Auto in fiamme ogni notte: a Brindisi l’ombra del dolo ma senza prove

La media è di un’auto in fiamme ogni notte, ma alcune volte è davvero un inferno. Tra lunedì e martedì, ad esempio: alle 3 i vigili del fuoco sono stati chiamati in via Romolo, al rione Commenda. Bruciavano una Fiat Panda e una Renault Megane. Per le auto non c’era più niente da fare e i pompieri sono dovuti intervenire affinché le fiamme non si propagassero persino all’abitazione vicina i cui muri nel frattempo si erano già anneriti. Mezz’ora dopo un’altra squadra è dovuta intervenire alla periferia sud della città, al villaggio San Paolo, in via Giovanni Battista Venturi, dove un’altra vettura veniva divorata dalle fiamme. Si trattava di una Jeep Renegate: anche qui non c’è stato nulla da fare. In nessuno dei due episodi sono state trovate tracce evidenti di dolo, anche se l’incidente elettrico appare improbabile. Le auto erano parcheggiate da ore. Qualche giorno prima due furgoni di una ditta di pulizia e un’auto che era parcheggiata vicina sono andati completamente distrutti in largo Amedeo Avogadro. Neanche qui tracce evidenti, ma il dolo sembra scontato. Venerdì scorso, alle 4 del mattino, in via Trento angolo via Corsica, sono state distrutte dalle fiamme una Opel Corsa e una Fiat 500 e il giorno prima, alle 10 della sera, un’auto con impianto a gas si era misteriosamente incendiata in via Montecristo.
Tra i proprietari delle auto non esiste alcun legame apparente così come è escluso che dietro i presunti attentati incendiari ci sia un’unica regia. In alcuni casi si ipotizza che si tratti di vendette private che si concretizzano nella devastazione di ciò che è più semplice colpire, nella certezza di provocare un danno non indifferente alla vittima.

Ma come mai diventa sempre più complicato individuare la matrice dolosa degli incendi? Probabilmente perché gli attentatori, invece della tradizionale bottiglia di benzina, utilizzano per innescare le fiamme le diavoline, ossia gli accendifuoco utilizzati per camini, stufe e barbecue. Le diavoline sono facilmente trasportabili e hanno il vantaggio di scomparire divorate dalle loro stesse fiamme dopo pochi minuti. Generalmente vengono collocate in corrispondenza degli pneumatici, sotto la ruota o sopra, in corrispondenza del parafango.
Secondo uno studio accurato effettuato dai vigili del fuoco, gli incendi dolosi si propagano con maggiore facilità e comunque lasciano alcune tracce “leggibili” sull’auto, a meno che questa non venga completamente distrutta. In linea generale, osservando, ad esempio, il prospetto laterale di un veicolo, quando la linea di demarcazione tra parti della carrozzeria con segni di danno termico e parti non danneggiate ha un andamento obliquo, generalmente, l’incendio è di natura colposa/accidentale; se invece tale linea ha un andamento verticale, con una netta e brusca separazione tra le parti danneggiate e quelle non danneggiate, l’incendio può più verosimilmente essere di natura dolosa, prodotto ad esempio attraverso l’uso di acceleranti di fiamma.
Altro segno tipico di un evento di natura dolosa è invece, sempre secondo questo studio, la presenza di zone contrapposte del veicoli, con evidenti segni di danno termico, separate tra loro da parti non danneggiate.

Tale segno denuncia la presenza di diversi punti d’innesco. In questi casi difficilmente potrebbe motivarsi la discontinuità di danneggiamento prodotta dall’incendio attraverso una dinamica basata sui naturali meccanismi di trasmissione del calore, se non riconducendo tale discontinuità all’azione contemporanea di differenti focolai posizionati in zone diverse del veicolo.
Un’ ampia varietà di materiali e sostanze può fungere da materiale combustibile, nell’incendio di un autoveicolo. Questi includono carburanti per motori e fluidi per la trasmissione, servosterzo e freni; refrigeranti; lubrificanti; fluidi per tergicristalli; vapori delle batterie; materiali presenti all’interno del veicolo come merce trasportata. Una volta che l’incendio è iniziato, ciascuno di questi materiali può contribuire come combustibile secondario, influendo sul tasso di crescita dell’incendio e sul conseguente danneggiamento del veicolo.
Ma dalla teoria alla pratica il problema diventa concreto: non essendoci prove sostanziali, quasi mai indagini avviate al momento dell’incendio approdano all’individuazione degli attentatori. Recentemente si sta ricorrendo all’acquisizione delle immagini a circuito chiuso degli impianti di videosorveglianza. Ma non sempre le zone in cui si verificano gli incendi sono coperte dall’occhio elettronico.
Restano il super lavoro notturno dei vigili del fuoco e la disperazione chi da un momento all’altro si ritrova con l’auto, magari acquistata con i risparmi di una vita, ridotta a un ammasso di lamiere incandescenti.