C’era Cerano: il litorale sud sta sparendo tra mare, vento e indifferenza

I litorale a sud di Brindisi, per intenderci quello che parte da Capo Bianco per giungere, costeggiando le fantastiche dune sabbiose delle Saline di Punta della Contessa, alle falesie di Cerano, per poi fondersi con le belle e ben tenute marine sabbiose di Campo di Mare e, ancora più a sud, di Torre San Gennaro, Lido Presepe, Lido Cipolla e Lendinuso, nonostante la enorme potenzialità di cui l’ha dotata Madre Natura, ebbe a pagar dazio negli anni Sessanta allo sviluppo industriale, che vincolò l’area a Zona Industriale con la costruzione del Petrolchimico e, un quarto di secolo dopo, complice il pretestuoso crescente fabbisogno energetico della Nazione, fece scegliere la parte più a sud del litorale allora ricadente sotto la competenza del Comune di Brindisi, appunto quello di Cerano, per consentire all’ENEL la costruzione della Centrale Termoelettrica Federico II, alimentata a carbone.

Ma non è finita: dieci anni addietro – e questa è la parte della storia meno conosciuta – un nuovo assalto alla diligenza aveva fatto si che anche tutta la costa intermedia fra la Zona Industriale di Brindisi e la Centrale di Cerano, compresa quella più naturalisticamente intatta, ricadente nel “Parco Naturale delle Saline di Punta della Contessa”, fosse sottratta al Comune di Brindisi e, di conseguenza, ai brindisini, per essere consegnata, con decreto n°178 del 16 ottobre 2008 a firma dell’allora Ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, all’Autorità Portuale, in quanto all’epoca si prospettava un potenziamento della Centrale a carbone e la creazione di un porto industriale a servizio della Centrale stessa e di altri traffici ad essa funzionalmente collegati ma separato, dal porto esterno già asservito alla Zona Industriale di Brindisi.

Vuoi il cambio di rotta deciso per le centrali a carbone, con la loro graduale dismissione – la data del 2025 è quella fissata per la chiusura di quella di Brindisi – vuoi una presa di coscienza della collettività riguardo l’abominio di una cementificazione della costa portarono nell’ottobre del 2012 l’Amministrazione Comunale di Brindisi, guidata all’epoca dal Sindaco Mimmo Consales, a richiedere la restituzione della porzione di litorale contraddistinta dalla presenza di siti di interesse comunitario, zone di protezione speciale e, soprattutto, dal Parco delle Saline di Punta della Contessa ed anche se, più che l’importanza ambientale e paesaggistica che tale area riveste, fu la considerazione che la fascia demaniale di cui veniva richiesta la restituzione non è suscettibile di utilizzazione dal punto di vista infrastrutturale portuale a convincere il Comitato Portuale ad esprimere pare favorevole ed il Ministero ad accogliere la richiesta del Comune di Brindisi. Con decreto del 15 maggio 2013 il nuovo Ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, banchiere e dirigente di azienda che, all’epoca, rivestiva anche l’incarico di Ministro per lo Sviluppo Economico, firmò il decreto che restituiva questo tratto di costa alla Città di Brindisi e, contemporaneamente lasciava che la zona costiera di Cerano, propriamente detta, restasse nella disponibilità e competenza dell’Autorità Portuale di Brindisi, vincolata alla possibilità futura di infrastrutturazione portuale a fini industriali.

Fin qui le carte ed i decreti, rinviando ad altra occasione le discussioni e gli approfondimenti sulla sorte dell’area occupata dalla Centrale a carbone se, davvero, nei prossimi anni dovesse essere dismessa. Ci rituffiamo nell’attualità e, come di consueto, ci affidiamo alla conoscenza diretta dei luoghi per poter documentare con le immagini, oltre che con le parole, l’effettivo stato dell’arte in questa parte della costa interessata dalla ingombrante presenza dell’Ecomostro e, da trent’anni a questa parte, completamente ignorata dalle Amministrazioni e dagli Enti preposti e figlia di un dio minore.
M sono imbattuto quasi per caso nel litorale di Cerano, che ho frequentato da ragazzo, negli anni settanta, ma che poi avevo abbandonato per “trasferirmi” sulle spiagge a nord del capoluogo, dal momento che avevo in animo di approfondire la conoscenza del Bosco di Tramazzone e Cerano, una area naturale protetta, istituita come Riserva Naturale Orientata Regionale di interesse comunitario che ricade tra i territori di Brindisi e San Pietro Vernotico e che rappresenta l’ultimo lembo residuo, di poco più di cento ettari, della enorme foresta che nei tempio antichi ricopriva gran parte della costa sud di Brindisi e che ha la ventura di essere situata proprio al confine sud con la Centrale di Cerano.

