Il pensionato aveva subìto due attentati. E stavolta non volevano solo gambizzarlo: l’omicidio Vero assume all’improvviso contorni ancora più inquietanti

di GIANMARCO DI NAPOLI

La morte di Gerardo Vero non è stata un evento fortuito: i killer entrati nella sua abitazione l’8 dicembre scorso volevano ammazzarlo e non solo ferirlo alle gambe, come si era pensato in un primo momento. L’esame autoptico e i rilievi di polizia scientifica effettuati nella stanza da letto del pensionato hanno portato alla luce una dinamica diversa da ciò che era apparso in primo momento: i due killer armati di pistola (una semiautomatica calibro 7,65 e un revolver calibro 38) sono entrati nella villetta di via delle Pesche, a Tuturano, con l’intento di crivellare di colpi il pensionato. Ed erano perfettamente a conoscenza delle abitudini della famiglia e della disposizione delle stanze della casa.

L’autopsia, svolta dal medico legale Antonio Carusi, ha rivelato che il costruttore 74enne è stato raggiunto da nove colpi esplosi dalle due pistole, che gli hanno frantumato le ossa delle gambe ma anche il gomito. Vero ha tentato istintivamente di difendersi dalla pioggia di fuoco sollevando le gambe e poi ranicchiandosi nel letto, questo hanno stabilito i rilievi, ed è per questa posizione che le pallottole lo hanno centrato principalmente agli arti inferiori, che non erano però l’obiettivo degli assassini. I quali hanno invece mirato in alto, come dimostrano i fori sul marasso.

I killer sapevano perfettamente dove si trovava la stanza matrimoniale, di fronte a quella occupata dal figlio Giuseppe, ed erano a conoscenza del fatto che la moglie di Vero non poteva essere in casa perché fa la badante a una vecchietta da cui va a dormire per sei volte alla settimana. Il figlio è uscito dalla stanza solo quando le detonazioni delle pallottole erano finite e questo, probabilmente, gli ha salvato la vita.

Nelle ultime ore è emerso un altro elemento importante. Per due volte, tre mesi addietro e poi solo venti giorni fa, l’auto di Vero, una Ford C Max, era stata danneggiata con piccoli incendi. Episodi che il pensionato aveva ritenuto opportuno non denunciare, forse sottovalutando gli eventi.

Dunque c’era qualcuno che lo aveva preso di mira in maniera decisa dando il via a una vera e propria escalation delle ritorsioni nei suoi confronti sino a giungere all’atto finale, l’omicidio. Un delitto consumato con una dinamica assolutamente inedita a Tuturano, persino nei periodi di sangue degli anni Novanta. Mai un omicidio era stato commesso in casa.

E un delitto dalle modalità tipicamente mafiose, in un centro che comunque viene indicato come ancora controllato da personaggi legati alla criminalità organizzata, può essere letto solo in due modi: o è stato compiuto con il placet di chi in questo momento controlla la malavita tuturanese, o è stato una sorta di “affronto” alle perverse logiche che regolano gli equilibri criminali. E che potrebbe aprire nuovi fronti.

La squadra mobile di Brindisi sta cercando di venire a capo del giallo, ma le indagini non sono semplici. Vero, che pure si è trovato spesso in una posizione border-line, ha vissuto le sue disavventure giudiziarie sempre limitatamente alla sua attività di imprenditore (emissione di false fatture e bancarotta fraudolenta). La sua azienda, passata nelle mani del figlio, non vive in buone acque. E l’aspetto economico, forse quello di un prestito non onorato, potrebbe essere un movente verosimile anche se ha poi prodotto un’esecuzione dalla dinamica assolutamente spropositata e inedita: un gruppo di fuoco per crivellare di colpi un vecchietto nel suo letto. La criminalità non era mai stata così spietata.