Fino a tredici braccianti stipati in un furgone, altri in auto, per trascorrere fino a 14 ore al giorno sui campi: da Villa Castelli, nel Brindisino, a Noicattaro nel Barese, ben 170 chilometri in tutto per andare a raccogliere l’uva su commissione di un’azienda. È quanto hanno rilevato attraverso indagini compiute con l’ausilio di intercettazioni telefoniche i carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana che stamattina hanno arrestato e posto ai domiciliari due persone, madre e figlio, su ordinanza di custodia cautelare chiesta dal pm Raffaele Casto e disposta dal gip Tea Verderosa.
Si tratta di Chiara Vecchio, 45 anni e Vito Antonio Caliandro, di 29 anni, entrambi di Villa Castelli, che rispondono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Le indagini sono ancora in corso ma a quanto rilevato erano più di 30 i braccianti sfruttati, quasi tutti italiani. Costretti a vivere in condizioni di indigenza: una di esse stamattina è stata scovata dai carabinieri in un garage di pertinenza dell’abitazione dei presunti caporali. Dormiva in un luogo angusto, adibito a deposito. L’inchiesta è partita dalla denuncia di una bracciante, disperata per le condizioni in cui il figlio veniva costretto a lavorare. Quando i carabinieri oggi all’alba hanno bloccato gli indagati, i due erano alle prese con l’allestimento di un nuovo viaggio verso Noicattaro. Risulta irreperibile una terza complice, una romena di 45 anni, per cui è stato disposto l’obbligo di dimora.
«Abbiamo rilevato condotte che offendono la dignità delle persone e offendono la dignità del lavoro. Perfino per utilizzare i servizi igienici i lavoratori dovevano chiedere il permesso, avevano a disposizione una tessera magnetica e venivano controllati». Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Brindisi, Marco Di Napoli, oggi ai giornalisti durante la conferenza stampa in cui sono stati illustrati gli esiti dell’inchiesta.
Il reato contestato è stato introdotto nel 2011 e consente di punire i cosiddetti intermediari. Le indagini sono ancora in corso per verificare l’effettivo numero di braccianti impiegati che, mediamente, prendevano 450 euro al mese per la loro opera. Per quel che riguarda la posizione del committente, il responsabile della ditta di Noicattaro per cui la manodopera prestava servizio, gli atti sono stati trasmessi alla procura di Bari per competenza territoriale. A quanto emerge dalle intercettazioni, sono stati rilevati casi di estremo bisogno. Una donna al telefono raccontava di essere digiuna da due giorni e di non avere neppure i soldi per acquistare un panino. Oltre alle intercettazioni sono stati eseguiti dai carabinieri servizi di osservazione e videoriprese lungo gli itinerari e sui luoghi di lavoro, controlli e ispezioni ai veicoli usati per il trasporto dei lavoratori su alcuni dei quali sono stati montati dispositivi gps per la localizzazione.
«L’arresto di due persone nella zona di Francavilla Fontana evidenzia la gravità, purtroppo ancora attuale, del caporalato presso alcune attività agricole». Lo dichiara in una nota il presidente nazionale Confeuro, Rocco Tiso. «Il primario – continua Tiso – è un settore colmo di bellezze e peculiarità, ma ci sono ancora diverse frange di illegalità (tra le quali il caporalato) che vanno combattute con forza per riaffermare il primato della dignità della vita umana. È infatti inaccettabile che delle persone vengano sottoposte a lavori estremamente faticosi per 16 ore al giorno al fine di ottenere una paga a dir poco misera». «Quel che chiediamo – conclude Tiso – è un impegno concreto e tangibile da parte del ministro per l’Agroalimentare, Maurizio Martina. L’agroalimentare infatti è un mondo che ha bisogno di vedere sanate le sue tante falle sistemiche e la risposta a tutto questo ovviamente non può essere quella di rinchiudersi negli eventi organizzati da associazioni e politici vicini, ma quella di affrontare i problemi in prima persona in modo da poterli finalmente risolvere».