I fratelli Bruno, una holding sanguinaria nata dai pascoli e finita con le pale eoliche. Marchiata Sacra corona unita

di GIANMARCO DI NAPOLI

Cinque milioni di euro. Tanto vale il patrimonio confiscato in via definitiva ai fratelli Bruno. E non un centesimo è di provenienza lecita. Da ieri è tutto confiscato definitivamente.

Eppure la storia della famiglia più sanguinaria della Sacra corona unita brindisina era iniziata con un altro tipo di sangue, quello dei capretti sgozzati la settimana prima di Pasqua dal padre Vincenzo che faceva il pastore sulle alture intorno al Gargano.

I Bruno sono originari di San Severo e il padre partiva dal Tavoliere verso la zona montuosa per lunghe e solitarie giornate con il gregge. Testimone di Geova, lui e la moglie, un’educazione rigida ai cinque figli: Cosimo, Giuseppe, Ciro, Antonio e Andrea.

Negli anni Settanta il trasferimento a Talsano, in provincia di Taranto. La famiglia vive lì, in una casa di campagna. Il padre trova lavoro a cinquanta chilometri di distanza, a Torre Santa Susanna, in contrada Canali, in una masseria in cui si allevano pecore e maiali e si producono latte e formaggi. Negli anni Ottanta ne diventa il padrone: compra tutto dal proprietario, un certo D’Andria che a Torre gestiva un cinema: la casa, il gregge e i terreni. E si trasferisce con moglie e figli.

I ragazzi però non hanno voglia di dedicarsi a pecore e capretti. A Taranto hanno conosciuto loro coetanei che girano con i soldi in tasca, le auto di grossa cilindrata e belle femmine sedute accanto. E’ il periodo in cui l’eroina è la droga più diffusa e chi la traffica non ha problemi di contanti. A quindici chilometri da Torre c’è Manduria e qui comanda Vincenzo Stranieri, il boss che con l’aiuto della moglie Paola Malorgio, è riuscito a costruire un canale privilegiato per la fornitura della droga con la ‘ndrangheta calabrese.

E’ Ciro Bruno che assume il controllo degli interessi famigliari. E’ il più duro e spietato: la prima volta che lo hanno arrestato, per possesso d’armi, mentre fa il militare.  Torre diventa in breve un luogo centrale per la distribuzione dell’eroina verso piazze importanti come Latiano e Mesagne. Nel frattempo proprio a Mesagne la Sacra corona unita sta cercando di strutturarsi in maniera territoriale, nominando capizona che siano in grado di controllare le attività illecite e portare soldi freschi nelle casse dell’organizzazione.

Da Torre non si può passare che da Ciro Bruno che diventa non solo il referente principale per la droga ma anche un elemento determinante quando si tratta di farla pagare con il piombo a chi può ostacolare la crescita dell’organizzazione. Una delle prime spedizioni di fuoco in cui si fa il suo nome è l’attentato al boss mesagnese Vincenzo Carone: lui resta ferito, la sua compagna Nicolina ammazzata. Si dice che in una delle due Renault 5 Turbo usate dal gruppo di fuoco ci fossero loro, i fratelli Bruno.

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta Torre Santa Susanna diventa la Corleone della “Scu”: omicidi, lupare bianche. Sembra un’ascesa destinata a non fermarsi mai.

Ma l’inizio della fine arriva, paradossalmente, proprio a causa di uno dei pusher utilizzati dai Bruno per lo spaccio: è un giovane latianese di nome Cosimo Capodieci. E’ tossicomane ma anche scaltro e ritenuto affidabile al punto che gli vengono confidati piani e ruoli dell’organizzazione.

