Blocco Altoforno 1 ex ILVA: chiesta cassa integrazione per quasi 4mila operai

Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione guadagni per 3926 lavoratori, di cui 3538 nello stabilimento di Taranto, dopo il dimezzamento della produzione attribuito dall’azienda al sequestro disposto da parte della Procura della Repubblica jonica dell’Altoforno 1, dove il 7 maggio scorso si è verificato un grave incendio a causa dello scoppio di una tubiera.
Andranno in cig anche 178 lavoratori del sito di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi.
A illustrare le decisioni dell’azienda, nel corso di una riunione in videoconferenza, è stato il responsabile delle Risorse Umane Claudio Picucci.
Per i sindacati nazionali erano presenti Valerio D’Alò della Fim Cisl, Loris Scarpa della Fiom Cgil, Guglielmo Gambardella della Uilm e Francesco Rizzo dell’Usb. L’Afo1 è stato sottoposto a sequestro probatorio senza facoltà d’uso nell’ambito dell’inchiesta condotta dal PM Francesco Ciardo, che ha iscritto nel registro degli indagati il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento, Benedetto Valli, e il direttore dell’area altiforni, Arcangelo De Biasi.
I reati ipotizzati sono omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. A uno degli indagati è contestata anche la mancata comunicazione, in base alla legge Seveso, sull’incidente rilevante.
La Procura ha poi dato il via libera ad alcune attività di manutenzione e messa in sicurezza ma, secondo l’azienda, “non sono state autorizzate nei tempi utili, rendendo ora non più applicabili le procedure standard di esecuzione”. Stando a quanto evidenziato, l’azienda, “nel momento in cui dovessero essere autorizzate, oggi, dopo oltre 120 ore dall’evento, non è più possibile procedere con il colaggio dei fusi, con la conseguenza che, in caso di riavvio, si dovranno adottare procedure straordinarie, complesse e con esiti assolutamente incerti”. E, sempre secondo l’azienda, “questo blocco potrebbe aver compromesso la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale”. Anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è intervenuto ieri osservando che “più che le trattative in corso con la compagnia imprenditoriale dell’Azerbaijan Baku Steel, l’incidente può compromettere la ripresa degli stabilimenti e l’occupazione. Verosimilmente l’impianto è del tutto compromesso”.
Di tutt’altro parere i sindacati e i lavoratori.
Valerio D’Alò, della Fim Cisl con delega alla siderurgia, precisa che “l’azienda ha formalizzato l’aumento della cassa integrazione legandolo all’incidente all’Afo1, ma per noi la questione va affrontata su due livelli: da un lato, una copertura sociale necessaria per i lavoratori nell’immediato; dall’altro, un confronto politico vero con il Governo per chiarire quali siano le reali intenzioni su questa fabbrica e sulla trattativa con Baku Steel, che appare ancora oscura. Chiediamo anche di sapere cosa intenda fare l’esecutivo per garantire il futuro dell’AIA, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, elemento imprescindibile per la sopravvivenza dello stabilimento. Serve una convocazione urgente a Palazzo Chigi, perché il tempo è finito”.
Gennaro Oliva, di UIL Taranto, ha detto: “Non possiamo accettare l’ennesima richiesta di Cigs mentre ancora non c’è un piano industriale, né spiegazioni sull’incendio all’Afo1, né garanzie sulla ripartenza dell’Afo2 o sul futuro dell’impianto. La trattativa con Baku Steel è in stallo, i fondi promessi non arrivano e comunque sarebbero insufficienti. Intanto ci chiedono altri sacrifici, sempre e solo ai danni dei lavoratori. Chiediamo lo stop immediato alla trattativa con gli azeri e l’assunzione del controllo statale dell’impianto, con una legge speciale per Taranto, risorse vere per bonifiche, riconversione e tutele previdenziali. È il momento di agire, non di tergiversare”.
Guglielmo Gambardella, della Uilm, ha evidenziato: “Non siamo disponibili ad avallare l’ennesimo incremento della Cigs senza che ci sia un cambio di passo reale. Il governo assuma la responsabilità della gestione diretta del gruppo e dia avvio, immediatamente, al processo di elettrificazione e decarbonizzazione. Non possiamo più permettere che ogni incidente o blocco impiantistico venga scaricato sulle spalle dei lavoratori. L’unico percorso credibile è quello che porta alla costruzione dei forni elettrici e dell’impianto DRI, e al contestuale sblocco dei 100 milioni del prestito ponte per garantire liquidità. Ma oltre ai fondi, servono soluzioni strutturali: strumenti straordinari per la gestione degli esuberi, prepensionamenti, riconversione professionale. Basta con le scelte sbagliate: servono atti concreti, non più promesse”.