Mennitti, quell’intervista in cui si raccontò senza segreti

Questa intervista è stata realizzata da Maria Rita Greco il 31 dicembre 2004. Domenico Mennitti era da pochi mesi sindaco di Brindisi. Ma il suo ritratto che emerge da quel colloquio è di straordinaria attualità per tratteggiare il suo personaggio, la sua carriera e il suo modo di interpretare la politica e la vita. La riproponiamo così come fu pubblicata su Senzacolonne, poco meno di dieci anni fa. 

di MARIA RITA GRECO

La stanza del Sindaco, pur oscillando, per dimensioni e arredi, tra sobrietà ed essenzialità, non riesce a celare la disponibilità all’incontro, all’ascolto e al confronto, del primo cittadino di Brindisi.

L’atmosfera, infatti, è calda ed accogliente.

Domenico Mennitti, Mimmo per gli amici, e sono tanti, è puntuale all’appuntamento nonostante i numerosissimi impegni di questi giorni che sembrano preoccupare più la sua segretaria che lui. Lui, infatti, manifesta in ogni gesto, la consapevolezza della propria capacità di pianificare con metodo. Ho solo il tempo per dire che queste mie interviste servono a tratteggiare personaggi che incidono sulla vita cittadina e lui prende in mano le redini della situazione, mosso dal bisogno di definirsi in modo chiaro e dettare le regole del gioco.

“Faccio politica da quando avevo sedici anni. Ero arrivato a Brindisi nel ’55, da Termoli, dove vivevo con la mia famiglia. Mia madre originaria di Brindisi aveva deciso di ritornarci dopo la morte di mio padre. Già nel ’56 entrai nelle fila del MSI trovandomi nel pieno della campagna elettorale che premiò il partito con otto consiglieri comunali, il più alto numero raggiunto. Nel ’57 entrai nella direzione provinciale del partito. Ero il più giovane segretario provinciale, in Italia, del Movimento Sociale Italiano. Nel ’69 entrai nella direzione nazionale, era il periodo in cui si era passati dalla gestione Michelini a quella di Almirante. Qui avevamo l’Onorevole Manco, un personaggio politico di grande spessore, è stato mio testimone di nozze e a lui mi lega ancora una profonda amicizia”.

Ho sempre sentito parlare di lui come un grande oratore.

“Eccezionale, il comizio era allora l’arma fondamentale della politica, il momento più alto. Nell’immediato dopoguerra era importante superare la radio come strumento di divulgazione delle idee, essendo stata questa ampiamente usata dalla propaganda fascista. Le alternative furono i cortei e i comizi. Per questo un bravo politico non poteva prescindere dall’arte del saper parlare in pubblico. Manco apparteneva a pieno titolo a questa categoria”.

A proposito di appartenenza, mi è sembrato di capire, nel discorso da lei tenuto nel “Rapporto alla Città”, che ritiene questo concetto ormai superato e anacronistico.

“L’appartenenza era una componente della vita politica fino a quando i partiti erano collegati all’ideologia, che ritengo corrisponda ad un segmento di realtà da imporre agli altri”.

Su cosa, allora, si basano oggi i partiti?

“Elemento fondamentale non è l’identità politica ma il progetto politico. L’evoluzione sta nel fatto che oggi i partiti si identificano attraverso le risposte che danno ai bisogni e ai problemi della realtà. Si sceglie un leader che porta avanti un programma. Il dato personale individua, con la forma politica, le responsabilità di ogni politico. Ciò risparmia ai cittadini il “Fenomeno del Tiranno senza volto”. Prima le responsabilità cadevano sui partiti, oggi su ogni protagonista della politica”.

Come è avvenuto questo cambiamento?

“Non è stato un processo maturato gradualmente dalla classe politica. Le istituzioni vivono una profonda crisi perché non riescono a raccordarsi al ritmo della società moderna. La classe politica è incapace di trovare risposte che risolvano questa rottura di equilibrio che si è determinata. Nel sistema c’è un gap molto ampio tra le risposte istituzionali e i modelli sociali in continuo mutamento. Per cui, inevitabilmente, il cambiamento è dovuto all’intervento di fattori esterni, come Tangentopoli e il dato elettorale, che portano alla riforma elettorale”.

La mancanza di ideologia espone maggiormente a vicende come quelle della gestione Antonino?

