quelli dell’educazione in suo favore”.
Ma cos’è la Pedagogia? La pedagogia è un dominio di saperi inerenti l’Educazione.
Educare , dal latino: ex –ducere (tirar fuori), è la parola cardine di quella relazione d’aiuto che offre all’altro la possibilità di guardare dentro di se e scoprire le potenzialità a volte latenti. Milton Eriskon diceva ai suoi clienti: “ io non ti chiedo di utilizzare risorse che tu pensi di non avere, ti chiedo ti utilizzare risorse che tu hai e che pensi di non avere.” .Così Ada Marchesini Gobetti in Educare per emancipar : “ La frase Educare per emancipare ritorna in quel processo Socratico e quindi incentrato sulla persona, la quale con le proprie potenzialità è artefice del proprio percorso di crescita ( filosoficamente parlando è quella che si chiama fenomenologia umanistico-esistenziale)”. L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira. (Socrate)
Educare significa preparare, aiutare a vivere ( e vivere non è solamente esistere).
La relazione d’aiuto, fondamentale nel processo educativo, lo è ancor più in un processo rieducativo ( che però non è , bensì dovrebbe essere) nei confronti di colui che devia, laddove per devianza s’intende una condizione personale di adozione di condotte, individuali o di gruppo, che si discostano sensibilmente dai modelli sociali dominanti, in una condizione e in un tempo.
La criminalità giovanile, oggi, non è più ascrivibile solo al degrado, non è più situabile in un altrove infelicemente irrisolto, non può essere compresa solo nel segno ineludibile di uno scarto dal progresso sociale: al contrario essa afferma e sottolinea sempre più visibilmente il decadimento delle nostre relazioni più comuni, delle nostre più vaste reti affettive.
Paolo Crepet nel suo libro “Cuori violenti” scrive: – Le loro e le nostre famiglie sono troppo spesso una struttura svuotata e senza più credibilità educativa. Dov’è la diversità tra loro e le nostre famiglie rispetto alla capacità di ascoltare davvero i ragazzi, i loro problemi, le loro speranze ? Dov’è la diversità rispetto alla dimensione del vuoto domestico in cui migliaia di adolescenti sono costretti a crescere, un vuoto riempito solo da un telefilm o dalla presenza ingombrante di un genitore non più autorevole? –
Le cronache dei giornali ripetono che quando il giovane autore di un crimine viene individuato , i genitori, la professoressa, il prete, la vicina di casa o il padre del suo migliore amico dicono sempre la stessa frase: “Non me lo sarei mai aspettato”. Il che vuol dire che i segnali emessi da un adolescente in difficoltà non vengono compresi dagli adulti nemmeno da quelli che hanno con lui il rapporto più stretto.
“….Allora mi chiedo di cos’altro abbiamo bisogno per prendere coscienza della nostra indisponibilità ad ascoltare , a fermare anche per un attimo la nostra corsa per sederci vicino ai nostri ragazzi a domandare e a domandarci?”
Ci ha sempre affascinato la materia della Giustizia e crediamo che il connubio giustizia e relazione d’aiuto sia appropriato, con l’ ascolto attivo pedagogico.
Siamo anche a conoscenza di quanto sia difficile operare nel campo della giustizia, per vincoli negativi che a volte la legge crea o per disagi di ordine burocratico nel lavoro sociale; ma la prevenzione, più che la cura, a quanto appena detto, è essere proattivi e provare a creare progetti che vadano in aiuto a tali difficoltà .
Crediamo che il confronto con gli altri ci nutra immensamente molto più di un libro, diciamo questo perché nonostante le difficoltà incontrate, la vita che trasmette la relazione con l’altro, nella sua globalità, in senso di crescita, non è così potente come un nutrimento solo verbale . Parlare di pedagogia come il dare consiglio è improprio, in quanto sarebbe troppo riduttivo e soprattutto implicherebbe una relazione di tipo verticale , mentre invece uno degli obiettivi principe è quello di stabilire una relazione il meno possibile direttiva, uno stare insieme dove il cliente è al centro del processo di crescita. Nell’azione pedagogica, due parole sono ricorrenti: aiuto e relazione. Infatti si dice spesso che il pedagogista è un agevolatore nella relazione di aiuto. Fare il pedagogista vuol dire stare con l’altro ( utente, cliente, che si rivolge a noi con una richiesta di aiuto), in una relazione significativa, con l’obiettivo di promuovere in esso l’ autorealizzazione , lavorando sulle potenzialità residue e sul qui e ora”.
IL pedagogista concentra la propria attenzione più sul presente che sul passato, propone strategie di ascolto, comprensione e integrazione del sintomo per capire meglio cosa significa fare a priori .
Le condizioni necessarie per condurre efficacemente una relazione d’aiuto sono:
• Accettazione incondizionata
• Comprensione empatica
• Congruenza /autenticità ( si è autentici se si è consapevoli dei propri sentimenti)
Lo strumento principe che adottiamo come pedagogisti, nella relazione d’aiuto, è l’ascolto attivo L’ascolto attivo è un buon colloquio d’aiuto non direttivo, centrato sulla persona ; questo tipo d’ascolto genera un sentimento di solidarietà affettiva ed aiuta l’interlocutore ad utilizzare le proprie risorse in azioni più proficue essendosi capito meglio.
E’ un mezzo tecnico per l’operatore nel creare un colloquio di comprensione e chiarificazione , focalizzando l’autopercezione e l’autodeterminazione per favorire un agire efficace.
Serve a dimostrare interesse e ad aiutare l’interlocutore a parlare, per meglio comprendere: i suoi bisogni, le sue esigenze e necessità.
La tecnica di base dell’ascolto attivo è il rispecchiamento empatico .
L’Ascolto attivo è uno strumento efficace per favorire l’apprendimento, creare un clima sociale in cui si sentano liberi di pensare, di porre questioni, di esplorare. Ma l’ascolto attivo aiuta anche a fronteggiare le proprie emozioni senza temerle, senza aver paura dei propri sentimenti; con la disponibilità ad affrontare le difficoltà e ad ascoltare gli altri.
Il fine è quello si creare un clima di fiducia nel quale curiosità e desiderio di progredire potrebbero essere nutriti e valorizzati riscoprendo la fiducia in sé ed il proprio valore.
Tirando fuori, educando appunto alla lenta riscoperta dei propri tesori, quelli che ognuno ha lì, proprio lì, solo un po’ nascosti.
Dott.ssa Federica Protopapa
Dott. Luigi Persano