Di Marina Poci per il numero 351 de Il7 Magazine
I numeri drammatici diffusi negli scorsi giorni, quando ancora non si era registrata la morte dell’operaio 46enne di Latiano Vincenzo Valente nello zuccherificio SRB di Brindisi, sono capaci di fare rabbrividire: secondo l’elaborazione dei dati INAIL effettuata dalla società di consulenza e ingegneria Vega Engineering, Brindisi sarebbe la provincia italiana con la più alta incidenza di infortuni mortali verificatisi sui luoghi di lavoro (con esclusione, quindi, dei cosiddetti infortuni “in itinere”, quelli che avvengono durante il tragitto tra abitazione e posto di lavoro).
I dati pubblicati da Vega, che si riferiscono al primo trimestre dell’anno in corso, parlano di cinque lavoratori morti al 31 marzo 2024 sul territorio provinciale, con un indice pari al 38,3%, calcolato su un milione di occupati. Indicando il numero di lavoratori morti durante l’attività lavorativa in una data area per ogni milione di occupati presenti, consente di confrontare l’effettivo impatto degli infortuni mortali su aree che presentano numeri molto diversi di popolazione lavorativa: è dunque l’indice più indicativo del fenomeno. O, almeno, lo sarebbe, se l’elaborazione di Vega Engineering si basasse su infortuni realmente verificatisi in luoghi di lavoro siti nella provincia di riferimento. Ma le pubblicazioni dell’INAIL, i cui dati sono presi in considerazione da Vega per la stesura delle proprie statistiche, si fondano sulla residenza del lavoratore, in base alla quale si determina – in ipotesi – la competenza dell’INAIL di Brindisi indipendentemente dal fatto che gli infortuni siano effettivamente accaduti in luoghi di lavoro situati sul territorio provinciale brindisino.
È quanto precisa il dottor Nicola Dipalma, medico del lavoro, dall’ottobre 2021 direttore del Servizio di Prevenzione e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro (SPESAL) di ASL Brindisi, che, nel commentare i dati considerati da Vega, corregge il tiro rispetto ad una informazione foriera di dati che, se non correttamente interpretati, hanno il solo scopo di spostare il focus dalla necessità di prevenire alla smania di punire.
Qual è il numero reale degli infortuni mortali sul lavoro in provincia di Brindisi nel primo trimestre del 2024?
“Intanto mi lasci precisare che anche un solo infortunio mortale, per noi che lavoriamo in funzione della tutela dei lavoratori, è un evento gravissimo. Ciò detto, gli infortuni mortali verificatisi nella provincia di Brindisi nel primo trimestre del 2024 sono al massimo tre: quello a Giuseppe Petraglia, dipendente della “Multiservice srl”, avvenuto presso la “Cdm Trasporti”; quello a Gianfranco Conte, presso la Jindal Films Europe; infine quello, piuttosto atipico, ad un lavoratore deceduto per un infarto nella centrale Telecom di Fasano, mentre spostava un armadio. Si tratta di un evento particolare, tanto è vero che ancora non è sciolto il dubbio se effettivamente possiamo definirlo infortunio sul lavoro o se sia più corretto parlare di infortunio in occasione di lavoro. Ovviamente l’infortunio a Vincenzo Valente, l’operaio latianese morto qualche giorno fa allo zuccherificio, non rientra nei dati nel primo trimestre del 2024, pertanto entrerà nella statistica relativa al secondo”.
Alla luce di questi dati, è corretto parlare di una “emergenza infortuni” sui luoghi di lavoro?
“No, parlare di emergenza, in presenza di una situazione così stabile nel tempo, non ha senso. Da anni in Italia registriamo mediamente 1000 infortuni mortali all’anno. Che, voglio ribadirlo ancora, sono sempre troppi e inaccettabili. Ma non definirei emergenza questa situazione: è ormai uno stato di fatto. Sul quale, però, si può e si deve intervenire”.
In che modo?