“Non credo, quello è stato un fenomeno che non ha nulla a che vedere con gli schemi dell’evoluzione politica. Piuttosto credo che Antonino sia stato espressione di una forma classica di populismo, fondata sulla demagogia, attraverso la quale si riesce a far credere che tutti possono ottenere ciò che vogliono. Dopo la pulizia del territorio, che le forze di polizia realizzarono con “l’Operazione Primavera”, riuscì a creare, reclutando persone che non trovavano più mezzi di sussistenza nell’illegalità, un movimento di pressione elettorale prima e politica poi. Infine attraverso il fenomeno delle liste civiche, produsse un consiglio comunale governato da regole di convenienza”.

Un destino inevitabile per le condizioni economiche sociali e culturali di questa città?

“Bisogna stare attenti con affermazioni di questo tipo perché il nemico più grande per Brindisi è la mancanza di speranza oltre che di fiducia. Bisogna aiutare questa città a scoprire la sua vocazione”.

Cosa serve esattamente?

“Un progetto nuovo che inneschi un cambiamento”.

Un buon progetto deve poter prevedere l’analisi di ciò che è stato e di ciò che è, per poter fissare obiettivi che saranno.

Cosa è stata Brindisi, fino ad ora, in questa ottica?

“Trovo che la città sia rinchiusa in se stessa, isolata. Credo che ciò sia dovuto al fatto che il porto appare come bloccato; da una parte i bidoni di nafta, dall’altra le servitù militari e infine l’area industriale. Noi lì. Soffocati come quel porto, simbolo di rassegnazione quando gli viene inibito il rapporto con l’oltremare. Ci siamo abituati a non guardare oltre”.

Qual è il presente in questa città?

“Lo studio di Tagliacarne l’ha collocata al trentatreesimo posto relativamente alle infrastrutture. L’università si è avviata. Tenga conto che conoscenza e infrastrutture sono i pilastri dello sviluppo. Il porto da oltre cinquant’anni non ha interlocutori nei paesi al di là del mare”.

Alla luce di ciò, quale potrebbe essere allora il futuro da progettare?

“La nostra piccola-media impresa trasferita in quei paesi potrebbe consentire, per questo territorio, nuove opportunità. Dobbiamo integrarci ad altre realtà. Credo che questa sia una prima strategia da perseguire. La seconda deve mirare allo sviluppo della conoscenza, una conoscenza mirata alle prospettive di sviluppo per la città. Le nuove facoltà universitarie, su cui investire, dovrebbero essere quelle che possono dare un contributo culturale per incentivare tutti i settori nuovi da avviare.

In questo modo avremmo una possibilità in più per recuperare le generazioni di giovani che sono il motore di una evoluzione positiva e garantire loro un lavoro qui nella loro città. A tale proposito ci tengo a dire che un contributo massiccio, in tal senso, sarà dato dal progetto culturale-scientifico frutto di una collaborazione integrata tra Comune, Provincia, Università di Bari e di Lecce e Politecnico. Questo progetto sarà definito entro la fine di Gennaio”.

Più volte ha fatto accenno al valore della integrazione. Questa città, come tutte quante le altre, si sta giocando la carta della legge 328 che prevede la costruzione di un sistema integrato che garantisca al cittadino una assistenza socio-sanitaria globale e complessa. Comune, Provincia ed ASL saranno in grado di definirsi per costruire aree di complementarietà efficaci ed efficienti?

“Posso rispondere della nostra capacità di definizione come Comune e posso dire che lo sforzo si sta compiendo da parte di tutti. Sono state addirittura registrate annotazioni polemiche rispetto all’intensità del rapporto che esiste tra Comune e Provincia. In questo però, sinceramente, non vedo nessuno scandalo, anzi, dovrebbe essere considerata una nota di merito se si crede nel valore della integrazione”.

Vuole dire che, nella ricerca di sinergie che vadano a vantaggio della città, non deve essere un deterrente l’appartenenza politica?

“Certo, se credi nella integrazione credi anche che ognuno può essere una componente importante del sistema e poi, posso essere uomo di parte come politico, ma nella carica di sindaco devo necessariamente considerarmi sindaco di tutti e quindi non arroccarmi in posizioni di faziosità”:

E’ per questo che ha dato le dimissioni come coordinatore di Forza Italia?

