Brindisi, da 130 anni la città pugliese della luce

di Giovanni Membola

Sono trascorsi giusto centotrenta anni da quando a Brindisi è attivo un impianto di illuminazione artificiale nelle principali strade cittadine, uno dei primissimi della regione e dell’intero meridione del giovane regno italiano. L’importante innovazione porta il nome di Engelberto Dionisi, sindaco dell’epoca nonché principale artefice dell’impresa portata avanti insieme alla sua Giunta municipale, che permise alla nostra città di risolvere “quel problema che altri non han voluto o saputo effettuare” ben cinque anni prima di Taranto.
Tutto era pronto da circa una settimana, il nuovo e prestigioso impianto era stato già attivato e provato con successo sette giorni prima, ma si era deciso di inauguralo con una festosa cerimonia alle ore 15 di domenica 29 ottobre, quando furono accese tutte le lampade dei nuovi ed eleganti lampioni che adornavano i corsi principali e la suggestiva via Marina, dando così alla città un “aspetto moderno e civile”. Erano presenti praticamente tutte le autorità civili, militari e religiose della città, oltre ai rappresentanti della stampa locale e delle associazioni locali, nessuno voleva mancare all’imperdibile e tanto atteso evento promosso dall’amministrazione comunale “in onore al progresso ed alla civiltà”.
Finalmente “il grave problema dell’illuminazione, che ha formato la preoccupazione di tutte le amministrazioni che si sono succedute al Palazzo di Città, ha finalmente ottenuto la sua soluzione […] infatti quel giorno Brindisi, vecchia e nuova, era illuminata con la nuova luce” scrissero i giornali dell’epoca, elogiando non solo il grande impegno del “sognatore perpetuo” Dionisi, ma anche gli sforzi economici e l’intraprendenza di un gruppo di noti imprenditori brindisini, ossia i componenti del consiglio di amministrazione della Società Anonima Brindisina per l’Illuminazione Elettrica: Spiridione Giorgio Cocotò (presidente), Cesare Bianchi, Teodoro Titi, Luigi Passante e Pietro Montagna. Questi “egregi cittadini” nonché pionieri dell’elettricità, erano stati invitati proprio dal sindaco ad “avere fede nella nostra città, perché servano di sprone agli indecisi e li persuadano a rinforzare la nascente società, nella speranza che si potrà finalmente incominciare a provvedere ai pubblici servizi col concorso dei capitali cittadini, e senza cadere in balia della speculazione forestiera”. La neonata società, costituita con rogito del notaio Michele D’Ippolito il 30 dicembre del 1892 con un capitale sociale di centotrentamila lire, diviso in cinquantadue azioni da duemilacinquecento lire ciascuna e con una durata dell’esercizio pari a venticinque anni, aveva oltretutto provveduto a sostituire interamente tutti i fanali in ferro fuso già presenti sulle strade, senza alcun aggravio di spesa da parte dell’amministrazione cittadina, con lumi dotati di moderne lampade ad arco voltaico.
La produzione di energia avveniva presso l’Officina Elettrica, un opificio appositamente realizzato sulla parte esterna di Porta Mesagne, all’interno del quale vi era una caldaia alimentata a carbone fossile.


L’esigenza di illuminare i luoghi pubblici e privati nelle ore buie della giornata è stata avvertita dagli uomini sin dai tempi antichi. L’assenza di luce non permetteva di svolgere le varie attività quotidiane durante le ore notturne, per secoli infatti la vita si svolgeva dall’alba al tramonto, con il chiarore del sole. Quella di creare sorgenti luminose artificiali era una necessità nata praticamente insieme all’uomo, resa possibile grazie al controllo del fuoco per produrre sia luce che calore.
Con il passare dei secoli la tecnologia è notevolmente progredita, furono messi a punto una serie di congegni per illuminare, come le lanterne alimentate con olio d’oliva, utilizzate sin dalla preistoria, e le candele di grasso animale e poi in cera. Queste ultime permettevano di fare luce in casa, mentre all’esterno l’illuminazione notturna veniva assicurata da torce o bracieri disposti solitamente nei pressi di edifici importanti, come monasteri, castelli e palazzi baronali. Successivamente, con l’ingrandirsi delle città e il diffondersi della criminalità favorita dalle tenebre, la necessità dell’illuminazione stradale divenne ancora più pressante. A partire dalla metà dell’Ottocento, con l’entrata in funzione del gas ottenuto dalla distillazione del carbon fossile, molte città si dotarono di lampioni, così da vincere in maniera efficace il buio notturno e rendere più sicure le strade cittadine.
In molti casi, soprattutto nelle principali capitali europee, vennero realizzati meravigliosi esemplari di fanali a più bracci riccamente decorati con raffinati ed eleganti ghirigori e animali fantastici, tipo draghi, leoni e grifoni alati, lavorati sapientemente secondo il tipico gusto dell’epoca. Anche a Brindisi esistevano lampioni in ghisa anche se molto più semplici rispetto a quelli in stile Liberty o Art Nouveau presenti nelle grandi città. Erano alimentati a petrolio e venivano accesi a mano dal cosiddetto “lampionaio”, un mestiere rimasto attivo fino ai primi del Novecento. Costoro usavano lunghe aste per raggiungere in altezza le lampade ed accendere lo stoppino, provvedevano inoltre alla loro manutenzione e ad aggiungere l’olio necessario, e poi, ogni mattina all’alba, procedevano a spegnerli uno ad uno.
L’evoluzione della luce artificiale, da olio o gas a elettrica, avvenne dopo l’arrivo della lampadina ad incandescenza, una invenzione di Thomas Alva Edison risalente al 1878. Un cambiamento epocale che modificò profondamente in maniera positiva la vita sociale e le tante abitudini consolidate, rendendo più agevole e diffuso anche il lavoro notturno.
I primi impianti elettrici per la pubblica illuminazione furono accesi inizialmente nelle principali città italiane, ma solo qualche anno prima di Brindisi, che in questa occasione seppe dimostrare spiccate capacità imprenditoriali e organizzative di amministratori e privati. La società brindisina infatti, aveva come scopo principale “l’installazione e l’esercizio di illuminazione elettrica pubblica e privata nella città di Brindisi ed eventualmente in altre località della provincia di Lecce”. L’appalto comunale venne assegnato con apposito contratto il 19 giugno del 1893 per un periodo stabilito di venti anni, con la corresponsione economica pari a trentasettemila lire annue, somma poi aumentata in conseguenza all’espansione delle aree del servizio. Sino ad allora la città era stata illuminata con i fanali a petrolio di Felice Chartroux, imprenditore nativo di Nizza ma domiciliato a Brindisi.
L’opinione pubblica esaltò non poco l’importante iniziativa, anche se non mancarono i suggerimenti: si chiese sin da subito di illuminare elettricamente l’antico orologio di piazza Sedile, “si verrebbero così a scemare di molto le lire 700 circa che si spendono adesso in un anno per il petrolio e si avrebbe un servizio più pulito. Ci pensi chi ha cagione ora che è tempo” scrissero i giornali dell’epoca. Ma allo stesso tempo si lamentò l’assenza di illuminazione in Largo Stazione, rimasta al buio per un mancato accordo tra il Comune e la Società Ferroviaria sulla spesa di mille lire annue necessarie all’acquisto e al funzionamento della lampada ad arco.