Imprecare con viene considerata più un’ingiuria punibile penalmente perché «l’evoluzione del costume e la progressiva decadenza del lessico adoperato», unite all’uso sempre più frequente di «espressioni scurrili» al cinema o in tv, «ne hanno attenuato la portata offensiva»: con questa motivazione, la Corte di Cassazione ha assolto un pensionato di San Pietro Vernotico, che aveva imprecato contro una donna sua concittadina che aveva parcheggiato l’auto davanti a casa sua.
L’anziano era stato citato in giudizio dalla donna e sia in primo grado che in Appello l’uomo era uscito assolto, ma lei aveva presentato ricorso alla Corte suprema.
L’episodio risale al giugno del 2010: il pensionato, oggi settantaseienne, aveva trovato l’uscita di casa bloccata dall’auto e aveva inveito contro la proprietaria e rivolto quella che lei aveva interpretato come una minaccia: «la prossima volta non suono più e rompo tutto».
Il giorno dopo la signora aveva trovato la macchina danneggiata. E ha quindi portato il vicino in tribunale. Il giudice di pace aveva però escluso che la frase potesse costituire ingiuria e minaccia dato che «la prospettazione del danneggiamento era rivolta a chiunque avesse ostruito la porta d’ingresso e non specificamente alla persona offesa». Da qui il ricorso in Cassazione della parte civile.
“Il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono- scrivono i giudici della Cassazione – e l’uso abituale di espressioni volgari non può togliere alle stesse l’obiettiva capacità di ledere l’altrui prestigio» ma «ve ne sono alcune di uso talmente diffuso, anche quali intercalari, che in relazione proprio al contesto comunicativo perdono la loro potenzialità lesiva».
È innegabile – osserva il giudice – che «una sempre maggiore valorizzazione delle espressioni scurrili come forme di realismo nelle arti contemporanee (si pensi soprattutto al cinema) e tradizionale (quali ad esempio la letteratura e il teatro) ha reso alcune parolacce di uso sempre più frequente, soprattutto negli strati sociali a più bassa scolarizzazione, attenuandone fortemente la portata offensiva, con riferimento alla sensibilità dell’uomo medio».
L’osservazione finale della Corte suprema: “È ormai un inevitabile ed inarrestabile dato culturale in ambienti in cui troneggia a mo’ di totem lo strumento televisivo, purtroppo mezzo di diffusione dilagante di pratiche linguistiche sconvenienti». Ma «la volgarità non determina automaticamente la lesione del bene tutelato dalla legge», la dignità e l’onore.