Venticinque anni fa l’esodo degli albanesi: i brindisini unici eroi di quell’evento

di Gianmarco Di Napoli

I primi nove erano arrivati con un barchino salpato da Valona il 9 gennaio, altri cinque il 24 gennaio. Nessuno ci aveva fatto molto caso perché quella rotta era battuta ogni notte dagli scafi contrabbandieri e anzi erano gli stessi sigarettari a dare una mano a quei disgraziati in mezzo al mare. Anche febbraio era cominciato in sordina: due profughi il 4 febbraio, 22 il 15 febbraio, tre il 18 febbraio, ventisette il 22 febbraio, 13 il 23 febbraio, 25 il 25 febbraio.
A marzo 1991 cambiò tutto. L’1 sbarcarono a Brindisi 142 persone, il 3 marzo arrivarono 49 poveracci a bordo del peschereccio “Osmeni”, il 5 marzo altri 283 con i pescherecci “Nornamusci” e “Papa”.
Il governo centrale, da Roma, seguì con colpevole superficialità l’evolversi degli eventi. E se in quei giorni alla guida del Comune non si fosse trovato un giovane sindaco di 37 anni, Pino Marchionna, capace di individuare le giuste soluzioni, e soprattutto una città pronta ad aprire le proprie case ai 25 mila disperati che nel giro di pochi giorni si riversarono nelle strade di Brindisi, oggi forse staremmo a raccontare un’altra storia.
Nella tarda serata del 6 marzo diverse navi con migliaia di albanesi a bordo erano in rada nel porto esterno di Brindisi. All’alba, invano, militari a bordo di piccole motovedette della Capitaneria di porto cercarono di convincere i comandanti albanesi a tornare indietro. Alle nove del mattino il blocco era forzato: la motonave Illyria scaricò per prima sulla banchina 4.000 persone e subito dopo la “Kallmi” ne sbarcò altri mille. La motonave Tirana attraccò a Sant’Apollinare con tremila albanesi. Quindi decine di altri piccoli pescherecci.
In breve la città fu squarciata da sirene di ambulanze che facevano la spola tra il molo e il pronto soccorso dell’ospedale Di Summa. Donne incinte, bambini infreddoliti e disidratati, anziani. I pochi uomini delle forze dell’ordine tentarono di trattenere quella marea umana nel recinto della stazione marittima. Ma in breve tempo anche quel blocco fu forzato e 25 mila disperati si riversarono nelle vie della città.
Marchionna, cui da Roma non davano alcuna indicazione, decise autonomamente di giocarsi la carta della solidarietà: piuttosto che rischiare uno scontro tra i brindisini e i profughi, registrò un messaggio che venne trasmesso ogni quarto d’ora da tv e radio locali e con il quale invitava i suoi concittadini ad essere solidali con quella gente disperata, che aveva fame e sete.
E i brindisini, da soli, fecero fronte a quell’emergenza, aprendo le loro case, ospitando per giorni intere famiglie, raccogliendo abiti e biancheria, creando comitati d’accoglienza spontanei. Le parrocchie, spinte dall’arcivescovo Settimio Todisco, diventarono punti di aggregazione nel quale le famiglie riuscivano a ricomporsi dopo essersi perse durante lo sbarco. Le lezioni scolastiche furono sospese e le scuole vennero aperte per offrire un tetto ai profughi. Le mense delle grandi aziende furono sollecitate ad aumentare i pasti prodotti per sfamare gli albanesi mentre proseguiva un costante servizio di disinfestazione perché molti erano malati e frequenti erano i casi di pidocchi.
Solo giorni dopo, quando la situazione era stata affrontata eroicamente da una città di 90mila abitanti, da Roma cominciò a muoversi qualcosa. Arrivarono 200 alpini della brigata Pinerolo e cominciarono le operazioni di sgombero per alleggerire Brindisi da quei 25mila disperati. Si mosse anche la diplomazia e il ministro Claudio Martelli volò a Tirana stanziando immediatamente 10 miliardi di lire al governo albanese per bloccare altre partenze.
Per quegli atti di eroismo, la città di Brindisi è stata insignita della Medaglia d’Oro dal Comitato Internazionale dell’Unicef. Molti di quei 25mila disperati hanno iniziato una nuova vita in Europa, altri sono poi tornati in patria. Ma nella memoria di tutti resteranno quei giorni in cui, stanchi, affamati e disperati, trovarono sull’altra sponda dell’Adriatico la solidarietà, l’affetto e la fratellanza di una città che tornò ad essere Capitale d’Italia.
(Foto Damiano Tasco)