Antonino: “Il ribaltone di 20 anni fa? Ecco come andò veramente”

La prima volta che Giovanni Antonino mi ha spiazzato è stato agli inizi del 2004, nel periodo sicuramente più buio della sua vita. Era rinchiuso da mesi nel carcere di Foggia dopo il suo primo arresto e venni contattato dal suo legale, l’avvocato Massimo Manfreda: “Antonino sta scrivendo un libro sulla sua storia – mi disse – e vuole che sia tu a pubblicarlo”. Restai sorpreso, perché con il mio giornale dell’epoca, “Senzacolonne”, avevo condotto una battaglia sistematica contro il “sistema Antonino”, per anni. E probabilmente quel giornalismo d’inchiesta aveva fornito tasselli importanti a chi poi aveva svolto le indagini, in quel caso i carabinieri, portando al primo di una lunga sequenza di arresti e soprattutto alla fine della sua carriera politica. Quel libro, dal titolo “Il peggiore di tutti”, con in copertina un suo disegno che ritraeva l’interno della sua cella, lo pubblicammo e fu un successo travolgente: le tremila copie furono esaurite in pochi giorni e il ricavato, su precisa richiesta di Antonino, devoluto in beneficenza a una cooperativa sociale che si occupava dell’assistenza di bambini.
In seguito i nostri rapporti sono stati altalenanti, lui colto periodicamente dalle sue “antoninate”, il sottoscritto (come tanti altri) da una rabbia mai sopita nei suoi confronti per quello che avrebbe potuto dare alla città, lui una spanna sopra tutti gli altri politici locali che lo hanno preceduto e seguito (ad esclusione di Mennitti) e che ha vanificato tutto con comportamenti non consoni e oltre la legge, per altro sanzionati con condanne penali. Poteva essere un’altra Brindisi e lui un grande protagonista. E per questo, forse, non potrà mai essere perdonato.
Ci incontriamo oggi, vent’anni dopo quello che probabilmente fu l’inizio della fine: il “ribaltone” con il quale – il 4 agosto 1999 – il sindaco Antonino fece fuori dalla maggioranza gli alleati del centrodestra e si alleò con il centrosinistra di Carmine Dipietrangelo. Fu uno dei primi clamorosi ribaltoni della politica italiana, definizione che però Antonino rifiuta. Lo ha scritto su Facebook dicendosi custode di importanti retroscena. E oggi, come con quel libro di tanti anni addietro, ha deciso di raccontarceli.
Antonino, perché si ostina a dire che non fu un ribaltone?
“Perché il vero ribaltone è quando un sindaco sta in uno schieramento e passa in un altro. La maggioranza che aveva vinto le elezioni nel 1997 non era di centrodestra. Si trattava di un gruppo di liste di centro che avevano sottoscritto un accordo con il Polo seguendo la linea di cui si faceva promotore Pinuccio Tatarella. E le posso garantire che, se fosse rimasto vivo lui, tutto quello che è successo dopo non sarebbe mai avvenuto. Io fui indicato come candidato sindaco proprio da Pinuccio Tatarella in un incontro avvenuto nella sua villa di Rosa Marina”.
Vuole dire che il suo partito era l’ago della bilancia a prescindere?
“Il centrodestra senza di noi avrebbe sicuramente perso. Io conquistai il primo mandato con poco più del 50 per cento, considerando che presentai la mia lista “Uniti per Brindisi” che prese l’8 per cento. E poi ci affiancarono il Pri e i Socialdemocratici di Faldetta. Senza queste tre liste il centrodestra avrebbe perso le elezioni. La stessa cosa avvenne alla Provincia: a maggio 1999 mi chiesero di presentare una lista e trasformai “Uniti per Brindisi” in Centro Democratico. Prendemmo il 6,5%. Senza quel dato Frugis non avrebbe vinto, sarebbe passato Carlo Panzuti”.
Cosa la portò a decidere di scaricare il Centrodestra?
