
di GIANMARCO DI NAPOLI
Massimo Ferrarese si muove a suo agio nell’azzurro. Saranno i dieci anni vissuti aggrappato al sogno, divenuto presto una missione, di riportare Brindisi nel basket che conta e poi ancora più su. Sarà perché, nonostante l’idea innovativa del suo Laboratorio che a metà del primo decennio di questo secolo ha ridato linfa a un centrosinistra stanco e senza idee, la sua casa vera resta quella sul versante opposto dello schieramento, in una destra moderata che è ormai lontana dai progetti psichedelici di Berlusconi e che si avvicina tanto a quella rifondazione di una moderna Democrazia Cristiana che Pierferdinando Casini non è riuscito a ricreare.
In questo lungo processo di crescita politica che lo ha portato oggi a candidarsi alle Europee con il Nuovo Centro Destra, Ferrarese è finalmente un politico a tutto tondo che è riuscito a capitalizzare al meglio il percorso, spesso tortuoso, intrapreso da quando ha lasciato il timone di Confindustria Brindisi.
Il primo passo era stato inevitabile: l’avvicinamento a colui il quale era stato il suo punto di riferimento tra gli industriali. Luca Cordero di Montezemolo sembrava l’uomo adatto a far compiere all’Italia i passi giusti verso il superamento di una crisi che era alle porte ma di cui ancora non si intuiva la portata. Montezemolo era il trait d’union tra la lobby degli affari e quella della politica e questo era il suo punto di forza ma si è rivelato anche l’elemento decisivo per tenerlo fuori dall’agorà al momento in cui si è trattato di scegliere il cavallo giusto su cui puntare.
Per Ferrarese il presidente del Cavallino rampante ha rappresentato il primo contatto con i piani alti della politica nazionale, l’ingresso nei salotti importanti, la possibilità di essere apprezzato per quelle doti che Montezemolo aveva individuato bene e che non perdeva occasione di lodare pubblicamente. Se fosse diventato presidente del Consiglio, di sicuro gli sarebbe toccato un ruolo governativo. Ma forse sarebbe stato troppo presto, perché Ferrarese aveva compiuto passi importanti ma gli mancava ancora una scuola politica di livello nazionale.
Il passaggio con Casini è stato per lui fondamentale da questo punto di vista. E’ vero, probabilmente ha dato molto di più all’Udc di quanto non sia riuscito a ottenere (in Puglia lo scudocrociato ha raggiunto risultati assolutamente in controtendenza con buona parte del resto d’Italia) e ha incassato con sportività il voltafaccia al momento della presentazione delle liste per le elezioni al parlamento. Ma d’altro canto è entrato nel cuore della politica pura, quella che gli ha trasmesso Angelo Sanza, uno della scuola democristiana di Ciriaco De Mita.
Terminata l’esperienza con Casini, che molto presto è poi caduto in disgrazia e che – guarda il destino – è stato costretto per riemergere ad appiccicare il marchietto del suo partito sotto quello dell’Ncd, Ferrarese è entrato nel nuovo partito di Angelino Alfano non più con il piglio dell’apprendista ma con quello del leader.
Il congresso di Roma, al quale è giunto già con i gradi di numero due in Puglia, ma di fatto numero uno visto che il barese Massimo Cassano ha una dimensione più romana che regionale, lo ha definitamente consacrato come politico di caratura nazionale. Lo si è notato dal ruolo che ha assunto nel ristrettissimo cerchio delle persone di fiducia nel leader nazionale, dal seguito e dalle testimonianze d’affetto ricevuto nella tre giorni romana, ma soprattutto lo si intuisce dalle prospettive che egli stesso può offrire a un partito che, proprio perché ancora soffre delle cicatrici dell’eredità berlusconiana, ha bisogno di personaggi che abbiano carisma, idee, capacità manageriali e una carriera politica trasparente per costruire le basi di un’esperienza di primissimo piano al governo del Paese.
Allo stesso modo, Ferrarese rappresenta una speranza autentica per la provincia di Brindisi prima di tutto, e poi per l’area ionico-salentina e per tutta la Puglia visti il disperato tentativo di Raffaele Fitto di sopravvivere alle sue disavventure politiche e giudiziarie e al crollo delle sue quotazioni nell’entourage dell’ex Cavaliere, e visto anche l’improvviso ridimensionamento di Michele Emiliano sul fronte opposto.
Il ragazzo che iniziò la sua strada risollevando le sorti della Prefabbricati Pugliesi resta davvero l’unico punto di riferimento per le ambizioni di rinascita di questa terra, buona da tempo solo per la conquista di bandiere blu e stelle sulle guide turistiche, ma lasciata ai margini degli investimenti industriali, tagliata fuori dalle linee di trasporto, trasformata in un baronato governato solo da ambizioni personali i cui profitti vengono spartiti tra pochi intimi.
Ferrarese esce da Roma come l’uomo che può avviare il cambiamento. Ne ha gli strumenti, ha “studiato” per poterlo diventare, e ha trovato una “casa” che gli consentirà di provare a farlo. In più l’azzurro gli porta bene.