Massacrata di botte per anni dal marito, salva grazie alla figlia malata. Ora vivono nell’indigenza totale: “Il Comune mi chiede di pagare le tasse”

di GIANMARCO DI NAPOLI

“A volte penso che sia inutile andare avanti. Ma poi guardo negli occhi mia figlia. Lei è forte e coraggiosa. E allora mi ricordo qual è l’unico scopo che mi è rimasto: farla crescere con le stesse opportunità che hanno le altre, cercare di farle mancare il meno possibile, nonostante le manchino tante cose”: chiameremo Lisa la mamma e Paola la sua ragazzina, perché questa storia è troppo dolorosa per raccontarla tutta, per svelare chi ne sono le reali protagoniste.

Lisa è una donna la cui bellezza non è sfiorita nonostante porti i segni di anni di violenza subita dall’ex marito: è quasi sorda, ha una mandibola spostata e su tutto il corpo i dolori di fratture ormai ricomposte ma che la tormentano, dentro e fuori. La picchiava, con le mani, i pugni e con il calcio della pistola, che deteneva legalmente. Poi l’accompagnava lui stesso in ospedale per controllarla, mica per soccorrerla e lei recitava il solito copione: “Sono caduta dalle scale”.  I medici la prendevano da parte, avevano capito: “Signora, non sono ferite da caduta dalle scale, ne è proprio certa?”. Ma lei non cedeva.

“Mi ha salvata mia figlia, altrimenti quell’incubo non sarebbe mai finito”. Paola aveva sette anni e stava nella sua cameretta, come ogni santo giorno, quando il padre le dava di brutto alla sua mamma. Ma quella volta fu l’ultima. “Io ero distesa sul divano, lui continuava a picchiarmi. Lei prese il telefono e chiamò il 113. Il mio papà sta ammazzando la mamma. Arrivò la polizia. Quel giorno capì che non potevo più sopportare, che non sarebbe cambiato nulla, che mi avrebbe ammazzata”.

Paola è un’adolescente che frequenta con profitto la scuola superiore. E se la guardi su Facebook sembra una qualsiasi delle sue coetanee, spensierate e felici. Quanti segreti dietro quelle foto. Ha una patologia rara che la costringe spesso ad assentarsi da scuola. Richiede cure specialistiche costose e i Servizi sociali le passano solo 500 euro all’anno per le terapie. Troppo pochi per sperare di curarsi adeguatamente.

Ma è una tosta, Paola. Quel giorno in cui chiamò la polizia decise che con il padre era finita. E ha sopportato decine di interrogatori, alla presenza di psicologi e davanti alle telecamere. Perché erano ancora i tempi in cui le donne erano poco tutelate e il padre diceva che mai aveva picchiato la moglie, che lei era pazza e la figlia si era inventata tutto. In questi anni ha ripetuto, tutto, ogni volta, e quel padre non l’hai più voluto guardare in faccia. Un uomo che ha continuato a perseguitarle per anni, a minacciarle, specialmente quando si è reso conto che andava a finire che lo condannavano davvero.

A scuola la conoscono la storia di Paola e quando è il periodo delle udienze c’è un piccolo cordone di sicurezza intorno a lei, fatto di professori e di compagni, perché quello gira intorno all’istituto minacciosamente. Del resto l’aveva detto a Lisa: “Se mi denunci io uccido tua figlia”. Il suo prof di Religione, che è anche parroco, le ha comprato i libri e la segue negli studi, soprattutto quando si assenta per curarsi.

Il padre non si è fatto neanche un giorno di galera. Si è ricostruito una vita, una nuova famiglia. Non ha mai dato un euro, nemmeno per la figlia, non si è mai interessato di come fanno a campare. “Ho venduto tutti gli ori e quello che in casa aveva valore”, racconta Lisa mentre siamo seduti nel salotto di casa, lo stesso in cui veniva massacrata di botte. Un appartamento popolare al rione Sant’Elia, quasi vuoto. La cucina è fuori uso, non c’è una lavatrice. “Per mangiare prendiamo il pacco dalla Caritas. Ci va mio padre ogni giorno, io mi vergogno un po’. Qua e là oggetti di Paola: “Sono piccoli regali dei miei genitori, quando va in ospedale per curarsi, per le sue promozioni. A scuola va bene, nonostante tutto”.

Lisa viene seguita da un centro antiviolenza e dai Servizi sociali. Cerca lentamente di venirne fuori ma non è facile. La vicenda giudiziaria non si è conclusa: il marito è stato condannato in primo e secondo grado a sei anni di carcere, ma per ora vive libero e la cella non l’ha mai vista. La partita non è chiusa, manca la sentenza della Cassazione, e lei ha ancora paura. Perché dopo le botte ha vissuto per anni l’incubo della persecuzione e delle minacce: gomme tagliate, messaggi minatori, persino sul web, finanche alla figlia.

Mentre parliamo in salotto squilla il telefono. E’ un altro incubo quello, perché il contratto è intestato al suo ex marito e la Telecom non lo vuole disattivarlo perché deve essere lui a farlo. E allora la linea è rimasta, solo in ricezione perché in uscita è stata ovviamente tagliata da anni. Lisa ha provato a staccare l’apparecchio per non sentirlo più squillare, ma la presa nel muro squilla ugualmente. Un incubo. Un legame con il passato che non riesce a cancellare.

Ora l’ultima batosta. Nonostante la situazione economica e fisica, sua e della figlia, sia stata documentata, il Comune di Brindisi le ha presentato il conto salatissimo per la tassa sui rifiuti. In passato era stata esantata, ma ora no. La Abaco la invita al pagamento e non accetta neanche ratezzazioni. “Ma come posso fare a pagare, se non ho neanche i soldi per magiare?”, dice mostrando la lettera che ha scritto al prefetto, dopo aver cercato invano di incontrare il sindaco. Ha trovato un lavoro, precario, per due mesi e mezzo. Ma presto finirà. E lei, con i suoi problemi di udito e la mandibola spostata che le provoca continue emicranie, non può svolgere qualsiasi mansione. “L’affitto lo pago grazie all’aiuto delle mie amiche e dei miei genitori. Non voglio l’elemosina ma non ho i soldi per curare adeguatamente mia figlia e le mie patologie, come faccio a pagare tutti quei soldi di tasse?”.

Lisa ha lo sguardo misto di fierezza e dolore: “Ho un grande amore per mia figlia, alla quale devo la vita. Ma avrei preferito non essere sopravvissuta a tanta sofferenza. La rabbia, il dolore, i ricordi, si tramutano nell’energia che mi dà la forza ancora di bussare a tutte le porte e continuerò a farlo. Alcune persone, anche in condizioni economiche migliori dalle mie, sono state esentate dalle tasse. Perché nella mia situazione nessuno aiuta me? Eppure ne ho tanto bisogno. Mi vergogno tanto, di tutto”.