Aggressioni contro il personale sanitario: a San Pietro Vernotico minacciata dottoressa

Di Marina Poci per il numero 393 de Il7 Magazine
Sarebbe stata una mancata visita a domicilio a scatenare l’ira funesta della zia di una paziente nei confronti di una dottoressa di base di San Pietro Vernotico, minacciata e insultata dalla donna per non essere passata a prestare la richiesta assistenza domiciliare alla nipote: un video, pubblicato su Instagram e poi diffuso e commentato in maniera virale, conterrebbe, al culmine di una sequela di attacchi lanciati con toni inurbani e violenti, un ultimo “avvertimento”: “Questo non è ancora niente. La vengo a prendere dal suo ufficio”.
È soltanto l’ultima in ordine di tempo delle aggressioni contro il personale sanitario che si registrano su tutto il territorio nazionale e che, malgrado un inasprimento del trattamento sanzionatorio disposto con il decreto legge cosiddetto “Antiviolenza” (approvato lo scorso 27 settembre dal Consiglio dei Ministri), non accennano a diminuire.
A stigmatizzare con una certa durezza quanto accaduto a San Pietro ci ha pensato il Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Brindisi, che nella seduta del 26 febbraio scorso è venuto a conoscenza “delle numerose e continue aggressioni verbali, mediatiche e personali” nei confronti del medico di Medicina Generale e ha ribadito la “piena solidarietà e vicinanza” alla collega e “a tutti gli altri colleghi che, impegnati ogni giorno per una sanità al servizio della cittadinanza, vengono importunati e minacciati nonostante l’abnegazione e l’impegno per alleviare non solo la salute fisica dei pazienti”.
In una nota diffusa ai mezzi di informazione il presidente Arturo Oliva ha parlato di eventi che “si susseguono con una frequenza che oramai ha dell’allarmante”, evidenziando la necessità “che le autorità preposte provvedano a incrementare le iniziative a salvaguardia dell’incolumità fisica ed anche mediatica degli operatori sanitari, oltre che della semplice tranquillità e della serena agibilità sul posto di lavoro”.
Oliva ha poi confermato l’indirizzo già seguito dall’ordine professionale in precedenti casi di aggressione agli iscritti, assicurando la costituzione di parte civile dell’organismo a favore dei sanitari e garantendo, “se le Autorità procederanno nei confronti dei colpevoli di questa aggressione”, di provvedere a “sostenere giudizialmente il medico coinvolto”.
Il caso della dottoressa sampietrana non è isolato: lo scorso settembre un’altra professionista di Medicina Generale, Vincenza Marra, in servizio a tempo determinato a Erchie come medico di base da poche settimane, era stata aggredita verbalmente e minacciata da un paziente che pretendeva ingiustificatamente la prescrizione di alcuni farmaci. A quelle minacce seguirono, a dicembre, le dimissioni di Marra che, troppo provata da quanto avvenuto per riuscire a portare a termine con la dovuta serenità il suo incarico, rinunciò anche alla possibilità di una trasformazione del contratto in indeterminato, preferendo abbandonare ASL Brindisi.
C’è chi parla di “crisi” della Medicina Generale, dovuta al fatto che gli adempimenti burocratici, a cui i professionisti del ramo sono tenuti, assorbono la maggior parte del tempo dei dottori, impedendo loro di conoscere a fondo i pazienti e le loro esigenze. Un aspetto che si ripercuote negativamente anche sulla richiesta dei partecipanti al concorso nazionale per la Formazione Specifica in Medicina Generale: secondo i dati della Fondazione Gimbe, infatti, le domande dei pugliesi per accedere al corso sono state inferiore ai posti disponibili (33 candidati in meno rispetto alle borse finanziate), circostanza che rischia di aggravare la già pesante carenza di medici di base. Sempre secondo i calcoli effettuati dal Gimbe, infatti, in regione ve ne sarebbero 267 in meno di quelli necessari a coprire la domanda di salute della popolazione. Una vera e propria fuga dalla professione che sovraccarica di ulteriori impegni i pochi che restano e che sono costretti, da massimalisti, a occuparsi sempre di più pazienti. Insomma, il classico cane che si morde la coda e che sembra determinare una vera e propria “diserzione” dal ruolo di quello che una volta, proprio per il rapporto di prossimità e confidenza che si instaurava con gli assistiti, veniva chiamato “medico di famiglia”.
La situazione che preoccupa maggiormente, però, riguarda gli operatori sanitari (non soltanto medici, dunque) che prestano servizio negli avamposti di emergenza, ossia i reparti di Pronto Soccorso e le Guardie Mediche, nei quali quotidianamente si registrano aggressioni fisiche e verbali all’indirizzo di chi vi lavora. L’introduzione dell’arresto obbligatorio in flagranza in caso di lesioni personali a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali, con la previsione della reclusione da due a cinque anni, e in caso di danneggiamento di materiale destinato al servizio sanitario o socio-sanitario, risponde esattamente a questa logica di anticipazione della soglia della tutela e di “strategia della deterrenza”. Così come un ancora maggiore potere dissuasivo dovrebbe avere la possibilità dell’arresto in flagranza differita (sempre in caso di lesioni e di danneggiamento) “sulla base di documentazione video-fotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre li tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto”.