“Si, in questo momento il sentimento che prevale è quello di voler rappresentare la città più che il partito, avverto l’esigenza di svolgere il mio compito in una visione più ampia”.

Da deputato europeo, responsabile di una casa editrice, fautore di una iniziativa politico-culturale di grande rilevanza quale è la rivista nazionale “Ideazione”, a sindaco di Brindisi?

“Già, una nuova sfida, una bella scommessa quotidiana. In questo ruolo vivi la città come in nessun altro ruolo politico. Ogni giorno arrivando qui, mi fermano dieci, venti persone, ognuno con un suo problema, il rapporto con la gente è diretto. Il Comune viene considerato la casa del cittadino e ritengo che non possa essere respinto perché questa è casa sua. Persino quando ci sono manifestazioni di protesta preferisco interfacciare direttamente con le persone piuttosto che chiamare le Forze dell’ordine.

A quanto pare lei, nella sua vita, di sfide ne ha colte tante e tutte l’hanno vista estremamente capace e vincente.

“I miei amici mi dicono che appena raggiungo un obiettivo me ne pongo un altro”.

Lei è figlio di un capostazione delle ferrovie, quindi la sua famiglia era soggetta a continui trasferimenti, forse è questa condizione di vita che predispone ad una naturale tendenza al cambiamento?

“Può essere. Quello che so è che, di fronte all’attesa del trasferimento, vivevo un doppio sentimento. Da una parte il timore di lasciare il mio mondo, dall’altra la curiosità e il fascino verso nuove realtà. Ho mantenuto questa percezione di fronte ad ogni occasione che la vita mi ha offerto e ha vinto sempre la curiosità”.

Sua moglie e i suoi figli sono stati travolti da questo modello di vita?

“Loro mi amano molto e, per non subire passivamente tutto ciò, mi hanno sempre affiancato in maniera attiva sostenendomi efficacemente. Abbiamo costruito un quotidiano che, passando attraverso la collaborazione, è denso di significati, ricordi, affetto”.

Osservandola a distanza, in contesti meno pubblici, mi ha dato la sensazione che il suo relazionarsi contenga due caratteristiche. La prima è che guarda a ciò che accade attorno a lei come si guarda al villaggio dalla cima di un monte. La seconda è che, quando entra nel villaggio, vi entra con tutto se stesso, fino in fondo, proponendosi così com’è, in modo chiaro.

“Ritengo che ciò che lei dice sia rapportabile a due caratteristiche che sento mie, una è il bisogno di stare in un contesto definendomi, l’altra di definirlo. Nelle cose che ho fatto, tra politica e giornalismo, ho sempre ritenuto fosse onesto trovare e dare una chiave di lettura, un’interpretazione della realtà a cui si arriva attraverso un’analisi e una sintesi. Inoltre ho sempre ritenuto che sia giusto dire fino in fondo chi sei, cosa stai facendo, in ogni situazione. Solo così gli altri possono essere liberi di accettarti o no. Questo atteggiamento a volte mi può portare a frizioni iniziali, ma superato il primo momento riesco a costruire ottimi rapporti personali con tutti”.

Sono queste caratteristiche che gli hanno consentito di dare un contributo prezioso alla definizione della destra moderna. Sono queste caratteristiche che lo rendono capace di trovare risposte di cambiamento quando i contesti vivono momenti di rottura e discontinuità con il passato.

A lui interessa avviare processi nuovi attraverso progetti ben pianificati, perché in lui è viva la metafora di un treno. Quello che scandiva le ore della sua giornata quando viveva nelle abitazioni destinate alle famiglie dei ferrovieri. Quel treno che nella fanciullezza gli ha insegnato che c’è sempre una stazione da cui arriviamo, una stazione in cui ci fermiamo e un’altra da raggiungere.

Gli ho chiesto di fare un augurio, per il nuovo anno, a questa città e mi ha detto: “Forse facendo un augurio si rischia di cadere nel banale, preferisco fare un invito. Considerato che siamo in epoca di grandi cambiamenti storici, militari, economici e persino fisici, se pensiamo all’ultima tragedia in Oriente, voglio invitare tutti all’impegno di capire ciò che sta accadendo, per dargli un senso ed essere capaci di governarlo”.