Ovviamente, visto l’evidente e, direi, pazzesco stato di degrado e di pericolosità in cui versa questa parte della costa, fino a pochissimi anni fa frequentata da centinaia di famiglie provenienti non solo dalla vicina frazione di Tuturano, ma anche da Brindisi, giunto nei pressi di Lido Cerano e, superata, con non poche difficoltà, una catasta di eternit ad altri materiali di risulta da demolizioni edili abbandonati in loco da qualche criminale, dopo aver constatato che le cabine della spiaggia più esterne erano addirittura parzialmente crollate in mare e che la forza della natura, unito al vandalismo dell’uomo, a distanza di appena una paio di un anni dalla chiusura al pubblico del Lido, aveva devastato completamente quello che restava di una spiaggia storica che per oltre mezzo secolo era stata il fiore all’occhiello della zona, mi sono introdotto, furtivamente, ma con ogni cautela, nel lido per documentare fotograficamente quanto da me osservato: oltre alle cabine franate in mare per il tempestare dei marosi, tutto il resto appariva devastato ma senza il clamore, anche mediatico e via social, che una situazione analoga, anzi addirittura da quel che si parava davanti ai miei occhi, di minore rilevanza, come quella della costa di Materdomini, posta sul litorale nord, aveva suscitato.

Non solo le cabine, un centinaio in tutto, ma anche il parcheggio, le docce e quello che un tempo era il bar della spiaggia con il suo terrazzo-affaccio sul mare, ed ogni cosa di un qualche, anche infimo, valore economico, dagli infissi alle luci, dal legno che rivestiva i banconi ai sanitari era stato divelto in maniera selvaggia, con gravissimi danni alle strutture, ed asportato e sullo sfondo la sinistra visuale della Centrale a Carbone a cui, nonostante tutto, per un quarto di secolo il Lido stesso era sopravvissuto, come anche, nella primavera del 2015, dopo uno spaventoso incendio, che aveva causato gravissimi danni, i gestori del Lido, Vito e Francesco Giannone, avevano rialzato la testa ed erano riusciti a riaprire la spiaggia in tempo per la stagione 2015.

Il canto del cigno, al termine di una stagione ricca di iniziative anche sportive e musicali, è avvenuto nell’estate estate del 2016 e tutta la tristezza, derivante dalla consapevolezza della impossibilità di riaprire lo stabilimento balneare nel 2017, traspare in un messaggio inviato, tramite la pagina Facebook, agli 831 (il fato vuole che sia proprio lo stesso numero contenuto nel prefisso telefonico di Brindisi e città limitrofe) membri della comunità virtuale che sostiene la pagina ed in cui si legge: “È arrivato il momento in cui possiamo dire che anche questa stagione estiva sia volata, lasciando ancora una volta tanti bei ricordi che ci porteremo dietro. Un grazie a tutti i nostri bagnanti, che ci rendono fieri, apprezzando tutti i nostri sforzi, valorizzando ciò che facciamo nonostante tutto. Un grazie anche a tutto il nostro staff e collaboratori che con il loro operato hanno reso lustro alla nostra meravigliosa spiaggia. Be cosa dire altro? Molti chiedono ma per l’anno prossimo? Noi siamo già a lavoro su più fronti, in primis la battaglia per la tutela della nostra spiaggia continua, facendo conoscere la nostra problematica e portando il problema su più tavoli senza nessuna intenzione di mollare, tanto prima o poi il muro lo buttiamo giù, e ciò che ci spetta ci deve essere dato senza alcuna pretesa. Poi tante sono già le idee i progetti e le collaborazioni che abbiamo in mente. Tante le migliorie da fare ma pur certi che il tempo ci permetterà di portare “La Spiaggia di tutti Noi” ad essere una delle spiagge più belle e animate della costa. Alcuni si chiedono perche “La Spiaggia di Tutti Noi”? Si perche Lido Cerano è la Spiaggia di Tutti dove i nostri nonni, genitori e noi siamo cresciuti e dove i nostri figli cresceranno, in un ambiente tranquillo, sereno e ricco di divertimento. Questo è il Nostro Grande Progetto.”