Quando diventa il primo pentito della “Scu”, redigendo di suo pugno un “memoriale” nel quale vengono indicati per la prima volta nomi, fatti e persino le formule utilizzate per il giuramento, la storia della Sacra corona arriva già al primo capolinea. Scatta il blitz, oltre venti persone vengono arrestate: Pino Rogoli, Giuseppe Gagliardi, Giovanni Donatiello a Mesagne, Vincenzo Stranieri, Paola Malorgio e  Filippo Locorotondo a Manduria, Tonino Screti a San Pietro Vernotico, Giovanni Buccarella a Tuturano, Ciro e i fratelli Antonio e Andrea a Torre, Raffaele Brandi a Brindisi.

Ciro non uscirà mai più dal carcere.

A questo punto entra in gioco il fratello Antonio. Nel 1993, mentre a Brindisi è in corso il primo maxiprocesso alla mafia locale, arriva clamorosa la notizia della sua decisione di collaborare con la giustizia. Inizialmente il suo doveva essere un falso pentimento ma poi, messo alle strette dal pm Michele Emiliano, è costretto a  fornire prova della sua volontà di collaborare. Fa ritrovare i resti di Romolo Guerriero, una delle vittime della sua famiglia sanguinaria. Erano sepolti in contrada Monticelli, alla periferia di Torre. Poi però, alle 21.30 del 24 maggio 1993, mentre si trova nella caserma di carabinieri di Talsano dove ha avuto la possibilità di incontrare la moglie, riesce a fuggire. Per depistare le indagini spedisce in Italia sue foto con lo sfondo dell’isola di Margarita, in Venezuela. In realtà viene catturato in Germania, a Monaco di Baviera, nella pizzeria di un suo compare di battesimo torrese, dopo essere passato in Albania, in Montenegro (dove era stato arrestato e poi rilasciato dietro pagamento di tangente, poi in Romania e in Polonia.

Attualmente si trova detenuto in un carcere siciliano dove sta scontando l’ergastolo proprio per l’omicidio di Guerriero.

Sembra che la storia dei Bruno si chiuda qui anche perché Andrea non sembra poter avere lo spessore criminale dei fratelli maggiori. Mai errore più grande.

Scontata la condanna per mafia e tornato in libertà, Andrea Bruno riprende il controllo di masseria Canali e di Torre, serra le fila, aiutato da amici e nipoti. Non solo riattiva tutti i traffici lasciati in sospeso, droga, estorsioni tra tutte. Ma riesce a far compiere, unico caso in provincia di Brindisi, un salto di qualità decisivo alla malavita organizzata. Nel 2005, vero antesignano, entra nel business delle energie alternative, quello delle pale eoliche. Una società di Galatina decide di investire realizzando 62 pale nei terreni di Torre Santa Susanna, ovviamente tutti di proprietà della famiglia Bruno, nei terreni di contrada Canali.

E per poter realizzare il progetto, Andrea riesce a scendere a patti con la politica locale, provinciale e regionale, come dimostrano decine di intercettazioni telefoniche in possesso della Direzione distrettuale antimafia. E’ un’idea ambiziosa perché mai la “Scu” era riuscita a mettere il naso nel palazzo, a stringere rapporti d’affari con la politica e i colletti bianchi. L’idea è buona ma non verrà mai realizzata. Il 31 marzo 2008 i carabinieri circondano Torre Santa Susanna e mettono i ferri a tutto il clan. Andrea Bruno riesce a sfuggire alla cattura e resta latitante per un paio di mesi, sino a quando non viene catturato in un trullo poco lontano dal paese.

Ancora una volta la giustizia blocca l’ascesa della famiglia. E questa volta mette mano al patrimonio. Arriva il primo sequestro dei beni e poi il lungo cammino verso la confisca definitiva, che la difesa cerca di fermare in ogni modo, tentando di dimostrare che i beni erano esigui e soprattutto acquisiti legalmente.

La partita ora è persa definitivamente. Un patrimonio di cinque milioni di euro è nelle mani dello Stato. Ma pensare che la storia dei fratelli Bruno sia finita qui, potrebbe essere un altro errore.