Di Marina Poci per il numero 406 de Il7 Magazine
Ha parlato per quattro ore, rispondendo alle domande della PM della Procura della Repubblica di Pesaro Irene Lilliu che, notificandogli l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, gli ha contestato l’omicidio volontario aggravato dal rapporto di coniugio, dalla presenza dei figli minorenni, dalla crudeltà (motivata dagli otto fendenti inferti all’addome, alla schiena, al braccio e alla coscia con un coltello da caccia a serramanico), dai futili motivi e dai maltrattamenti in famiglia: Ezio Di Levrano, 55 anni, l’autista di scuolabus brindisino, da anni residente nelle Marche, accusato di avere ucciso la notte tra il 6 e il 7 settembre 2024 la moglie 38enne Ana Cristina Duarte Correia, brasiliana, su richiesta del suo legale Salvatore Asole, negli scorsi giorni ha raccontato la sua versione dei fatti riguardo alla sera in cui, nella casa di località Saltara (comune di Colli al Metauro, provincia di Pesaro), davanti ai tre figli avuti con la vittima (all’epoca dei fatti di 6, 12 e 14 anni), ha tolto la vita alla donna a cui, soltanto pochi giorni prima, aveva scritto su WhatsApp “Proverò a riconquistarti”.
In quello che appare forse come l’estremo tentativo di giustificare il suo gesto spacciandolo per “raptus”, Di Levrano ha riferito alla PM che non aveva alcuna intenzione di uccidere e che sarebbe stata la videochiamata ricevuta dalla moglie da parte dell’uomo con cui aveva (o aveva avuto) una relazione extraconiugale a scatenare la sua furia omicida: una rivelazione della quale – francamente – non si sentiva affatto l’esigenza, soprattutto in considerazione dei precedenti di violenza domestica molto gravi dei quali il brindisino – a detta della moglie e in parte dei figli – si sarebbe reso responsabile a partire dal 2013 e che certamente non fanno apparire come sorprendente, improvvisa e imprevedibile l’evoluzione del rapporto nel femminicidio.
Ricostruendo quanto accaduto nelle ore precedenti al delitto, Di Levrano ha dichiarato che Duarte, che qualche giorno prima si era allontanata dalla casa coniugale, nel pomeriggio del 6 settembre era rientrata nell’abitazione per – sempre stando a quanto ritenuto dall’uomo – provare a ricomporre la frattura che si era creata tra i due a seguito di un presunto tradimento della moglie con un uomo della zona, presentatole da un’amica. Stando alla prospettazione accusatoria, della quale i Carabinieri di Pesaro hanno dato ampio riscontro, l’allontanamento della donna sarebbe invece stato motivato dagli abusi fisici e psicologici a cui da anni sarebbe stata sottoposta da parte del marito (è agli atti anche una querela del 2022, poi ritirata, per maltrattamenti in famiglia). I militari dell’Arma riferirono infatti alla PM che nei giorni precedenti Ana Cristina aveva raccontato loro di essere stata costretta a lasciare la casa il 30 agosto per mettersi in salvo: tuttavia, alla proposta di accedere insieme ai figli ad una residenza protetta per donne vittime di violenza, Duarte aveva rifiutato, evidentemente immaginando di poter gestire senza interventi istituzionali la complessa situazione venutasi a creare. Secondo Di Levrano, dell’incontro teso alla riconciliazione vi sarebbe prova in base agli accertamenti tecnici sui cellulari di vittima e killer, che avrebbero rivelato gli scambi di messaggi tra i due: alle poesie d’amore inviate dall’assassino reo confesso, avrebbe fatto eco, stando a quanto riportato dalla testata Il Resto del Carlino, l’accordo tra i coniugi per una cena a base di sushi in spiaggia nei giorni a venire.
Il pomeriggio del 6 settembre scorso, prima che si consumasse l’omicidio, Di Levrano e Duarte avrebbero parlato a lungo nella casa di Saltara, in cui in quel momento nessuno dei figli era presente, e poi avrebbero consumato insieme alcolici e droghe (come accertato dall’esame tossicologico effettuato sul corpo della vittima): nel corso della discussione, la donna – sempre stando a quanto asserito dal marito nel corso dell’interrogatorio – avrebbe assicurato che la relazione extraconiugale si era interrotta. A quel punto Di Levrano sarebbe andato a letto per smaltire gli effetti delle sostanze assunte, mentre la moglie, uscita da casa, sarebbe rientrata qualche ora dopo, intorno alle 23, trovando in casa anche i figli che già dormivano. Poco prima delle due del giorno successivo Ana Cristina Duarte ricevette la videochiamata da parte dell’altro uomo, con il quale si sarebbe intrattenuta al telefono in un colloquio dai toni piuttosto accesi che avrebbe innescato la gelosia del marito. Di Levrano ha riferito di averla colpita in un impeto di rabbia, ancora annebbiato dagli alcolici e dalle droghe assunte, e di non ricordare con esattezza quanti fendenti abbia inferto alla moglie. Allarmati dalle urla, nella stanza sarebbero sopraggiunti i tre figli minori della coppia, nel frattempo svegliatisi. Il maggiore, un ragazzo che adesso ha 15 anni, sconvolto per la visione della madre riversa sul pavimento in un lago di sangue, parzialmente eviscerata, avrebbe assistito alle ultime coltellate e si sarebbe poi premurato di accompagnare dai vicini i fratelli più piccoli, per proteggerli dal padre ed evitare che vedessero la donna.
