di GIANMARCO DI NAPOLI
Antonio Corlianò è stato sempre uno maledettamente concreto. Anche per andarsene ha scelto le vie brevi, un mesetto di malattia a cavallo tra Ferragosto e settembre, il tempo di salutare tutti e di non dare troppa noia a figli e nipoti. Lui era fatto così, moderatamente incazzato, con quelle rughe profonde che gli solcavano la fronte e la sigaretta eternamente accesa.
Un personaggio che sembrava venuto fuori dalla fantasia di Hugo Pratt, ma con una umanità che non t’aspettavi perché riusciva a mistificarla dietro quella maschera, quella voce levigata dalla nicotina, quello sguardo severo che all’improvviso si diluiva in una risata spontanea e coinvolgente.
Se la New Basket è stata una creatura voluta e finanziata da Massimo Ferrarese, è probabile che senza Corlianò essa non avrebbe mai raggiunto i risultati straordinari ottenuti in meno di dieci anni. Perché era lui l’uomo di macchina, che riusciva a miscelare le doti dell’imprenditore a quelle dell’appassionato di basket (aiutato in questo dai figli Gianluigi, Mino e Sergio e spalleggiato dalla moglie Teresa), a quelle dell’incantatore. Sì, Antonio era uno straordinario incantatore. Il primo a farne le spese fu Massimo Bianchi, coach della New Basket 1.0, convinto dal presidente a dare l’ok all’arrivo di Claudio Bonaccorsi mentre, seduto sulle scale esterne del palasport, quasi piangeva perché non voleva caricarsi il fardello di quel gran rompiballe del “Bomba”.
Corlianò era l’uomo chiamato a spegnere i fuochi pirotecnici del tifo quando i grandi risultati spingevano ad affrettati sogni di gloria, ma anche a risollevarne il morale nei momenti bui, quando la delusione rischiava di spegnere l’entusiasmo. Fu in una di quelle occasioni, in cui sembrava che tutto fosse compromesso, che “sparò” ai microfoni tv il proverbiale e geniale “Risorgeremo” che restò da quel momento in poi il suo cavallo di battaglia. Anche perché la New Basket risorse davvero e lui sollevò ben due coppe per la vittoria del campionato di Legadue, una Coppa Italia e accompagnò la squadra in giro per i parquet più rinomati dell’Italia cestistica, quella della serie A.
Da quando aveva lasciato la presidenza della società non aveva mai smesso di seguire la squadra, troppo forte erano quel legame e la passione viscerale per il basket nati quando frequentava l’industriale “Giorgi”, nella stessa classe di Piero Labate, totem nella pallacanestro brindisina degli anni Settanta.
A luglio si era rintanato, come faceva ogni estate, nella sua villetta nel cuore di Torre Santa Sabina, sede di epiche cene ai tempi della Prefabbricati Pugliese con i giocatori, Massimo Ferrarese e Antonello Corso. Era una specie di quartier generale nel quale nasceva la nuova squadra, ma con una solida base enogastronomica. Ma l’estate non l’ha finita.
Eppure al Palasport forse nessuno si accorgerà della sua assenza perché mai si era seduto nel parterre, neanche ai tempi belli, troppa sofferenza. Seguiva le partite nascosto in una piega del sottopassaggio o inerpicandosi dietro la gradinata, masticando nervosamente la sigaretta, consumando il corridoio accanto alle uscite di sicurezza. Per questo ognuno potrà immaginarlo ancora lì, in un angolino del Pala Pentassuglia, uomo semplice e schietto, in un mondo di superman.
(Foto Maurizio De Virgiliis)