In carcere per tre anni. Da innocente

Mille giorni dietro le sbarre. Due anni e nove mesi privato della sua libertà, della sua dignità, dei suoi affetti. Senza colpe, da innocente. Fabio Bonifacio, 33 anni, vive oggi lontano dalla sua terra, dalla sua San Pietro Vernotico, a Torino. Lì ha rimesso assieme i cocci della sua esistenza. Una vita fino a 10 anni fa tranquilla, scandita dal tempo trascorso con gli amici e a spaccarsi la schiena tra i campi, che una serie di sfortunate coincidenze, una magistratura fin troppo zelante e un senso di solidarietà spinto oltre il limite di sicurezza, hanno quasi distrutto per un concorso in estorsione mai commesso.

La sua storia, sotto la testatina “Malagiustizia”, è raccontata oggi su “Panorama” dalla giornalista Annalisa Chirico, autrice del libro “Condannati preventivi”. Due paginate per ricordare che no, la Giustizia italiana non è infallibile. E che se anche la sua articolazione in tre gradi di giudizio può riparare laddove altri giudici hanno sbagliato, nessuno può tuttavia restituire a un uomo gli anni di prigionia che ha dovuto ingiustamente subire; né può cancellare dalla sua mente l’immagine straziante di una madre a cui cedono le gambe davanti alla parola “condannato”.

Il calvario di Fabio Bonifacio ha inizio la sera del 26 novembre del 2002. Fabio è con un amico, di ritorno da una festa. I due notano sul ciglio della strada un’auto abbandonata. Fabio riconosce la vettura: è del suo amico Andrea. Si reca a casa del padre di quest’ultimo e insieme recuperano l’auto. Il giorno dopo il papà di Andrea, Oronzo, spiega a Fabio che il figlio è stato vittima di un sequestro di persona lampo. Qualcuno vuole del denaro da lui. Chi? Un certo R. R. Fabio conosce anche lui, e dopo poche insistenze, accetta di mediare tra vittima e carnefice. Fabio accompagna il genitore dell’amico a casa dell’estorsore. Si accordano per 5mila euro, a fronte dei 30mila pretesi.

Sembra tutto finito. Ma per Fabio Bonifacio è solo l’inizio. La sera del 24 gennaio il giovane viene arrestato dai carabinieri dopo ore di interrogatorio. Gli inquirenti non credono alla sua storia, alla mirabolante serie di coincidenze: Fabio che casualmente passa di lì, Fabio che ritrova l’auto del suo amico, Fabio che conosce anche l’autore del sequestro lampo, Fabio che si espone lungo il labile limite della legge per mediare fra vittima ed estorsore. Non gli credono nemmeno i giudici, che il 18 novembre del 2004 lo condannano a 5 anni di reclusione. Il dibattimento sembrava volgere a suo favore. Nessuno che lo accusasse o tirasse in ballo, nessuna intercettazione o altra prova. Nulla: solo quelle strane coincidenze. Alla giornalista Annalisa Chirico ammette: “Ho pensato spesso al suicidio. Sono stati i miei compagni di cella a salvarmi la vita”.

Frattanto si apre il processo d’Appello. Questa volta il castello imbastito dall’accusa crolla, spinto verso il basso dalla totale assenza di fondamenta. Il 27 ottobre del 2005 Fabio Bonifacio è assolto “per non aver commesso il fatto”. E torna in libertà.
Potrebbe riprendere il filo della sua esistenza da dove lo aveva lasciato, lì a San Pietro. Ma preferisce di no: meglio allontanarsi e dimenticare tutto. Oggi Fabio vive a Torino con sua moglie e sua figlia. Alla quale, dice: “Insegnerò che fidarsi delle istituzioni non è sempre una buona cosa”.