Fanghi del porto di Taranto sepolti tra gli ulivi del Brindisino: via al processo

Via al processo per reati ambientali a carico di 13 imputati, 10 persone fisiche e 3 società, accusati a vario titolo di aver ‘tombato’ i fanghi provenienti dal porto di Taranto e in particolare dalla dismissione del sito Belleli, negli uliveti del Brindisino. Si sono costituiti parte civile il Ministero dell’Ambiente, la Provincia di Brindisi, il Comune di Mesagne, le associazioni Salute Pubblica e Italia Nostra e alcuni proprietari dei terreni. Sull’ammissibilità deciderà il giudice monocratico Genantonio Chiarelli dinanzi al quale si è celebrata la prima udienza, subito rinviata.

Il pm Giuseppe De Nozza, che ha coordinato le indagini condotte dal Noe di Lecce, ha ipotizzato a carico degli imputati reati ambientali, tra cui la gestione di discariche non autorizzate e il trasporto di rifiuti speciali pericolosi, e illeciti amministrativi per lo più a carico delle aziende coinvolte. Nell’ambito dell’inchiesta sono state sottoposte a sequestro cinque diverse aree coltivate a uliveti e frutteti e ricadenti a metà strada tra i territori di Brindisi e Mesagne: una di 10.000 metri quadri, un’altra di 17.000, una 300 e infine due terreni di 20.000 metri quadri complessivi. Secondo quanto accertato il materiale di risulta, costituito oltre che dai fanghi di anche da plastiche ed inerti da demolizioni edili, non sarebbe stato utilizzabile per ripristini ambientali in terreni agricoli, essendo i fanghi impiegabili solo per ricolmamenti in aree ad uso industriale con falda acquifera naturalmente salinizzata.

I fanghi derivavano dall’intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda superficiale nell’area ex Belleli, a ridosso dell’Ilva, in cui la “Belleli offshore”, a partire dal 1981, ha svolto attività di sabbiatura, verniciatura e assemblaggio di elementi di piattaforme petrolifere. Il processo è stato aggiornato all’11 giugno prossimo per le questioni preliminari.