“Dopo le Provinciali e l’elezione di Frugis i maggiorenti del Polo non controllavano i loro consiglieri. Così quelli di An contestavano i due assessori, De Maria e Mevoli, per cui facevano il giochino di non venire in Consiglio. Quelli del Cdl di Fitto contestavano Pezzuto che era presidente del Consiglio e Galluzzo che era assessore. E non venivano in aula. Ci furono una serie di Consigli comunali in cui mancava il numero legale. Così il 4 agosto del 1999, non me lo posso mai dimenticare perché è il compleanno di mia figlia, dichiarai in aula chiusa l’esperienza di governo con il centrodestra, senza per altro avere in quel momento una maggioranza alternativa. Non avevo ancora stretto l’accordo con il centrosinistra. Del resto io con quella giunta governavo benissimo. Lo scrupolo morale che mi sono portato per tanto tempo è di aver fatto fuori assessori che non c’entravano nulla con la guerra intestina al Polo: Rino Galluzzo, De Maria, Lino Dagnello. Erano stati eletti consiglieri e poi nominati assessori: una volta caduta la giunta avevo interrotto di fatto la loro esperienza amministrativa per la quale erano risultati i più suffragati. Tutto volevo fuorché fare quello”.
Cercarono di fermarla?
“Quando di resero conto che non scherzavo provarono di tutto. Dalla proposta di battezzare la figlia di un senatore che era appena diventato papà ad andare in Sardegna alla villa di Berlusconi. Ma ormai avevo deciso, anche perché i problemi non erano nei miei rapporti con i livelli alti del Polo delle Libertà ma con i consiglieri”.
E quindi arrivò il ribaltone «non ribaltone».
“Si formò una maggioranza che io chiamai di “salute pubblica”. Non si passò dal centrodestra al centrosinistra, perché in quella maggioranza transitarono Siccardi e Pisanelli che erano del Cdl, Lenzitti e Masi di An, il mio gruppo con Giusy Carruezzo, Antonio Ariano e Saverio Testini, all’inizio addirittura era entrata anche Rifondazione comunista con Luigi Gianfreda. Si trattava di una maggioranza composita. Sui retroscena è stato detto di tutto e di più. La storiella che aleggia ancora oggi è di un mio incontro con D’Alema sulla sua barca Icarus. Ovviamente non c’è mai stato”.
E dunque come è nato l’accordo con il centrosinistra?
“Mi incontrai con i tre esponenti dell’opposizione: Dipietrangelo, De Michele e Pennetta. Loro mi proposero di fare questa giunta di salute pubblica. La prima riunione vera avvenne in un ristorante di via Marco Pacuvio, dove facevano la pasta con la ricotta forte ed era consuetudine andarci tutti a cena dopo il Consiglio, maggioranza e opposizione. Lì una sera arrivarono uno alla volta tutti i 21 consiglieri e si avvicinarono al mio tavolo. Nacque così in pochi giorni la nuova maggioranza che approvò tutti quei provvedimenti che mi erano stati boicottati dal centrodestra, compreso il via ad Acque Chiare perché noi dovevamo ratificare l’accordo di programma, approvato in prima battuta dal centrodestra, firmato alla Regione Puglia, e che doveva essere ratificato in Consiglio. Quindi, incredibilmente, Acque Chiare è stato votato da tutti, destra, centro e sinistra. I Ds trovarono l’espediente, per giustificare il cambio di voto, che il divieto di cessione dei singoli comparti passasse da cinque a dieci anni. E poi ratificammo l’accordo di programma per le case antiracket del rione Paradiso. Io rimasi con lo stesso programma e gli identici obiettivi che mi ero posto nell’esperienza accanto al centrodestra”.
E il presidente Frugis cercò di farle cambiare idea?
“Lui mi ha sempre sofferto, al di là che stessi con il centrodestra o con il centrosinistra c’è sempre stata questa strana rivalità. Ora dice cose diverse, abbiamo preso un aperitivo insieme quindici giorni fa e ha ammesso che lui ha spesso invidiato il mio decisionismo, la mia capacità di puntare agli obiettivi e di perseguirli. All’epoca c’era questa rivalità stupida perché lui voleva fare il sindaco bis e i ruoli e le competenze e anche l’incidenza sul territorio erano diversi. Chiunque viene vuole interloquire col sindaco non con il presidente della Provincia. Lui sembrava non rendersi conto che avevo contribuito alla sua rielezione, al secondo mandato senza la lista del Centro democratico avrebbe perso”.
