di Gianmarco Di Napoli
è ormai chiaro che nel processo di transizione energetica verso fonti rinnovabili, accelerato dal conflitto in Ucraina, un ruolo centrale verrà rivestito dalla costruzione di grandi parchi eolici costruiti in mezzo al mare, i cosiddetti impianti “offshore”. La collocazione di turbine al largo delle coste consente di sfruttare al massimo la maggiore intensità dei venti e produrre una quantità rilevante di energia.
E’ altrettanto chiaro che le coste pugliesi, in particolare quelle brindisine, risultano particolarmente appetibili per la loro particolare ventosità e per la profondità non eccessiva del mare: a 12 miglia nautiche, circa 23 chilometri, l’area in cui dovrebbero sorgere i parchi, il fondale si trova tra 100 e 300 metri. Più semplice ancorarvi le turbine.
Ma il motivo più importante non è di natura geografica o eolica.
Per le aziende multinazionali che sono pronte a investire nella costruzione di parchi offshore l’aspetto che rende la costa brindisina quasi unica è la rete di trasmissione elettrica a terra, tra le più sviluppate in Italia, dotata di diverse linee e nodi per la connessione alla Rete di Trasmissione nazionale.
Perché se i costi per la costruzione, il trasporto e la collocazione delle turbine in mare aperto sono pressoché uguali ovunque gli impianti vengano realizzati, ciò che cambia e incide moltissimo su di essi è il sistema di trasferimento dell’energia prodotta al largo con le pale eoliche. Il parco infatti viene connesso alla rete elettrica a terra attraverso una serie di cavi sottomarini che dopo essere stati convogliati verso una prima stazione elettrica di trasformazione, sempre collocata in mare, si dirigono verso la costa e si collegano a loro volta con un cavidotto terrestre interrato per essere trasferiti poi alla rete di smistamento nazionale.
A Brindisi ci sono tre centrali termoelettriche principali: quella dismessa di Edipower, quella di Cerano e quella di Enipower. E per supportarle ci sono due nodi di connessione, la Sottostazione “Brindisi” e la Sottostazione “Brindisi Sud” che forniscono una grande capacità di immissione di energia nella Rete di Trasmissione nazionale. Insomma la distanza tra il punto d’approdo a terra dell’energia e il luogo in cui essa confluisce per essere distribuita è di poco più di trenta chilometri. Una caratteristica questa che, aggiunta a una zona industriale che si affaccia proprio sul porto, rende questo tratto di costa tra i più appetibili dell’intero Mediterraneo.
Ora forse è ancora più evidente il motivo per cui già cinque richieste di concessione demaniale siano state presentate da altrettante multinazionali alla Capitaneria di porto di Brindisi per la realizzazione di parchi a poco più di venti chilometri dalla costa. E se da un lato la prospettiva che, dopo essere stata l’emblema dell’inquinamento con le centrali a carbone, questa città possa diventare la “Wind’s Valley” d’Europa, assumendo un ruolo centrale nel processo di transizione energetica mondiale con le fonti alternative, è senza dubbio lusinghiera.
Ma c’è un rischio che sembra essere sottovalutato: non essendoci ancora una normativa precisa per la limitazione gli impianti e non essendo chiaro quanti potranno essere quelli complessivamente autorizzati, ci si possa ritrovare con l’intero tratto di costa puntellato da centinaia di gigantesche turbine a vento. La normativa è infatti ancora molto vaga e soprattutto è condizionata dal fatto che gli impianti sorgono in acque internazionali e dunque sono soggetti solo alle autorizzazioni dei ministeri competenti, sulle quali gli enti locali non hanno alcuna voce in capitolo.
Con il paradosso che Brindisi, dopo essere stata devastata dagli insediamenti industriali inquinanti, subisca anche conseguenze gravissime da impianti che invece dovrebbero essere realizzati con l’obiettivo del massimo rispetto dell’ambiente, in un progetto di transizione energetica legata allo sfruttamento del vento e del sole.
Intanto c’è un aspetto estetico che non va per niente sottovalutato. Perché se è vero che le pale eoliche saranno collocate a oltre venti chilometri dalla costa è altrettanto vero che esse saranno comunque perfettamente visibili. E un conto è che esse appaiano per brevi tratti di mare e un altro che puntellino l’orizzonte delle nostre spiagge. Sarebbe una vera e propria devastazione, anche sul piano turistico.
Ma mettiamo da parte l’aspetto “romantico” e parliamo di problemi concreti. In ognuno dei progetti presentati un capitolo importante è riservato agli studi prodotti dalle stesse aziende e che rassicurano tutti su un punto: gli impianti non hanno alcun impatto sulla flora e sulla fauna marina, sulle attività di pesca e sulle correnti marine. Il che probabilmente può essere verosimile in rapporto a un singolo parco eolico offshore.
