Ancora incendi dolosi: prese di mira le Saline- L’ombra del bracconaggio

di Alessandro Caiulo

Avevamo bollato il 2021 come “annus horribilis” per via degli incendi estivi ed in effetti nell’afosa estate che lo caratterizzò si verificarono una gran serie di incendi multipli, concentrati in special modo lungo la litoranea nord, da Punta del Serrone fino ad Apani, che distrussero svariati ettari di macchia mediterranea e gran parte dei canneti insistenti nelle zone umide attorno ai canali Giancola ed Apani, fino a lambire addirittura le spiagge, creando apprensione e paura fra i bagnanti e seminando morte e distruzione fra i tanti esseri viventi, animali e vegetali, ivi presenti.

Fu solo grazie all’indefesso lavoro dei Vigili del Fuoco e del personale dell’ARIF che si evitò che le fiamme si propagassero anche alle abitazioni di residenti e villeggianti.
Il Comandante dei Vigili del Fuoco di Brindisi, Giulio Capuano, non ebbe alcun dubbio sulla mano dell’uomo all’origine di quegli incendi come, più in generale di tutti gli incendi, tant’è che nel corso di un’intervista pubblicata su queste stesse pagine affermò espressamente: “Per quanto concerne ciò che la mia esperienza mi ha insegnato è che, in tema di incendio, quasi non esiste l’evento naturale e la quasi totalità di essi ha origini dall’uomo: può essere colposo, come nel caso della cicca accesa lanciata dal finestrino dell’auto o le stoppie bruciate dal contadino che sfuggono al suo controllo, oppure doloso ed il movente può riguardare interessi privati, vendetta, ma anche organizzazione di sistemi antincendio; una certa parte può essere poi addebitata a gente che ha problemi psichici e si entra allora nel campo della vera e propria piromania”.
Si parlò, in quella occasione, anche del ruolo che avrebbero potuto svolgere i gruppi di volontari e le altre istituzioni, presenti nel territorio in materia di lotta agli incendi e fu sottolineata la grande importanza di una fattiva collaborazione delle associazioni di volontariato, della Protezione Civile e di quanti altri si prodigano in questo campo anche se, ovviamente, non si può assolutamente pensare di utilizzare queste persone per la lotta diretta alle fiamme in quanto ci vuole una competenza ed una preparazione che solo stando nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco si può ottenere.

L’ideale sarebbe, allora utilizzarli in chiave di prevenzione degli incendi sfruttando, in senso positivo, la loro conoscenza e vicinanza al territorio.
Purtroppo a nulla o a poco sono valsi i buoni propositi dal momento che anche l’estate del 2022 non è stata da meno quanto a distruzione provocata dal fuoco di aree boschive, come gli incendi che hanno distrutto svariati ettari del bosco di Santa Teresa, fra Tuturano e Mesagne, e le fiamme che hanno lambito, senza fortunatamente intaccarlo, anche il meraviglioso bosco dei Lucci, rinomato per la sua sughereta, fra Brindisi e Mesagne.
Ma ciò che ha destato maggiori preoccupazione, per i tempi, le modalità ed i danni provocati ad un intero ecosistema addirittura all’interno di una Parco Regionale, è la serie di incendi di certa matrice dolosa appiccati all’invaso di Fiume Grande ed alle Saline di Punta della Contessa, in pieno settembre, l’ultimo dei quali, addirittura all’indomani di una giornata piovosa.

Dato il periodo e la circostanza che il fuoco è stato dato ai canneti, si è avvertita subito, oltre alla puzza di fumo, anche quella assai più maleodorante del bracconaggio dietro questa brutta vicenda per cui ho dedicato l’ultima domenica di settembre ad una dettagliata ispezione dei luoghi del delitto a cominciare dalla zona delle saline interessate dagli ultimi due incendi in ordine cronologico, quelli del 18 e del 20 settembre .
Grazie al personale dei Vigili del fuoco e della Polizia Provinciale che sono immediatamente intervenuti nell’area del Parco naturale regionale di Saline di Punta della Contessa i danni sono stati limitati ma, comunque, oltre dieci ettari di macchia e canneto, a ridosso degli stagni, sono andati completamente distrutti, determinando gravi danni dal punto di vista faunistico-ambientale che, come ha evidenziato anche il presidente della provincia Toni Matarrelli, sono difficilmente risanabili in tempi brevi
La presenza di diversi punti in cui si è, in contemporanea, sviluppato l’incendio dell’area protetta rende evidente la natura dolosa dell’incendio.
In effetti lo scenario è apocalittico: una lunga distesa bruciata fra lo stradone che porta verso la Salina grande e le dune sabbiose, reso ancor più tetro dalla mancanza di acqua negli stagni che, solitamente, in questo periodo, ospitano una gran varietà di uccelli acquatici.
Solo nei pressi dello specchio acqueo più grande, anche questo quasi a secco e trasformato, dalla evaporazione estiva in una grande distesa bianca, si nota la presenza di alcuni piccoli limicoli come una dozzina di Piovanelli pancianera e qualche Corriere grosso, oltre ad un paio di Volpoche.
Nessuna traccia dei nostri cari amici Fenicotteri che hanno reso celebri queste saline, in quanto, evidentemente spaventati dalle fiamme, hanno pensato bene di levare le tende e trasferirsi, spero provvisoriamente, altrove. Solo i sonnecchiosi gabbiani sembrano non aver avvertito alcun disagio, abituati, come sono, a fare la spola fra le saline ed il mare aperto.