Dovesse tornare indietro rifarebbe quella scelta?
“L’errore che ho commesso è stato quello di non far sciogliere il Consiglio comunale e andare subito ad elezioni. Infatti l’ipotesi iniziale era quella: arrivare a maggio e votare perché nei Ds c’era qualche perplessità rispetto a questa scelta. Ricordo che Tonino Bargone, all’epoca sottosegretario ai Lavori pubblici, non rinnovò la tessera a Brindisi e si andò a iscrivere in un paesino dei castelli romani. Il segretario provinciale dell’epoca Colizzi credo che ancora ce l’abbia con me perché dopo questa vicenda di Brindisi Dipietrangelo fu ricandidato per la terza volta alla Regione, cosa che per loro era vietata, e raccolse un consenso straordinario che non aveva mai avuto: 16mila voti. La gente ha comunque approvato le mie scelte, sia quelle fatte con il centrodestra che con il centrosinistra: con il Polo svuotai l’ex Tommaseo, che era occupato da vent’anni, ma poi ha continuato a premiarci anche dopo quando passammo con il centrosinistra, con oltre il 70 per cento. D’Alema fece l’ultima visita ufficiale da presidente del Consiglio a Brindisi. Fu l’unica circostanza in cui lo incontrai”.
Pensa che se fosse rimasto con il centrodestra, avrebbe evitato le vicende giudiziarie che hanno poi portato ai suoi arresti e alla fine della sua attività politica?
“Io l’errore l’ho fatto nel 2001, se mi fossi candidato alla Camera quando avevo la certezza matematica di essere eletto, sarebbe stato tutto diverso. Solo che a me non interessava fare il parlamentare, non mi ha mai intrigato: dicevano l’indennità, il vitalizio, ma un parlamentare non conta nulla. Alza e abbassa la mano, a meno che non è di un certo livello. Io poi ero un apolide, fuori da ogni partito con il movimento, non avrei contato nulla. Il sindaco invece è un’altra cosa”.
Però non mi ha risposto…
“Se fossi rimasto con il centrodestra non sarebbe cambiato nulla. Ha inciso il mio temperamento. Ciò che mi rimprovero è di aver avuto sempre troppa fretta. Io te lo dissi in un’intervista che facemmo al bar Betty, me la ricordo benissimo. Ti dissi trovo il modo di eludere la legge, non di infrangerla. Invece bisogna avere più pazienza. Io dopo la mia vicenda capisco i sindaci che sono prudenti, che si blindano, che prima di fare un atto ci pensano cento volte. Io ero convinto che da un lato il consenso popolare, dall’altro l’efficacia delle cose che facevo fossero un esimente: niente di più sbagliato”.
Il patteggiamento, nel nostro ordinamento giudiziario, è comunque la rinuncia dell’imputato a contestare l’accusa.
“I fatti per chi li giudica dall’esterno hanno prospettazioni e sembianze diverse da quelle che sono in realtà. Io le ho vissute dall’interno e quando mi chiedono perché ho patteggiato rispondo che avevo difficoltà a farmi capire persino dai miei avvocati. Erano vicende così complesse che non riuscivo a farmi comprendere neanche da loro. Tra l’altro le accuse nei miei confronti si sono ridotte in niente. All’inizio si parlava di Brindisi Nord, Brindisi Sud, blocco delle forniture per quelle centrali. Non è rimasto nulla, solo delle storielle di cui mi sono vergognato a lungo perché ho fatto la figura dell’accattone, perché le accuse erano ridicole anche per l’entità delle presunte tangenti. Spesso mi dicono tu hai sbagliato, dovevi parlare con quelli che ti hanno tradito. Ma io mi vergognavo a confrontarmi nelle condizioni di indagato con gli interlocutori di un tempo, considerando il ruolo che avevo raggiunto e che spetta al sindaco di Brindisi. Nelle cene romane di cui si è fantasticato io avevo al mio tavolo l’amministratore delegato di Enel produzione, quello di Enipower, quello di Edipower, quello di British Gas. Questo è il ruolo del sindaco di una città che ha sopportato insediamenti energetici così importanti e che ha un ruolo strategico nel Mediterraneo. Non so ora i miei successori con chi hanno interloquito, altri si sono vantati di risultati che non gli appartengono”.