Ma cosa può succedere se centinaia di turbine, alcune galleggianti, altre ancorate sui fondali, andranno a lavorare contemporaneamente in un tratto di mare tutto sommato ristretto? Senza dimenticare che nello stesso tratto di mare insiste già la piattaforma Eni, l’unica autorizzata in Puglia, che attraverso le trivellazioni preleva gas naturali dal fondale dell’Adriatico.
E questa sorta di sbarramento nautico, nel suo insieme, quanto inciderà sul traffico di navi passeggeri, mercantili e militari, e di yacht verso la nostra costa? Nessuno è in grado di dirlo e nessuno può fornire alcuna rassicurazione attendibile.
E’ invece oggettivo che installazioni di queste dimensioni, con turbine sempre più grandi e potenti debbano prevedere un’attenzione specifica alle conseguenze sulla fauna marina e sulla salute dei fondali. E, trovandosi al di fuori delle acque territoriali e dunque dalle regole del diritto marittimo, ci sono ancora troppe incertezze sul piano giuridico che richiedono da un lato lo sviluppo di forme di governance per progetti condivisi, dall’altro l’inserimento di questi progetti all’interno dei piani nazionali e regionali di sviluppo marittimo, integrando gli impianti nella gestione delle proprie acque territoriali.
Tutto questo non significa che gli enti locali e i politici che rappresentano questo territorio debbano attendere che come sempre venga deciso dall’alto il futuro di Brindisi e dei suoi abitanti, perché se è vero che il Comune, la Provincia, l’Autorità portuale, non hanno alcun potere decisionale sulla realizzazione di parchi eolici in mare, essi hanno la possibilità di incidere in maniera concreta sul futuro di quei progetti per un motivo fondamentale e che in parte abbiano descritto prima: se l’energia è prodotta in mare, è a terra che si gioca la partita economica più importante per chi viene a investire: perché è qui che viene inviata attraverso gli elettrodotti sottomarini. E’ qui che devono essere creati i punti di approdo e i percorsi sotterranei terrestri che dovranno condurre (per la strada più breve) al collegamento con la rete di distribuzione nazionale. E sulla zona demaniale e poi su quella interna gli enti locali hanno, eccome, voce in capitolo.
Ma c’è un altro aspetto altrettanto fondamentale che va capitalizzato: per abbattere i costi le aziende che realizzano gli impianti in mare hanno la necessità di costruire e assemblare le turbine il più vicino possibile al luogo d’imbarco dei pezzi, magari anche sulla banchina. E la stessa esigenza permane nei successivi decenni per la manutenzione degli impianti e la sostituzione dei pezzi. E su tutto questo gli enti locali hanno voce in capitolo, eccome.
Per questo motivo Act Blade, una delle multinazionali interessate alla realizzazione degli impianti offshore, sarebbe stata disposta a rinunciare al progetto e a realizzarlo altrove se non fosse stato trovato un accordo per la produzione delle turbine eoliche proprio sulla banchina di Sant’Apollinare da dove salperanno le navi per il trasporto. I costi sarebbero evidentemente lievitati al punto da non rendere più conveniente il business.
Quella di Act Blade può essere considerata una prova generale per la creazione di una linea di comunicazione trasversale tra enti locali e governo. A risolvere la diatriba è stato infatti un salentino, il ministro per il Sud Raffaele Fitto, che ha convocato tutti gli enti locali a un tavolo per risolvere la questione. Fitto ha senza dubbio individuato le potenzialità dell’eolico per il rilancio dell’economia salentina e anche il ruolo che si deve avere nella interlocuzione con le aziende. Uno dei due più grossi hub galleggianti al mondo per la produzione di idrogeno verde con parco eolico sarà realizzato dall’operatore svedese Hexicon e dal partner italiano Avapa Energy sarà realizzato tra Brindisi e Lecce. E Fitto ha ben compreso che è a terra che sarà giocata la partita più importante.
All’incontro su Act Blade, convocato dal ministro in videoconferenza, era incredibilmente assente il Comune di Brindisi. Il sindaco Riccardo Rossi ha fatto sapere di aver ricevuto un link sbagliato per il collegamento, ha parlato di segreterie chiuse dopo 2 di pomeriggio e altre storie. Poco importa se le cose siano andate effettivamente così, se cioé il sindaco aspettava davanti al pc mentre altrove si svolgeva un incontro decisivo per lo sviluppo economico di questo territorio.
Tutto ciò spaventa e imbarazza: una tale approssimazione, in un momento così delicato è un pessimo inizio. O una fine annunciata.