
Donne che sfruttano le donne, sono le caporali che gestiscono il giro delle braccianti agricole impiegate nei campi sino a dieci, quindi ore al giorno per pochi euro. In tre giorni la Procura di Brindisi ha firmato sette ordinanze di custodia cautelare in carcere ed ai domiciliari, di queste due sono a carico di uomini e cinque a carico di donne. Due inchieste (2015-2016) distinte e parallele, accomunate dalla stessa tipologia di reato: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato). A San Vito dei Normanni i carabinieri della locale compagnia, coordinati dal pm Valeria Farina Valaori, hanno arrestato: Annamaria Iaia , tradotta nel carcere di Lecce, sua madre Anna Errico, ristretta ai domiciliari e Giuseppe Di Bello, il conducente del pulmino che ogni giorno portava da San Vito dei Normanni a Polignano a Mare, 15 braccianti. Indagata anche l’amministratrice dell’azienda all’ingrosso di frutta ed ortaggi di Polignano dove i lavoratori venivano impiegati. “Se non vi sbrigate domani rimanete a casa; trovatevi un altro lavoro se ci riuscite” era la minaccia rivolta alle braccianti che ogni giorno venivano prelevate da San Vito dei Normanni e da Carovigno alle tre del mattino per poi fare rientro a casa alla mezzanotte. Sulla carta le ore di lavoro dichiarate erano circa sei, nei fatti le braccianti lavoravano oltre dieci ore, domenica e festivi inclusi, senza conoscere sosta. La paga contrattualizzata era di 131 euro al giorno ma nelle tasche delle braccianti finivano a malapena 40 euro dai quali stornare anche la 10 euro del trasporto. Il giro dello sfruttamento era gestito da Annamaria Iaia, che ogni mese consegnando la busta paga allegava un bigliettino con l’importo da restituire in nero per onorare il debito delle dieci euro al giorno. La minaccia della perdita del lavoro era il deterrente affinché nessuno si lamentasse e pretendesse più di quanto stabilito. “Se ci fermano con il pulmino, io sono un’operaia come voi” si raccomandava Annamaria Iaia con le donne, guai a parlare. Approfittando dell’estremo stato di bisogno delle braccianti, vedove con figli a carico, orfane con il muto e debiti pendenti con Equitalia, la caporale le teneva in pugno. Stessa storia per le donne di Villa Castelli che oltre ad essere minacciate erano state anche vittime di violenza fisica. Qui i carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana hanno arrestato Michelangelo Veccari, la compagna Valentina Filomeno, Grazia Ricci e Maria Rosa Potzu. Le braccianti, quindici, quelle individuate dagli investigatori, erano impiegate nei campi di ciliegie a Turi fino a 16 ore al giorno con una sola pausa di 10 minuti, durante la quale consumare il pasto ed utilizzare i servizi igienici di fortuna. Le intercettazioni svelano uno stato di profonda sudditanza da parte delle donne sfruttate. “Alle femmine p,,, e mazzate ci vogliono altrimenti non imparano…femmine, mule e capre tutte con la stessa testa” così Michelangelo Veccari in una intercettazione riportata nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a firma del giudice per le indagini preliminari Maurizio Saso. Veccari è l’unico uomo del gruppo, suo braccio destro la compagna Valentina Filomeno accusata anche di lesioni nei confronti di una delle donne che a loro dire pretendeva pagamenti non dovuti. La Filomeno, si legge nell’ordinanza, dapprima l’avrebbe minacciata: “zocc…, putt…, vedi che ti facciamo spezzare le gambe, stai attenta”. Poi con l’aiuto di Veccari la blocca e la prende a pugni. La donna ferita ricorre alle cure mediche, e da lì scatta l’inchiesta.