
Di Alessandro Caiulo per il numero 382 de Il7 Magazine
Una recente passeggiata nel cuore del Parco Naturale Regionale delle Saline di Punta della Contessa, a sud della Zona Industriale di Brindisi, nel corso della quale ho potuto constatare che quello che un tempo era un capanno per l’osservazione degli uccelli, ormai devastato e, come risulta evidente dalle numerose cartucce abbandonate per terra, viene di fatto utilizzato come postazione di caccia da fuorilegge senza scrupoli, e la lettura di un recente rapporto di Legambiente sulla protezione della fauna selvatica e il prelievo venatorio a trent’anni dall’approvazione della legge n°157/1992, che nelle intenzioni del Legislatore avrebbe dovuto porre fine al bracconaggio, ma così non è stato, mi portano ad approfondire l’argomento con particolare riferimento al nostro territorio.
Anche se spesso si tende a sottovalutarne la portata, ritenendolo, forse per poca conoscenza delle leggi o per insensibilità nei confronti dell’immenso patrimonio faunistico con cui ci troviamo indegnamente a convivere, un reato minore, si tratta di un fenomeno ancora diffuso e con conseguenze deleterie.
Non si vuole puntare indiscriminatamente il dito verso i cacciatori – categoria che, dati alla mano è in forte decremento e che, negli ultimi trent’anni ha visto calare i suoi praticanti dal oltre un milione a meno di mezzo milione, con età media superiore ai sessanta anni – ma verso coloro, siano essi cacciatori (statistiche alla mano solo il 5% dei cacciatori non rispetta le leggi in materia) o meno, che illecitamente, per lucro, sadismo, vendetta o dispetto, se la prendono con gli animali selvatici.
Si tende a ritenere il bracconaggio un fenomeno in voga in paesi lontani, talchè è facile stigmatizzare chi partecipa a costosissimi safari a caccia di Leoni, Elefanti, Gorilla o Rinoceronti, solo qualcuno pensa anche agli stermini di Lupi e Orsi, animali sottoposti a particolare protezione, e quasi nessuno associa questo fenomeno a chi cattura i Cardellini per tenerli chiusi in gabbia, a chi fa strage di Pettirossi e Fringuelli per arricchire la polenta con gli osei, per non parlare del mercato della tassidermia, spesso alimentato da uccisioni illegali di specie protette, incuranti che per l’imbalsamazione vigono ferree leggi e sono necessarie specifiche autorizzazioni regionali.
Come rivelato da uno degli ultimi report di BirdLife International, organizzazione non governativa internazionale che si occupa della protezione e della conservazione dell’avifauna oltre che del ripristino e della tutela dei relativi habitat naturali, l’Italia, con 5 milioni di uccisioni e catture l’anno, è al secondo posto per bracconaggio, alle spalle dell’Egitto e davanti a Siria, Libano e Cipro.
“La fauna selvatica – recita l’art.1 della Legge 157/1992 – è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”, per cui, salvi casi particolari, nessun animale può essere ucciso o prelevato in natura. Precisa, poi, l’art.2, che “fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della presente legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale. Segue poi l’elenco delle specie particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, fra cui, per accennare a quelle maggiormente presenti nel brindisino, tutte le specie di rapaci diurni (Biancone, Aquila minore, Poiana, Gheppio e altre specie di falchi e albanelle) e notturni (Civetta, Barbagianni, Gufo, Assiolo e Allocco) trampolieri come la Gru, il Fenicottero, la Spatola, il Tarabuso, il Cavaliere d’Italia, l’Avocetta, il Mignattaio e la Cicogna, anatre come la Volpoca e il Fistione, uccelli marini come il Gabbiano corso e la Sterna maggiore. Sono, inoltre, tutelate anche le altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali indicano come minacciate di estinzione. La più importante di queste è la Convenzione di Washington (identificata con l’acronimo C.I.T.E.S. – Convention on International Trade of Endangered Species) a cui è allegato un dettagliato elenco di animali, ma anche di piante, minacciate di estinzione. Ad esempio, sempre per rimanere agli uccelli che frequentano le nostre zone, sono tutelati grazie alle convenzioni internazionali, il Cormorano, tutte le specie di Airone, svariati limicoli ed anatre.