Proprio in Puglia si sono registrate le prime applicazioni della nuova normativa: paradigmatico in questo senso appare il caso dell’arresto in flagranza differita il 19 febbraio, di Realino Antonio Melissano, 58enne originario di Galatina, ma residente in Piemonte, ritenuto responsabile dell’aggressione e delle minacce avvenute nella notte fra il 17 e il 18 febbraio ai danni di un medico di 35 anni in servizio nella Guardia Medica di Cutrofiano. L’uomo, posto ai domiciliari con braccialetto elettronico, si sarebbe scagliato contro il professionista che gli aveva chiesto il pagamento di 20 euro di ticket, previsto per i residenti fuori regione che utilizzino il servizio di continuità assistenziale. La difesa di Melissano, nel corso del procedimento, si era accordata con il PM Luigi Mastroniani patteggiando la pena di un anno e sette mesi di reclusione, pena che però è stata ritenuta non congrua dalla Giudice del dibattimento Elena Coppola: il processo pertanto procederà con rito direttissimo (sede in cui è ragionevole pensare che la sanzione comminata dalla magistrata, stante il rifiuto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, sarà più alta).
Ancora prima, esattamente il 22 gennaio, era stata arrestata in flagranza differita una 56enne responsabile, secondo la prospettazione della Procura della Repubblica, di avere aggredito una dottoressa 46enne in turno al Pronto Soccorso dell’ospedale Di Venere di Bari: la donna, sorella di un paziente in attesa, avrebbe sferrato un pugno al volto della sanitaria, provocandole un trauma facciale da lesioni giudicate guaribili in otto giorni. La dottoressa Claudia Papa, con un passato al Pronto Soccorso dell’ospedale Dario Camberlingo di Francavilla Fontana, aveva preso in carico un uomo con un’ernia inguinale e dopo avere praticato una manovra e fatto rientrare l’ernia, aveva chiesto un consulto chirurgico per evitare al paziente di tornare in ospedale e prenotare la visita: un’attesa evidentemente sgradita alla sorella del paziente.
Per tornare alla provincia di Brindisi, a fine gennaio il responsabile della Funzione Pubblica CISL Brindisi, Giuseppe Lacorte, aveva denunciato quattro aggressioni nei confronti di infermieri in seno al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’ospedale Perrino di Brindisi, reparto in cui, secondo il sindacalista, gli episodi di violenza contro gli operatori sanitari avrebbero provocato “traumi cranici, lesioni al menisco e ai legamenti e contusioni oculari”. Stando a quanto sostenuto da Lacorte, la condizione di pericolo per gli operatori non sarebbe circoscritta alla sola Psichiatria, ma interesserebbe l’intero presidio ospedaliero, dove i sanitari affronterebbero quotidianamente una situazione definita “insostenibile”, che metterebbe a rischio la loro integrità fisica e la qualità dell’assistenza fornita ai pazienti.
Tuttavia, l’episodio più grave di aggressione a personale sanitario in Puglia, e certamente uno dei più gravi su tutto il territorio nazionale, riguarda quanto avvenuto la sera del 4 settembre scorso nel reparto di Chirurgia Toracica del Policlinico Riuniti di Foggia dopo la morte della 22enne di Cerignola Natasha Pugliese, deceduta durante un intervento chirurgico d’emergenza alla trachea: nell’occasione il padre, i due fratelli, la sorella e lo zio della ragazza, appena ricevuta la comunicazione del decesso della giovane, irruppero nelle stanze dell’unità operativa e aggredirono verbalmente e fisicamente chirurghi, anestesisti e altri sanitari, provocando il ferimento di alcuni di loro. Per quei fatti, documentati da un video girato da una delle persone offese, gli imputati rispondono di concorso con altre persone rimaste ignote in lesioni “a personale esercente professione sanitaria nell’esercizio e a causa di tale attività”; minacce; violenza privata; interruzione di pubblico servizio; danneggiamento della porta d’accesso alla sala medici antistante la sala operatoria; resistenza a un poliziotto che si frappose tra aggressori e aggrediti.
Particolare scalpore destò, nei giorni successivi all’aggressione, lo sfogo della sorella della paziente che, in un lungo post pubblicato su Facebook, pur tentando di giustificare la condotta dei parenti dicendo che la morte della 22enne era dovuta a negligenza e imperizia dei sanitari, ammise “La mia famiglia ha fatto la guerra peggio di Gomorra”.
Nel processo che deciderà sulle eventuali responsabilità penali dei parenti di Natasha Pugliese, sono stati ammessi 40 testimoni, i primi dei quali saranno ascoltati nell’udienza del prossimo 2 maggio.
I fatti di Foggia ebbero risonanza nazionale e furono più che determinanti nell’iter legislativo che ha poi portato al decreto legge numero 137 del 2024, convertito nella legge 171, che rappresenta attualmente l’approdo normativo più severo per i reati commessi contro il personale sanitario. In attesa, passo che appare quanto mai necessario, che in tutti i reparti di Pronto Soccorso e presso tutte le Guardie Mediche del territorio nazionale siano attivati presidi che garantiscano la presenza fissa di forze dell’ordine.