“Da circa trent’anni sappiamo che le cause degli infortuni mortali sono sempre le stesse. In tutto essenzialmente sei: mancanza di dispositivi di protezione individuale; mancanza di formazione; attività dell’infortunato o attività di terzi; macchine e attrezzature non a norma; materiali utilizzati, ambienti di lavoro non idonei. Se noi siamo capaci di intervenire su questi sei ordini di cause, che spiegano tutti i tipi di infortuni mortali, e siamo in grado di prevederne il verificarsi, abbiamo risolto quella che troppo spesso viene definita emergenza, mentre è in realtà una situazione che perdura da tempo. Vorrei contestualizzare una modalità di infortunio mortale molto frequente, che spiega la maggior parte delle morti nell’ambito dell’edilizia: la caduta dall’alto. Perché si muore cadendo dall’alto? Per una mancata formazione del lavoratore? Qualche volta. Ma nella quasi totalità dei casi si muore perché mancano le protezioni contro la caduta dall’alto. Ed ecco che torniamo ad uno dei sei fattori che citavo prima: ambiente di lavoro non a norma, ovvero mancante di un parapetto idoneo, di un impalcato idoneo, di un sistema di ancoraggio per le imbracature. È così banale, eppure ancora oggi non si riesce ad eliminare la principale causa di morte per i lavoratori edili. È una questione di cultura della sicurezza”.
Cosa significa coltivare la cultura della sicurezza?
“Significa ragionare per automatismi, cioè fare propria l’idea che alcune pratiche vanno svolte in un solo modo possibile, altrimenti ci si espone, o si espongono i terzi, a rischi gravi, che possono anche implicare la morte”.
Provando a compiere un bilancio: quante aziende sono state ispezionate nello scorso anno e quali sono le criticità maggiormente riscontrate?
“Con le poche forze in campo (appena quattro medici e tredici ispettori, a fronte di un fabbisogno riconosciuto dalla Regione Puglia di sedici medici e venti ispettori) nel 2023 siamo riusciti ad effettuare controlli in 427 aziende, numero in linea con quello del 2022. Vorrei però che fosse chiaro che il dato indica le aziende controllate, non il numero effettivo dei sopralluoghi, che sono molti di più, in ragione del fatto che è possibile che durante un primo sopralluogo si accerti una incongruenza con il dettato normativo a seguito della quale vengono emesse delle prescrizioni il cui ottemperamento va successivamente verificato. Per ciò che attiene alle criticità, torno all’esempio precedente: in edilizia le mancanze più diffuse riguardano la mancanza di prevenzione per il rischio di caduta dall’alto. Ma voglio citare anche il settore dell’agricoltura, nel quale gli infortuni si verificano, nella stragrande maggioranza dei casi, per capovolgimento dei trattori, spesso sprovvisti del sistema anti ribaltamento che, attenzione, va utilizzato unitamente alla cintura di sicurezza, altrimenti si rivela inutile”.
Ritiene che la normativa attuale contenuta nel decreto legislativo numero 81 del 2008, il cosiddetto Testo Unico della Sicurezza sui luoghi di lavoro, copra tutto il ventaglio delle possibilità di infortunio o pensa che abbia bisogno di qualche ritocco?
“È una delle migliori legislazioni che esistono in Europa sulla materia. Il problema non sono le norme, ma la loro applicazione. Ciò su cui occorre lavorare non è la legge, ma la cultura della prevenzione. E quella è uno sforzo di tutti: la legge ci aiuta, ma non risolve il problema”.
Due anni fa si è costituito presso ASL Brindisi il Gruppo Operativo Interdipartimentale Permanente (GOIP) per il monitoraggio e la prevenzione dei tumori professionali: riesce a fare un bilancio delle attività?
“È un’iniziativa alla quale teniamo molto. L’obiettivo del GOIP è comprendere i settori lavorativi che espongono di più al rischio di neoplasie per poter approntare interventi idonei a limitarlo. Per fare questo occorre sensibilizzare i medici certificatori, perché senza un numero di dati importante non possiamo elaborare statistiche utili. È questo il primo obiettivo che ci siamo posti”.
Qual è stata la risposta dei suoi colleghi, soprattutto dei medici di Medicina Generale?
“Via via migliore. Abbiamo tenuto ben quattro edizioni di un corso di formazione presso l’Ordine dei Medici di Brindisi, perché vogliamo che il problema emerga, visto che sappiamo con certezza che in Italia le neoplasie di origine professionale sono sottodenunciate. Certamente è un’esperienza molto recente, per cui noi del GOIP per primi dobbiamo lavorare per stimolare i colleghi alla comunicazione dei dati che rilevano”.
Compiamo un esercizio di fantasia? Nicola Dipalma domani mattina si sveglia da Ministro del Lavoro: quale è il primo provvedimento a cui lavora?
“Interverrei per ridurre quanto più possibile la filiera degli appalti, perché troppo spesso risparmiare può voler dire tagliare proprio i costi della prevenzione”.