Il bracconaggio, giuridicamente, è la caccia illegale o di frodo: vale a dire fatta in tempi (al di fuori dei giorni e degli orari espressamente stabiliti), luoghi (p.e. in riserve, parchi, aree protette), modi non consentiti (con reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbie trappola e simili), senza regolare licenza o nei confronti di specie protette e chi commette atti di bracconaggio è punito con la pena da due a sei anni di reclusione e la confisca di armi e attrezzature usate per commettere il reato
Siccome costituiscono illeciti penali anche la cattura di uccelli e di mammiferi selvatici vivi e il prelievo di uova, nidi e piccoli nati, puniti con l’arresto fino ad un anno o l’ammenda da 774, a 2.065 euro, e le sevizie nei confronti degli animali, punite con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da cinquemila a trentamila euro, il fenomeno dei reati commessi contro la fauna selvatica è assai più diffuso e molto più vicino a noi di quanto si sarebbe portati a pensare.
Se poi aggiungiamo il commercio illegale, anche internazionali, che riguarda la fauna selvatica che è ai primi posti, insieme al traffico di esseri umani, di droga e di armi, abbiamo un quadro più completo della situazione e possiamo ben dire che molte specie corrono il rischio di estinguersi a causa del prelievo in natura di esemplari che vengono venduti per collezionismo o come animali da compagnia. Molte altre specie vengono uccise per vendere parti quali corni, pelli e ossa come trofei o per essere utilizzati nella medicina tradizionale orientale.
La nostra legge, datata 1992, comincia a sentire il peso degli anni e avrebbe bisogno di una bella rinfrescata, per essere più efficace, specialmente dopo la Riforma Costituzionale che nel 2022 ha modificato profondamente l’art.9 della Costituzione secondo cui la Repubblica tutela “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” e che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
In pratica è compito dello Stato, ma anche delle Regioni, che hanno ampia delega nel campo della tutela della fauna selvatica e della disciplina dell’attività venatoria, tutelare gli animali non solo impedendone l’uccisione e la cattura da parte dei bracconieri e gli atti di ingiustificata violenza, ma anche salvaguardando l’Ambiente, la Biodiversità, cioè la varietà di tutte le forme di vita che abitano la terra, e gli Ecosistemi, vale a dire l’insieme di organismi viventi e di materia che interagiscono in un determinato ambiente venendo a costituire un sistema autosufficiente in equilibrio dinamico.
Il motivo per cui molte specie rischiano l’estinzione non è soltanto il loro indiscriminato prelievo in natura, ma anche l’opera di distruzione sistematica dei loro habitat naturali: si pensi che, ritornando allo studio pubblicato da Legambiente, solo il 10% del territorio nazionale (il 13,7% in Puglia) è attualmente tutelato dal punto di vista faunistico/ambientale.
Grazie alla Riforma della Carta Costituzionale ora la fauna selvatica non è più salvaguardata solo in quanto proprietà dello Stato che, in quanto tale, non va danneggiata o sottratta (non a caso nella giurisprudenza si parla di furto venatorio), ma va tutelata in un’ottica nuova di consapevolezza, partecipazione e tutela nell’interesse primario delle future generazioni, cioè per lasciare ai nostri figli, nipoti e pronipoti, un mondo che non sia peggiore di quello che noi abbiamo ricevuto in dono.
In questa sorta di rivoluzione copernicana c’è molto della enciclica Laudato si’ in cui, nel 2015, Papa Francesco focalizza l’attenzione degli uomini e delle donne di buona volontà sulla cura dell’ambiente naturale e delle persone, nonché su questioni più ampie del rapporto tra Dio, gli esseri umani e la Terra, definita la nostra casa comune, per cui è obbligo di tutti, a partire dai governanti, prendersene cura, anche perché non abbiamo un secondo pianeta su cui poter andare a vivere.
Snocciolando ancora qualche dato statistico fornito da Legambiente che riguarda da vicino la nostra regione, la Puglia risulta al quarto posto, alle spalle di Lazio, Lombardia e Campania, per reati contro la fauna selvatica, ma è al primo posto per sequestri conseguenti a tali illeciti. Va doverosamente precisato che, per penuria di uomini e mezzi e per la poca collaborazione da parte dei cittadini, la stragrande maggioranza degli illeciti nei confronti degli animali selvatici non viene segnalata nè altrimenti scoperta dalle forze dell’ordine.
Un tempo vi era la Polizia Provinciale, con specifica competenza e preparazione al riguardo, svolgeva adeguate indagini, continui controlli sul territorio, appostamenti notturni e aveva a disposizione un apposito numero verde per le segnalazioni; dopo la famigerata Riforma Delrio che ha privato l’Ente Provincia di molte prerogative in favore della Regione, questa professionalità è andata dispersa ed il poco personale rimasto è utilizzato per altri servizi, mentre il Nucleo Regionale di Vigilanza Ambientale, che è subentrato per competenza, e che a Brindisi ha dodici addetti, non ha mai brillato in questo campo, al punto che negli archivi di cronaca non si trovano tracce di loro interventi antibracconaggio nel brindisino. Praticamente oggi solo i Carabinieri Forestali, che hanno raccolto quel che rimaneva del glorioso Corpo Forestale dello Stato, anch’esso smembrato per ragioni di bilancio, conducono un’efficace opera di repressione del bracconaggio, ma devono fare i conti con un personale che, sia pure competente e motivato, è ridotto all’osso ed è sopraffatto da mille altre incombenze.
