La Corte di Cassazione scrive la parola “fine” alla storia di Filomena e della “sua” squadra mobile

Si chiude definitivamente la vicenda che quasi vent’anni fa creò una crepa nell’immagine della polizia a Brindisi e che solo dopo tanto tempo e grazie al lavoro di investigatori onesti e determinati è stata rimarginata: la Corte di Cassazione ha confermato le condanne nei confronti dei poliziotti della Squadra mobile coinvolti nell’omicidio del contrabbandiere Vito Ferrarese (foto), ucciso mentre era al timone di uno scafo carico di sigarette. Nove anni e due mesi di reclusione a Pasquale Filomena, capo della sezione catturandi della squadra mobile; quattro anni ai suoi due collaboratori principali, Emanuele Carbone e Giovanni Perrucci.

Loro tre non era nell’elicottero ma collocarono sullo scafo del contrabbandiere morto, una volta giunto nel porto di Brindisi, la mitraglietta che doveva dimostrare che in realtà la polizia aveva risposto al fuoco. Due anni e otto mesi a Mario Greco e quattro anni e tre mesi a Francesco Vacca: entrambi, con modalità diverse, fornirono una contributo per la determinazione della verità. Stralciate dal processo le due posizioni centrali, quella del questore Franco Forleo e dell’ex capo della squadra mobile, Pietro Antonacci. Per il primo, probabilmente, non si arriverà mai a sentenza in quanto colpito da una forma gravissima di morbo di Alzheimer e non più in condizione di essere giudicato. Per Antonacci si attende la sentenza definitiva dopo che la Corte d’Assise di Taranto lo aveva condannato a 15 anni e sei mesi per l’omicidio.

La sentenza della Corte di Cassazione mette fine alla storia controversa di un gruppo di poliziotti protagonista di imprese investigative di grandissimo rilievo e che poi crollò forse vittima della stessa fama e della sensazione di potere illimitato che i successi avevano portato.