Accuse che però si sono concretizzate in una lunga detenzione in carcere e poi agli arresti domiciliari.
“Anche la durezza dei provvedimenti fa specie, la scelta di portarmi in carcere da incensurato, con i fotografi che riprendevano la mia uscita da casa accompagnato dai carabinieri. Ricordo la motivazione con cui il Tribunale del riesame, a Natale 2003, respinse la mia richiesta di concessione dei domiciliari. Benché non potessi più reiterare il reato, non ci fosse più pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, l’ordinanza diceva testualmente: “L’Antonino ha una tale mentalità criminale che l’unica forma di custodia idonea è il mantenimento in carcere”. Si sono inventati per me un quarto motivo che giustifica la detenzione preventiva. Credo che una durezza simile non ci sia mai stata con nessuno. A febbraio ottenni i domiciliari e dopo un po’ mi riarrestano e torno in carcere”.
Lei però a un certo punto ha dato l’idea, durante la sua amministrazione, di sentirsi invincibile, di poter quasi essere al di sopra della legge. Probabilmente il potere, supportato da un consenso così esteso, può dare alla testa. E’ stato il suo caso?
“No, non mi sentivo così. Me l’hanno rimproverato negli interrogatori durante i quali io sono stato di una durezza unica e anche lì ho sbagliato. Perché penso che la linea difensiva migliore sia quella di avvalersi della facoltà di non rispondere, leggersi tutte le carte e poi organizzare la difesa. Io invece sono sempre stato molto violento e impulsivo verbalmente. Mi dicevano: lei era l’uomo più potente di Brindisi. E io rispondevo: tutti mi chiamavano semplicemente Giovanni. Questa sensazione di onnipotenza non l’ho mai ai avuta. L’errore che ho compiuto è stato quello di voler capire le cose, di essere anche esperto in certi settori. Brindisi ha vissuto tutta la fase della privatizzazione di alcuni impianti energetici, era l’unica realtà che aveva tre centrali alimentate con tre forme diverse di combustibile: carbone, olio e gas. Io partecipavo a commissioni a livello nazionale come esperto nel campo dell’energia e tutto questo mi è stato rimproverato. Ricordo che un pubblico ministero, durante un interrogatorio, mi disse: si rende conto che l’amministratore dell’Edipower non faceva un passo senza seguire un suo consiglio? Certo, gli ho risposto, quello era esperto di alberghi e di centrali non capiva niente, era uno dei super manager che passano da un’azienda all’altra con indennità pazzesche e senza capirci nulla. E delle cose che leggo oggi mi viene da ridere: questo no all’ipotesi che Brindisi Nord sia alimentata a gas. C’è una convenzione che non mai stata revocata, nel 2003 autorizzammo la trasformazione a gas. Poi chissà perché è andata avanti per tanti altri anni a carbone. E dicevano a me che ero l’uomo del carbone. O chissà perché Brindisi Sud passò da due milioni e mezzo di tonnellate di carbone dei miei tempi a otto milioni e nessuno ha detto niente. Chissà perché per il rigassificatore si dice: non c’è stata la valutazione di impatto ambientale. E poi si è consentito il raddoppio con il silenzio assenso degli impianti gpl della Ipem. Quello sì è pericolosissimo perché fortemente esplosivo. Ci sono delle cose strane in questa città, alcune delle quali passano sotto silenzio”.
Come furono i rapporti con gli alleati dopo i suoi arresti?
