Luperti, dalla “Scu” di papà alla Banda degli onesti. Ma Emiliano (ora) non ci crede

di Gianmarco Di Napoli

Lino Luperti mafioso o esempio di riscatto sociale? La ridondante campagna di delegittimazione condotta dal governatore Michele Emiliano nei confronti del figlio del boss della Sacra corona unita, divenuto assessore all’Urbanistica del Comune di Brindisi sino alla caduta della giunta Consales, ha raggiunto un punto di non ritorno. Con la decisione presa da Luperti di querelare il presidente della Regione (ma anche segretario pugliese del suo partito, il Pd), Emiliano dovrà spiegare perché egli abbia più volte tirato in ballo il nome di Luperti, ricordando sì i trascorsi del padre, ma alludendo evidentemente al fatto che il ragazzo abbia ereditato ben più che il semplice cognome.
La querela di Luperti ha origine dalle dichiarazioni rese da Emiliano alla Commissione antimafia: “L’idea che il figlio di Antonio Luperti e nipote di Salvatore Luperti (zio anch’egli condannato per mafia e poi ucciso nel 1998) fosse stato candidato nelle liste del Pd e avesse poi assunto il ruolo di assessore all’urbanistica – senza competenze specifiche in materia – mi aveva preoccupato fortemente”, ha puntualizzato seduto davanti a Rosy Bindi.
Lino Luperti è nato nel 1977. In quel periodo il contrabbando di sigarette viveva il suo periodo di massima integrazione con il tessuto sociale della città. Ben lontano dall’essere inserito nel codice penale, era considerato un reato amministrativo. L’unico sussulto ai monotoni cortei di alfette cariche di “bionde” era stata la sparatoria dell’11 settembre 1974 quando si erano affrontati a colpi di doppietta i Contestabile e i Ciciriello, le due famiglie che controllavano le sigarette. Sull’asfalto era rimasto il cadavere di Giovanni Contestabile mentre Mimmo Ciciriello era finito in Rianimazione.
I Luperti avevano percorso solita trafila, da “palo” a scaricatore sino organizzare squadre in proprio, con base operativa al rione Sant’Angelo.
Ma dieci anni dopo la situazione era cambiata drasticamente. La Sacra corona aveva compreso che il traffico di sigarette rappresentava un business miliardario e aveva messo il fiato sul collo dei capisquadra imponendo la tangente, dai 25 ai 50 dollari per cartone di “bionde”. L’alternativa era affiliarsi, mettendosi di fatto in società con la mafia. Tonino Luperti, così dicono le carte processuali, aveva scelto questa opzione, legandosi al boss di Tuturano, Salvatore Buccarella. Il bar Sayonara di Sant’Angelo non era solo la base operativa delle squadre dei Luperti, ma era frequentato dagli uomini che gestivano il racket delle estorsioni: Antonio D’Alò, detto Tonino Maradona, e Franco De Fazio (“Farfallone”) con i suoi scagnozzi. All’inizio degli anni Novanta Brindisi fu dilaniata dagli attentati ai negozi (50 bombe nel solo 1991) e dagli omicidi di mafia che si chiusero con la mattanza scatenata da quel serial killer sanguinario che fu Vito Di Emidio: oltre venti omicidi tra cui quello di Salvatore (1998) e Tonino Luperti (2000), uccisi entrambi a colpi di kalashnikov lungo la litoranea a nord di Brindisi.
Quando la guerra entrò nel culmine e ogni fazione cercava di mettere in campo tutti gli uomini abili e arruolabili, Lino Luperti aveva già conseguito il diploma di Perito programmatore al Commerciale “Marconi” e nel 1998 aveva iniziato a lavorare come operatore ecologico. Il padre lo volle tenere lontano da tutto.
Oggi è dipendente della multinazionale LyondellBasell con funzione di “analista chimico di laboratorio sui materiali prodotti dalla società al fine delle valutazioni fisico chimiche nel rispetto degli standard aziendali”.
Nei primi 39 anni della sua vita, cioè fino ad oggi, il figlio di Tonino Luperti ha mantenuto la fedina penale immacolata. E questo lo ha specificato anche Emiliano davanti alla Commissione antimafia.
E allora? L’ex magistrato è a conoscenza di altro? O semplicemente riesce difficile immaginare che un ragazzo cresciuto in una famiglia che campava con il denaro del contrabbando possa aver maturato una propria coscienza autonoma e un desiderio di rinvicita, un percorso di riabilitazione sociale che passa attraverso la via della legalità?
In altre parole, può aspirare il figlio di un uomo condannato per mafia, ma morto 15 anni fa, a vivere un’esistenza onesta e, ancor di più, a mettersi a disposizione della sua città ricoprendo i più importanti incarichi istituzionali? O quel cognome, quei ricordi funesti, restano un marchio che non potrà mai essere cancellato?
Lino Luperti sembra sicuro di sé e sfida pubblicamente Emiliano che, per altro, sei mesi fa lo aveva invitato a sostenerlo alle primarie per la presidenza della Regione: “Ho la coscienza pulita, lo querelo e mi ricandido”. Il governatore per ora tace: è in difficoltà o attende qualcosa?.
La città, che non aveva certo bisogno di finire ancor più nel tritacarne, spera che la favola di Lino Luperti, almeno quella, possa continuare. E che diventi qualcosa da raccontare con l’orgoglio della rivincita: il “figlio del boss” è capo di una banda. Quella degli onesti.

(Nella foto Lino Luperti con il padre Tonino poco tempo prima che venisse ucciso)