Questa, almeno, è la versione sostenuta dalla difesa di Di Levrano, secondo cui, come riferito dalla testata Corriere Adriatico, i figli “non hanno assistito all’omicidio per fortuna, il più grande è arrivato in soccorso dopo le urla”. Di altro avviso è l’avvocata Francesca Conte, che tutela gli interessi dei ragazzi, la quale, nel corso dell’incidente probatorio di dicembre 2024, quando i tre minori furono ascoltati in modalità protetta, ebbe modo di parlare di “omicidio in diretta” per i figli, arrivati nella stanza in cui si stava consumando il delitto “tutti e tre insieme”.
Di Levrano, dopo avere accoltellato la moglie, fuggì dalla casa coniugale e fu rintracciato ore dopo dai Carabinieri della Compagnia di Fano in un terreno vicino.
I particolari che, anche a distanza di tempo, continuano ad emergere, raccontano di anni e anni di soprusi, culminati in una serie di condotte inconsulte consumatesi nella casa coniugale nei giorni e nelle ore precedenti al femminicidio. Qualche notte prima dell’aggressione che le avrebbe tolto la vita, la vittima e il marito ebbero infatti una violenta discussione nel corso della quale Di Levrano, mandando per aria mobili e suppellettili della casa coniugale, aveva minacciato di togliersi la vita alla presenza della moglie e del giglio più grande, ingerendo candeggina, e successivamente aveva messo in pratica un atto di autolesionismo tagliandosi per tre volte sulla gamba destra con una lametta da barba. In quella circostanza la donna uscì da casa urlando al marito che non intendeva proseguire il rapporto coniugale, ma Di Levrano, l’avrebbe rincorsa prendendola per i capelli e minacciandola che, se non fosse tornata nell’abitazione di famiglia, l’avrebbe uccisa e poi si sarebbe suicidato. Malgrado ciò, la Procura pesarese non ha ritenuto di contestare all’uomo l’aggravante della premeditazione. Peraltro, come il più grande dei tre figli ha scritto poche ore dopo l’omicidio ad un amico in una conversazione su una chat di messaggistica istantanea, nel corso dell’accoltellamento il killer avrebbe urlato alla moglie “Stronza, mi hai tradito, pensavi che non ti facessi nulla?”.
Nel fascicolo della PM Lilliu sarebbero documentati, inoltre, moltissimi episodi di maltrattamenti, conseguenti a discussioni di coppia motivate dal fatto che Di Levrano, pregiudicato con precedenti per reati legati alle sostanze stupefacenti (nel 2004 era finito in un giro di narcotraffico tra Italia e Albania), era solito sperperare le risorse familiari nel gioco d’azzardo e, tra l’altro, negli anni precedenti aveva causato non pochi problemi alla moglie intestandole attività economiche a sua insaputa. Nero su bianco, a disposizione del Giudice dell’udienza preliminare che si terrà il prossimo 4 luglio, sarebbero le quotidiane minacce del marito ad Ana Cristina Duarte (“ti ammazzo, ti faccio a pezzi, vedrai che ti distruggo la vita, tu non vai da nessuna parte senza di me, io ti faccio morire di fame, io ti distruggo”, stando a quanto riportato dalle testate locali marchigiane).
Attualmente, dopo essere rimasti qualche giorno con i nonni paterni, i due maschi e la figlioletta della coppia sono ospiti di una struttura di accoglienza in provincia di Ancona, sostenuti dal Comune di Colli al Metauro, che paga le rette mensili. Nei mesi scorsi è però partita una raccolta fondi promossa dal centro anziani nel quale Ana Cristina Duarte faceva volontariato, per contribuire ad assicurare una vita dignitosa ai tre ragazzini che, come recentemente comunicato dalla presidente dell’Osservatorio nazionale indipendente sugli orfani di femminicidio, Stefania Bartoccetti, appartengono all’esercito dei circa 3500 minori italiani rimasti senza madre a seguito di omicidi di genere.