Meno male che l’incendio non ha interessato la zona dove ci sono in ruderi dell’antica Casa del Sale che è la zona maggiormente frequentata dai visitatori amanti della natura.
Incontro un paio di pescatori, frequentatori abituali della zona che, una volta che ho garantito loro l’anonimato, confidano di aver avuto le mie stesse impressioni e che, cioè, gli incendi sono stati volutamente causati da bracconieri che, in primo luogo col fuoco hanno stanato degli animali e che, in secondo luogo, in inverno sanno di poter avere gli specchi acquei liberi dai canneti in modo da poter sparare a botta sicura. Il fatto che ci si trovi all’interno di una parco naturale regionale in cui la fauna è protetta non ha fermato queste mani e queste menti criminali.
Di lì a poco una cartuccia azzurra nuova quasi di zecca, conferma che quelle dei pescatori non sono state mere illazioni.
Un commento che ho sentito, da parte di un altro frequentatore del parco ma che non mi ha trovato assolutamente d’accordo, è che il danno è stato di poco conto in quanto si sono bruciate solo sterpaglie. Nulla di più sbagliato, il canneto che cresce attorno agli stagni è un ecosistema complesso che veste grande importanza dal punto di vista sia ecologico che naturalistico.

Volendo riassumerlo brevemente, il canneto è un habitat costituito da una vegetazione che si è perfettamente adattata ad un ambiente difficile caratterizzato da terreno fangoso e molto povero di ossigeno. E’ composta da piante erbacee perenni che crescono molto fitte e possono anche superare i tre metri di altezza ed i cui fusti sotterranei vengono a formare uno strato compatto di sedimenti ad alto contenuto di materiale organico; sono molto resistenti anche alla salinità, per questo crescono rigogliosi nella sona delle saline di Punta della Contessa e rivestono un importante ruolo ecologico nell’abbattimento di nutrienti ed inquinanti attivando processi di fitodepurazione naturale che proteggono gli stagni da fenomeni di eutrofizzazione. Per quel che mi interessa maggiormente, poi, il canneto è l’habitat di molte specie di uccelli di interesse conservazionistico che utilizzano tale ambiente per l’alimentazione, la nidificazione, alla stregua di vera e propria nursery all’interno del quale i piccoli si sentono protetti, ed il riposo.
Sono frequentati da Aironi delle più diverse specie, dal Falco di palude, dal Martin pescatore, dal Tarabusino ed un gran numero di passeriformi. La zona sommersa e le adiacenti acque poco profonde, sono l’habitat ideale di un gran numero di anfibi, invertebrati, crostacei e pesci.

L’incendio di un vasto canneto che impiegherà almeno un paio di anni a ricrescere, provoca anche una contrazione delle nascite e della presenza di fauna sul posto per cui chi ha appiccato il fuoco, magari per sparare ad un’anatra o ad un gabbiano ed ha distrutto dieci ettari di canneto oltre che criminale è anche doppiamente idiota – oltre che simile a quel marito che per far dispetto alla moglie….. – in quanto con il suo insano gesto ha anche ridotto per i prossimi anni il numero di sue potenziali prede.
Dopo aver gironzolato in lungo e largo ai margini delle zone incendiate mi sono rimesso in auto per portarmi nella zona dell’invaso di Fiume Grande, distante alcuni chilometri, in piena zona industriale ma, come è noto ai più, tranne a chi ha redatto il progetto della colmata della sua foce, facente parte a pieno titolo del Parco naturale regionale delle Saline di Punta della Contessa di cui è riconosciuta essere zona centrale, alla stessa stregua dei bacini acquei delle saline.
Anche in questo caso, un paio di settimane addietro due incendi con punto di innesco in diversi punti, hanno distrutto svariati ettari di canneto arrivando fin quasi a ridosso degli stabilimenti industriali e dei grossi serbatoi di gas dell’Ipem.

Stesso scenario apocalittico e la gran pena di scorgere due bianchissime Garzette gironzolare in messo ai carboni delle canne bruciate. Anche il boschetto di eucalipti a ridosso del nastro trasportatore è andato quasi del tutto distrutto. Anche in questo caso la presenza di qualche cartuccia sparata di recente per terra rende evidente che nonostante l’assoluto divieto di caccia c’è gente che incurante di leggi e regolamenti, pratica il bracconaggio in questa zona e parlo di bracconaggio e non caccia perché chi non rispetta le leggi non si può definire un cacciatore ma è un bracconiere a tutti gli effetti e come tale merita solo biasimo e castigo.
Grazie a Dio le fiamme non sono arrivate fino al lato opposto del grande invaso che, per via della perenne chiusura della diga, è sempre colmo di acqua in tutte le stagioni, per cui la vita animale, almeno da questa parte, corre via tranquilla, qualche grande Airone bianco maggiore dal piumaggio immacolato, notando la mia presenza prende il volo per rifugiarsi proprio a ridosso della parte di canneto integra, all’interno del quale si rifugia anche qualche anatra un po’ più timida delle altre, mentre le Folaghe incuranti della presenza umana, continuano a sculettare in acqua come se niente fosse.