Come accennato in apertura, il fenomeno “bracconaggio”, a giudicare dalla quantità di bossoli di fucile da caccia rinvenuti attorno agli stagni e dietro il capanno di osservazione posto a lato sud, continua ad interessare anche un’area protetta di grande rilevanza naturalistica come il Parco Naturale Regionale Saline di Punta della Contessa, istituito con Legge Regionale del 2002, ma che già dal 1983 è un’oasi di protezione per la incredibile ricchezza della avifauna, non solo migratoria, che la popola ed in cui sono presenti oltre cento specie di uccelli, di cui una cinquantina meritevoli di particolare protezione, di recente riconosciuta “Zona Speciale di Conservazione ai sensi della Direttiva Habitat”. È incredibile come, a oltre venti anni dalla sua istituzione e all’affidamento in gestione al Comune di Brindisi, sia ancora tutto in alto mare e al di là di qualche costosa opera, subito vandalizzata per mancanza di controlli, nulla si è mosso nella giusta e doverosa direzione.
È sotto gli occhi di tutti che la mancata creazione di un organo/comitato che lo gestisca, con personale qualificato per garantirne la vigilanza, la fruizione e la valorizzazione, ha lasciato questa area – davvero unica per gli altissimi livelli di biodiversità, eccezionale sia dal punto di vista paesaggistico che naturalistico, e considerata dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale alla stessa stregua delle Saline di Margherita di Savoia per i censimenti nazionali degli uccelli acquatici svernanti – nel più completo abbandono, in balia di vandali e razziatori.
Per meglio comprendere il danno arrecato anche alla nostra fauna selvatica dall’azione di questa gente senza scrupoli abbiamo interloquito con la Responsabile del Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi, la biologa Paola Pino d’Astore, che, operando sul campo da oltre vent’anni, ben conosce la situazione: “Nel Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi-Santa Teresa S.p.A., giungono ogni anno nel periodo venatorio, da settembre a gennaio, decine di uccelli colpiti illecitamente da arma da fuoco e tale quantità è solo una minima parte di tutti gli esemplari abbattuti che restano sul terreno ormai morti o ancora vivi ma non trovati e recuperati da persone compassionevoli. Dal 2019 ad oggi sono stati ricoverati n.87 uccelli di cui la quasi totalità appartenenti a specie protette e spesso colpiti per puro atto vandalico come se fossero fantocci da colpire al tiro al bersaglio. In tutti questi casi non è possibile che sia accaduto per errore dal momento che si tratta di specie inconfondibili, non cacciabili e appartenenti al gruppo dei rapaci e degli aironi. Dalle radiografie e dall’esame obiettivo effettuato dai veterinari si rinvengono i pallini delle cartucce nel corpo di rapaci come il Gheppio, la Poiana, il Falco di palude, lo Sparviere, l’Albanella reale, lo Smeriglio e di aironi come l’Airone guardabuoi, l’Airone cenerino, l’Airone rosso, la Garzetta, il Tarabuso. La percentuale di guarigione e conseguente ritorno in natura è del 28,7%, perché le lesioni provocate dalle fucilate sono spesso gravi. Negli ultimi anni questi dati sono stati richiesti ai CRAS (Centri Recupero Animali Selvatici) dal Ministero Ambiente, attraverso il competente Ufficio Regionale (nel nostro caso la Sezione Gestione Sostenibile e Tutela delle Risorse Forestali e Naturali della Regione Puglia), nell’ambito di un “Piano di contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici” e recentemente dal Raggruppamento Carabinieri CITES Comando di Roma. Raramente arrivano al Centro Fauna Selvatica notizie di bocconi avvelenati. In un caso, probabilmente dovuto all’intenzione di avvelenare mammiferi come la Volpe o la Faina evidentemente interessate a predare all’interno di un pollaio, è capitato di intervenire sul posto per recuperare due Poiane che avevano prelevato e spostato, assaggiandolo, un involtino avvelenato. La tempestiva segnalazione da parte di alcuni ciclisti e l’immediato ricovero con opportune cure veterinarie hanno garantito la salvezza per questa coppia che a degenza ultimata è ritornata a volare libera in un’area protetta del territorio comunale di Brindisi”.