La nuova “Scu”, un surrogato di Facebook. Ma sarebbe un errore sottovalutarla

di Gianmarco Di Napoli

Le gloriose “sfoglie” utilizzate con la stessa disinvoltura con cui si può messaggiare su Facebook, gli smartphone con la leggerezza dei ragazzi che prendono appuntamento per la serata in discoteca. Solo che loro in discoteca ci andavano per piazzarsi nel parcheggio e incassare i soldi di chi andava a ballare, alle giostre si presentavano per farsi consegnare i biglietti gratis. E con la stessa boriosa prepotenza, ricattavano fiorai e negozianti, bruciavano auto, usavano senza far troppa differenza le mani o il piombo. Se questa è la nuova generazione della Sacra corona unita, quelli che 30 anni fa la fondarono con l’ambizione di contrapporla alla Camorra di Raffaele Cutolo, dovrebbero quantomeno ritirare il marchio, diffidare dall’uso improprio del giuramento, disconoscere la paternità e anche la parentela.
Il lavoro (ottimo) svolto dalla Squadra mobile di Brindisi svela l’esistenza di un surrogato della criminalità organizzata, un gruppo di uomini e donne che di fatto non sono in grado di gestire alcuna propria attività criminosa (non si parla di furti, rapine, traffico di droga, contrabbando, racket strutturato) e che concentrano i propri affari semplicemente sullo sfruttare il lavoro altrui. Attività principale, o quasi, la gestione dei parcheggi delle discoteche, probabilmente il piccolo taglieggiamento delle attività commerciali.
Gli uomini della Sacra corona 2.0 parlano, parlano assai. “La nostra famiglia sarà la più forte in assoluto, dobbiamo guadagnare i soldi adesso ché stiamo aiutando i ragazzi in galera”. Parlano assai, e scrivono altrettanto. Nelle celle gli agenti della polizia penitenziaria hanno trovato lettere da scriverci un libro, altro che pizzini. Luca Ciampi, il capo della banda, chiama “Nonno” Antonio Vitali, ma il “Marocchino” fondatore della Nuova Sacra corona unita ha meno di 50 anni.
Ma non traggano in inganno questa apparente fragilità del sistema malavitoso, la superficialità con cui figli e nipoti dei vecchi boss hanno surrogato la criminalità organizzata trasformandola in uno scatolone vuoto in cui tutti si chiamano “fratello” e non più “compare” e il trasferimento da un clan all’altro viene visto quasi alla pari di un cambio di casacca tra due squadre di calcio. La divisione generazionale è netta: da un lato la struttura originaria, murata viva nelle carceri di massima sicurezza, dall’altro le nuove leve, ritrovatesi a gestire la titolarità di una organizzazione della quale conoscono poco o nulla ma di cui hanno indossato le divise. I vecchi boss dal carcere possono fare poco: stremati dai rigori del 41 bis e da anni di detenzione, si accontentano di ricevere gli aiuti economici che arrivano loro dall’esterno e di mantenere una legittimazione spesso più teorica che reale.
Quelli di fuori hanno così totale carta bianca, atteggiandosi a ras dei quartieri, senza alcun controllo. Per ora lo spessore criminale pare talmente basso che paradossalmente preoccupano più i rapinatori dei supermercati e i truffatori delle vecchiette. Ma proprio per questa totale autarchia, da un giorno all’altro, magari per un banale incidente, le cose potrebbero cambiare, i fragili giuramenti di fratellanza andare in frantumi e venire alla ribalta chi non ambisce soltanto a fare il parcheggiatore abusivo. Ecco perché anche questa protostoria della Sacra corona unita va chiusa il più in fretta possibile.

La cronaca ()