“Ho colpito il dottor D’Autilia: ho sbagliato e me ne assumo la responsabilità. Ma sino al momento prima dello schiaffo avevo ragione io/L’intervista

di GIANMARCO DI NAPOLI

Vincenzo Semeraro, lei fa l’imprenditore, ha un’azienda di impianti elettrici. Ma è anche l’uomo che ieri mattina ha colpito con uno schiaffo un medico del Pronto soccorso di Brindisi. Un episodio gravissimo.

“Sì, ammetto di avere sbagliato, che la mia è stata una reazione esagerata, ne sono consapevole e me ne assumo le responsabilità. Ma le posso assicurare che sino a un attimo prima di colpire il dottor D’Autilia io avevo ragione”.

Adesso racconterà che era nervoso per sua madre, che al pronto soccorso c’è sempre fila, che ha perso la testa.

“No, guardi. Intanto la signora che ho accompagnato in ospedale non è mia madre ma una zia di mia moglie. Ha 64 anni ed è malata allo stadio terminale. Le racconto come sono andate le cose e lo faccio per un motivo molto semplice: ho sbagliato, lo so, ma non voglio passare per un pazzo o per un violento che si mette a picchiare la gente. Tanto meno un medico”.

Allora, lei ha accompagnato la zia in ospedale. E poi?

“Sì, erano le dieci di sera. Lei non ha figli, ha un cancro cerebrale, le resta poco, le vogliamo bene. Lunedì sera era in uno stato di torpore, il corpo pieno di metastasi. L’ho portata al pronto soccorso, l’hanno visitata e messa in barella. Hanno detto che non c’erano posti per ricoverarla e che bisognava aspettare il mattino dopo. Sono stato accanto a lei sino alle 5.30, poi sono andato da un’infermiera, ho lasciato il mio numero di telefono chiedendo di chiamarmi se ci fossero state novità. Avevo bisogno di qualche ora di sonno, di tornare da mia moglie e dai miei due bambini”.

Ha lasciato la signora sola?

“Macché, è rimasta con lei la sua badante per assisterla. Non l’avrei mai abbandonata così”.

Quando è tornato in ospedale?

“Alle 9,30. La zia era ancora sulla stessa barella, sudata. Con il pannolone sporco. Mi sono seduto di nuovo accanto a lei e ho aspettato sino a mezzogiorno. Siccome questo era l’orario in cui dai reparti ci sono le dimissioni e dunque si poteva essere liberato un letto per ricoverarla, ho chiesto a un’infermiera notizie e lei mi ha detto di aspettare un secondo, che chiedeva al medico. La porta è rimasta semiaperta. Ho sentito il dottore che urlava dicendo che l’avevamo lasciata lì e che quello non è un albergo. Poi altre frasi per le quali mi sono sentito offeso: non sono il tutore della zia, non sono tenuto ad assisterla, ma ero stato lì tutta la notte e quando ero andato via avevo comunque lasciato la badante e il mio numero all’infermiera. E nessuno mi ha chiamato”.

E cosa è successo a questo punto?

“Sono entrato nell’ambulatorio e ho chiesto al dottore perché stesse urlando contro di me, lui si è arrabbiato di più, mi ha preso per un braccio e mi ha tirato verso la porta dicendomi che non mi dovevo permettere di entrare. Ha anche detto delle parole offensive nei miei confronti. Ecco, fin qui, fino a questo momento, avevo ragione io”.

E dopo?

“E dopo ho sbagliato. Gli ho dato uno schiaffo. E’ stato un errore, ma ho perso la testa. Dopo una nottata passata in quelle condizioni, un’altra mattina ad aspettare e poi essere trattato così, come se avessi abbandonato la zia che invece non è rimasta sola un secondo”.

E’ arrivata la polizia subito dopo.

“Sì, mi hanno portato in ufficio. Ho raccontato quello che ora sto dicendo a lei. Ho ammesso di aver dato uno schiaffo al dottore. Non sono uno violento. Ma quando lo stomaco ti gira non deve succedere, ma succede”.

Sotto l’articolo che parlava dell’aggressione al dottor D’Autilia, oltre a tante testimonianze di solidarietà, ci sono stati in molti su Facebook che in qualche maniera hanno giustificato il suo comportamento.

“No, non voglio questo. Quei commenti incitano alla violenza e quello che ho fatto non deve essere da esempio per nessuno. Spero che il mio errore serva comunque a riflettere. Anche a chi sta dall’altra parte e che a volte non si rende conto di cosa significa aspettare per una notte intera e poi mezza giornata ancora, senza avere risposta”.

Sua zia l’hanno ricoverata alla fine?

“Sì, in medicina. Ora vado al lavoro e poi torno a trovarla”.