La punizione più dura per i Buccarella: dividere la masseria “Il formaggio” con l’associazione contro tutte le mafie

di GIANMARCO DI NAPOLI

C’è forse una punizione ancora più dura per la famiglia Buccarella. Al di là della confisca dei beni, dei 50 ettari terreni, dei 22 fondi agricoli, della villetta di Torre San Gennaro, del villone a Tuturano (sette stanze), delle due case in contrada Colemi.

La punizione vera è che per il resto della loro esistenza i Buccarella dovranno dividere quella che è stata la loro casa, il loro quartier generale, la loro vera ragione di vita con lo Stato. La masseria in cui da tre generazioni vivono resta per metà di loro proprietà e per metà è confiscata: 850 metri quadrati a testa e un muro virtuale che divide la legalità dall’illegalità.

Non è stato possibile per la Dia sfrattarli anche da quell’ultimo monumento del vecchio impero mafioso: la strenua battaglia difensiva con cui la famiglia Buccarella ha tentato di far sì che i sequestri preventivi non si trasformassero in confisca ha consentito di salvare dai sigilli una parte della masseria.

Ma che affronto sarebbe se anche l’altra metà dell’abitazione di campagna, così come è già avvenuto per gli altri beni portati via al boss, fosse assegnata a “Libera Terre di Puglia” e se l’Associazione contro tutte le mafie, che già coltiva a grano i terreni di quella che fu la proprietà Buccarella, collocasse i suoi vessilli nella stessa casa in cui vive la stirpe dei “Balla”, andando a violare l’integrità di quel quartier generale, ultimo baluardo della Sacra corona che fu?

Negli anni anni Ottanta e Novanta quella masseria la chiamavamo “Il formaggio” perché i Buccarella non avevano mai spesso di portare avanti quella che era da generazioni la principale attività di famiglia: la pastorizia con connessa produzione di latte e di suoi lavorati. Un’attività che – hanno dimostrato le carte processuali – era divenuta man mano una ottima copertura che giustificava il flusso continuo di persone all’interno della masseria.

Quando in una occasione riuscirono a piazzare delle microspie all’interno del “Formaggio” si ebbe la conferma che gli affari vertessero in tutt’altra direzione rispetto ai latticini. Il vecchio Giovanni, padre di Salvatore, e la sorella di quest’ultimo, Maria Rosaria erano plenipotenziari nella gestione degli affari di mafia in assenza del boss, recluso in regime di 41 bis.

Una posizione netta quella dei Buccarella nei confronti dello Stato al punto che un pentito messinese di Cosa Nostra, Gaetano Costa, ha raccontato nel processo “Borsellino Bis” che l’esplosivo per l’attentato di via D’Amelio fu chiesto proprio a Salvatore Buccarella con la mediazione di Pietro Vernengo, uomo della ‘Ndrangheta che aveva difatto autorizzato la nascita della Sacra corona unita.

All’inizio degli anni Novanta per la Sacra corona unita era molto semplice rifornirsi di esplosivo con gli scafi che quotidianamente facevano la spola tra il Montenegro e la costa brindisina per trasportare le sigarette. In Iugoslavia c’era la guerra civile e fare la scorta di skorpion e tritolo non era un problema.

Ora, nonostante i tentativi di mantenere il controllo del territorio, dettatI anche dalla necessità di sostenere una famiglia numerosa e messa con le spalle al muro dai sequestri di beni, il clan Buccarella ha subìto un inevitabile ridimensionamento. Ma probabilmente mai, neanche nel peggiore degli incubi, la famiglia di Totò Balla avrebbe pensato di dividere la masseria del Formaggio con l’Associazione contro tutte le mafie.