Progetto, ahimè, rimasto incompiuto dal momento che nonostante gli sforzi dei gestori, supportati dalla Federbalneari, l’associazione di categoria, e la mobilitazione di tanti cittadini, specialmente di Tuturano, per cui nel 2017 la famiglia Giannone, ha dovuto ammainare la bandiera del Lido, prendendo dolosamente atto che nulla era stato fatto negli anni, per evitare, scongiurare o, quanto meno, limitare i danni che l’erosione costiera stava causando anche in quella zona di litorale, dimenticato dalle Istituzioni e dagli Enti preposti, a differenza di quanto era avvenuto poco più a sud, a Campo di Mare, dove sono state realizzate opere a mare a difesa della costa che hanno garantito la sopravvivenza dei lidi sabbiosi.
Uscito dal lido e fatti alcuni passi radente al mare, sono rimasto sconvolto dalla visione di un enorme crollo che aveva interessato parte della, falesia, alta in quel luogo, alta una decina di metri, per cui erano franati in mare oltre che centinaia di metri cubi di argilla anche un paio di grossi alberi; tornato sullo stesso posto alcuni giorni dopo, con il mare in tempesta, ho potuto constatare che la forza delle onde aveva completato l’opera portando via quasi tutto il materiale crollato.
In questa seconda occasione, essendomi documentato su alcuni crolli che avevano interessato negli anni scorsi la zona poco più a nord del Lido, a confine con il lato sud della centrale, mi sono recato in quello che, ancora, la beffarda ed ormai anacronistica segnaletica stradale segnala come “Belvedere”, invitando, in questo modo, i viaggiatori a recarsi per un pic nic o per qualche foto o, le coppiette ad appartarsi laddove, in realtà, il vecchio belvedere non esiste più, crollato come è in mare, inghiottendo anche centinaia di metri quadri di asfalto, di quella che un tempo era una strada percorsa da auto e pullman. Da lì la terribile visuale di lastre di asfalto e, questa volta, migliaia di metri cubi di argilla venuta giù, insieme a grossi pezzi di cemento e calcestruzzo che, un tempo, contento le stesse opere stradali.

Quasi da ridere, se non ci fosse da piangere, la presenza, solo in questo punto, di alcuni cartelli, fatti posizionare dall’Ente Competente, cioè dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico meridionale, succeduta alla vecchia Autorità Portuale di Brindisi, che segnala un generico pericolo per smottamento falesia laddove, nei fatti, la falesia è già da tempo venuta giù e finita in mare, ma ciò che continua è la costante ed inarrestabile opera di erosione, con conseguenti crolli della strada e di tutto quanto è vicino al ciglio costiero, per cui non ci si può limitare alla emissione di una ordinanza interdittiva, come quella emanata nel luglio del 2015. Il Belvedere meriterebbe un piano di risanamento, ripristino e messa in sicurezza come il Comune di Brindisi, competente per i tratti di falesia del litorale nord, ha già realizzato con lavori ed investimenti mentre, sul lato sud, anche se nell’ordinanza dell’Autorità portuale si legge che la misura interdittiva dell’area fra la Centrale Enel ed il canale “Foggia di Rau” varrà fino alla messa in sicurezza della zona interessata, mentre ancora non vi è traccia concreta di tali ed effettivi lavori.

Ironia della sorte, lo scorso anno, proprio presso la sala convegni dell’Autorità di Brindisi, alla presenza del Presidente dell’Autorità di Sistema prof. Ugo Patroni Griffi, in occasione della Quinta Settimana del Pianeta Terra, l’Ordine dei Geologi della Puglia, tenne un seminario sula difesa del suolo applicata ai margini costieri e sulle relative tecniche di intervento e ci si chiese a che punto sono le opere di protezione delle falesie di Cerano per mitigare il rischio costiero causato dall’urbanizzazione – avrei preferito, forse da profano, il termine “industrializzazione” – del ciglio della falesia.
Scartabellando fra i provvedimenti presi dall’ente proprietario, successivamente al peggioramento delle condizioni della falesia, vi è solo traccia del recente investimento dal parte dell’Ente Portuale, nel giugno del 2018, della somma di 940,00 euro per la realizzazione ed il posizionamento di quattro cartelloni segnalanti pericolo: un po’ poco per un ente che incassa grazie alla Centrale Enel di Cerano centinaia di migliaia di euro per oneri concessori.

A differenza di quel che mi accade quando mi sono occupato di reportage naturalistici, questa volta, anziché il senso di pace e di speranza che la resilienza della natura nonostante l’opera devastatrice dell’uomo solitamente lascia in me, mi pervade un senso di angoscia misto ad impotenza – non alleviato nemmeno dal gruppetto di aironi taglia buoi che incontrati nei campi nei pressi della litoranea o dal grasso ed impertinente fagiano, che proprio a due passi dal belvedere ha attraversato la strada col passo veloce e barcollante di un podista ubriaco – lo stesso senso di angoscia ed impotenza che devono aver provato e stanno provando, da anni, tutti coloro che hanno chiesto ed implorato interventi a salvaguardia del litorale posto a sud di Brindisi, più lontano dalla città e, pertanto, più lontano dai riflettori o, come recita un antico adagio: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.