“Spariti tutti all’istante (ride, ndr). Isolamento totale. La vicenda del carcere mi ha visto totalmente cancellato dalle agendine di tutto il mondo politico. Ho solo ricevuto decine di lettere di gente normale che ho conservato tutte e a cui ho risposto. L’unico che ebbe il coraggio di venire in carcere a Foggia fu l’arcivescovo Talucci. Fu sottoposto a una umiliazione pazzesca, lo fecero aspettare ore, l’incontro avvenne da soli in una stanza piena di microspie perché evidentemente dopo la ricerca infruttuosa del mio famoso tesoro in Romania, a Malta, in Svizzera, in Inghilterra, evidentemente avevano pensato che i miei soldi stavano allo Ior”.
Ora c’è un altro Antonino in Consiglio, suo figlio Gabriele. Un ingresso col botto, 1.863 voti, il più suffragato di sempre. C’è tantissimo del suo lavoro in questa affermazione, non rovinerà anche lui?
“Mio figlio ha un carattere completamente diverso dal mio. Lui è inquadrato, totalmente misurato, non fa le Antoninate, anche quando io lo provoco. Penso che lo stiano apprezzando tutti per la serietà, anche nelle commissioni consiliari”.
Avete scelto la linea di una opposizione non polemica che a volte non sembra neanche una vera opposizione.
“Anche all’interno del partito mi rimproverano di fare un’opposizione troppo morbida ma io dico una cosa: noi siamo andati nei quartieri a impegnarci per realizzare delle cose. A me che le faccia Rossi o «pinco palla» non interessa purché siano fatte. Un’opposizione barricadera è più nelle corde di Fratelli d’Italia, della Lega piuttosto che del Pri. Il Partito Repubblicano è geneticamente una forza di governo, non può fare le pagliacciate, il casino, andare a stimolare la protesta”.
Eppure siete arrivati a un passo dalla vittoria. Cosa ha spostato secondo lei gli equilibri dalla parte di Riccardo Rossi?
“Io avevo detto ai miei alleati di centrodestra: guardate Rossi, si porta in giro quelli che saranno, se vince, i consiglieri comunali. E obiettivamente erano facce nuove, molti giovani. A me questo Consiglio comunale di giovani piace, ma vorrei che fossero più protagonisti. Sembra che li tengono in naftalina. Però è bello a vedersi. Se avessimo vinto noi c’erano un sacco di vecchie cariatidi. Io suggerivo: l’unico modo per controbattere Rossi è di fare la giunta prima, che ogni partito rinunci a indicare l’assessore. E i nomi renderli noti prima. Non è stato fatto.
Secondo problema, mi venne chiesto di defilarmi dopo la battuta di Rossi secondo cui il vero ballottaggio era tra lui e me. Io li avvisai: se volete sparisco, ma nei quartieri popolari se non vedono me non credo che voteranno. Difatti in quei rioni non è che hanno votato Rossi: non sono proprio andati a votare. A Sant’Elia, al Paradiso, al Perrino, dove il Pri aveva preso il 20 per cento, abbiamo perso la partita. L’altra cosa che non mi aspettavo è stata la rottura nel centrodestra perché il mio primo candidato sindaco era Massimo Ciullo. Poi non l’hanno voluto: ci siamo trovati in una serie di veti incrociati che in buona parte erano legati a D’Attis. D’Attis non voleva Ciullo perché sosteneva che non l’aveva appoggiato quando lui era stato candidato sindaco, D’Attis non voleva Guadalupi perché si erano querelati. Si favoleggiava di un tavolo romano che avrebbe trovato l’intesa che non c’è mai stato. Penso che una grande responsabilità su quanto accaduto sia attribuibile proprio a D’Attis”.
Dopo le elezioni avete deciso di prendere le distanze dall’opposizione.
“Subito dopo i risultati ho detto: abbiamo perso, c’è una amministrazione insediata, noi siamo disposti non dico a collaborare ma a dare suggerimenti costruttivi. Non l’avessi mai fatto: reato di lesa maestà. Immediatamente ostracismo nei nostri confronti: Gabriele, il consigliere comunale più suffragato da sempre a Brindisi, non è stato ritenuto degno di avere nessun ruolo dell’opposizione, né vicepresidenza del Consiglio, né vicepresidenza di commissione. Ma noi andiamo avanti lo stesso”.
