Storia di Antonio, vissuto neanche 15 anni

di Gianmarco Di Napoli

La casa di Antonio Volpe stasera è vuota. Sono tutti intorno alla sua bara bianca, nell’obitorio dell’ospedale. In via Mazzini c’è un cucinino e una sola stanza, ingresso in comune con quello di un’altra sfrattata, poi un corridoio stretto e buio che separa i due “appartamenti”: Stefania, la mamma di Antonio, paga 350 euro al mese per quel buco senza neanche un balcone. Dormono tutti in una sola stanza, lei e i suoi quattro bambini. Antonio era il secondo, il fratello più grande ha 16 anni, il più piccolo quattro e mezzo, tutti maschi. Il papà vive in casa di una parente e Stefania si spezza la schiena dalla mattina alla sera per farli mangiare.
L’ultima immagine che Antonio si è portato via da quella casa, domenica mattina, è della sua mamma che cercava di capire dove andare a sbattere ora che il nuovo sfratto è diventato esecutivo e che a giorni dovranno traslocare di nuovo, chissà dove, come quando erano stati costretti a lasciare la casa all’Annunziata. Buttati fuori da casa lei con i suoi bambini e la vicina che abita dall’altra parte dell’ingresso comune e paga 30 euro di più perché le è toccato un pezzo di balcone di due metri quadrati.
Antonio e il fratello maggiore hanno preso l’autobus per il mare. Loro e un gruppo di amici, la stessa piccola comitiva che tutti i pomeriggi si ritrova al Top Center, la videoteca ad angolo tra via Mazzini e via Palestro, a 50 metri da casa. Qui, in una stanzetta, gli adolescenti si incontrano per condividere la loro passione per le carte Naruto, eroi giapponesi dei cartoni animati. E’ diventato un punto di ritrovo, di aggregazione, messo a disposizione volentieri dal giovane proprietario. Non c’è nient’altro da queste parti, soprattutto per chi non se lo può permettere.
Anche oggi sono lì, intorno al tavolo rettangolare: “C’ero anch’io a mare con loro”, racconta un ragazzino alto, con i capelli bianchi e la barbetta adolescenziale. “Eravamo tutti a riva a giocare, poi è arrivata un’onda, la risacca, mi sono girato e non ho visto più nessuno”.
Antonio era vestito e mai avrebbe sfidato il mare in tempesta. Semplicemente perché non sapeva nuotare. Era nell’acqua che gli arrivava alle caviglie e non aveva nessuna intenzione di bagnarsi i pantaloncini a pinocchietto né tantomeno la maglietta. E invece la risacca di lido Poste l’ha portato via, ha perso l’equilibrio, è caduto ed è scomparso tra le onde. Gli altri sono rimasti a galla e hanno tenuto duro. Lui no, non poteva.
Il telefono nella casetta di via Mazzini è squillato alle 14.30, più di un’ora dopo. “Signora, siamo la polizia. Venga in ospedale, i suoi figli si sono fatti male in spiaggia”. Stefania non poteva sapere. Ha lasciato i bimbi più piccoli alla vicina ed è andata al Perrino. Lì si è trovata un figlio in coma e l’altro che piangeva disperatamente. E non è più tornata.
Il giorno successivo Antonio, che doveva compiere 15 anni il 7 luglio, avrebbe dato gli esami orali di terza media. Voleva prendere l’Alberghiero, ché là si studia ma si lavora anche, e avrebbe potuto dare una mano a mamma e ai suoi fratelli. Ora l’ingresso della “Virgilio” è tappezzato di manifesti e i compagni non si danno pace. Hanno preparato una lettera che leggeranno durante la messa d’addio, giovedì mattina alle 10, presso il Duomo. Ricorderanno la sua generosità, il suo tenere la testa alta nonostante vivesse in una situazione di disagio da quando era nato. “Un angelo”, l’ha definito la sua insegnante d’italiano Fernanda De Pascalis che, alla notizia della sua morte, ha deciso di sospendere gli esami in segno di lutto.
Ora Antonio rivivrà in altri ragazzi ai quali saranno donati i suoi organi. Un ultimo gesto di generosità e di altruismo, al termine di una vita troppo breve ma nella quale ha avuto il tempo di rendersi indimenticabile. Povera stella.

(Nell’immagine grande il Top Video Center. La foto di Antonio è tratta da BRINDISI OGGI)