Che idea si è fatta di Rossi?
“Non lo conosco personalmente. Come sindaco mi sembra timido, quasi spaventato, non assume posizioni nette e precise, non mostra quel coraggio che dovrebbe avere un uomo di sinistra. Un uomo di sinistra non può fermarsi davanti a un blocco della legge per parco Bove che è popolata da proletariato urbano: dovrebbe essere l’area sua di riferimento, almeno un tempo era così. Inoltre esclude il Consiglio comunale da tutto. Il Consiglio è diventato un votificio, portano in aula solo delibere di riconoscimento di debiti fuori bilancio. Il contratto nazionale di sviluppo, il raccordo ferroviario, la discussione sul polo energetico. Queste cose non vanno in Consiglio. Nel frattempo i rifiuti di Brindisi fanno dei percorsi folli: il rifiuto secco va prima in un comune, poi in un altro e finiscono in Formica Ambiente. Contro quella discarica sono state combattute battaglie di principio da parte della sinistra e ora è diventato l’impianto dove vanno i rifiuti secchi di Brindisi e nessuno dice niente. Lo stesso ha fatto Rossi con la Fondazione Giannelli, lo abbiamo interrogato formalmente. Lui fece una grande battaglia quando era all’opposizione, poi da sindaco dice in Consiglio comunale che non ha una carta. E’ incredibile. Anche questo modo di coprire i presunti buchi del bilancio sono una presa in giro. Ma quando mai il Comune potrà incassare due milioni e mezzo di euro per le palazzine dell’ex agenzie delle Entrate? Quell’area dovrebbe diventare il fulcro del contratto nazionale di sviluppo, nel pieno centro storico: ci sono il palazzo della Croce Rossa, i palazzi finanziari e la scuola elementare di via Maglie. Se li guardi dall’alto è un intero isolato nel centro storico. Puoi rifare il parco della Rimembranza, nuovi parcheggi, uffici, strutture per anziani. Ma va redatto un piano di rigenerazione urbana serio: quale privato spenderebbe mai due milioni e mezzo di euro senza sapere cosa fare? Lo stesso per l’area di Parco Bove: è di proprietà del Comune, ma come fanno a metterla in vendita tutto se ci sono ancora le baracche? Dicono: ma io non posso dare la casa a tutti. Dagli un’altra casa, magari non in via Torretta, da un’altra parte. Ma se non elimini le baracche nessuno si comprerà quei terreni”.
Qualcuno parla di malumori all’interno della maggioranza, secondo lei ci sono rischi concreti che possa scricchiolare?
“Ho la sensazione che viaggino molto alla giornata e credo che i problemi finanziari siano uno dei possibili motivi di crisi di questa amministrazione perché immagino che i consiglieri di maggioranza si siano stancati di andare in Consiglio e votare sempre a favore. Sai, sui debiti fuori bilancio ti assumi delle responsabilità contabili. Probabilmente non gliele spiegano neanche, vanno e alzano la mano. Se arriva la Corte dei Conti… Tutto si risolve ma con la Corte dei Conti mai: sono debiti trasmissibili agli eredi. Non ne esci e queste cose prima o poi verranno fuori. E ognuno deve essere cosciente di assumersi appieno tutte le responsabilità di una scelta che apparentemente viene compiuta in maniera semplicissima, alzando semplicemente la mano. Ma che può comportare conseguenze gravissime”.
Qual è il futuro di Giovanni Antonino?
“Io vivo dall’altra parte, faccio consulenza alle imprese, la mia attività non dovrebbe andare mai male perché faccio ottenere dei finanziamenti, anche importanti. Per fortuna lavoro in provincia o a Lecce. Perché a Brindisi iniziative nuove non ce ne sono. Tutti bar, pizzerie, cibi da asporto, non c’è un’idea brillante, qualcosa di nuovo. Solo la fame”.