«Ci sono stati momenti in cui ti senti soffocare. Come avere la testa sott’acqua»

Lucia Portolano per il7 Magazine

Una settimana di febbre, poi la crisi respiratoria con il ricovero in ospedale. Cinque ore chiusa in ambulanza con un medico e un soccorritore in attesa di fare il triage e di essere sottoposta al tampone. Dopo sette giorni di attesa, ricoverata in Endocrinologia per sospetto Covid-19, arriva il risultato del test: positiva al Coronavirus. Il peggio è però ormai passato. Stefania Radeglia, 49 anni, operatrice socio sanitaria di Mesagne sta meglio. Dopo il risultato del tampone è stata trasferita in Medicina dove si trovano gli altri pazienti infetti. Ce ne sono tanti ormai, il reparto accoglie numerosi ricoverati. È il 25 marzo, ed è il suo compleanno. Per ora è chiusa in una camera di ospedale insieme ad altre due signore. “Da otto giorni che non vedo la mia famiglia – racconta Stefania – ma sono contenta perché mi sento meglio. Non vedo l’ora che finisca tutto affinchè possa riabbracciare i mie figli, mio marito e tutti coloro che mi vogliono bene”. Stefania Radeglia è un’oss della Terapia Intensiva dell’ospedale Moscati di Taranto. Dall’8 marzo non va a lavoro, da quando ha iniziato la febbre. Non è da escludere che abbia contratto il virus proprio in ospedale, al Moscati erano stati ricoverati i primi casi di Coronavirus in Puglia. Al Perrino divide la camera con altre due signore, una è attaccata al respiratore. “Questa notte non ho dormito – spiega – sono stata tutto il tempo a vegliare la mia vicina di letto. Lei non sta tanto bene. A volte mi verrebbe di scendere da questo letto e di dare un mano qui in reparto. È il mio lavoro e non vedo l’ora di tornare in corsia. Qui al Perrino la gente è straordinaria, i medici, gli infermieri, anche il personale delle pulizie. Nonostante la paura e i momenti difficili riescono sempre ad avere un sorriso per te, una frase che tranquillizza. E non è facile neanche per loro lavorare in queste condizioni. Ci sono stati attimi in cui sono stata davvero male. Anche stare in questo reparto con la gente che soffre è insopportabile, troppo doloroso. Era meglio quando ero in isolamento”.
L’operatrice sanitaria ha dovuto attendere sette giorni per conoscere l’esito del suo tampone, mentre a casa suo marito Mattia e suoi due figli, una bambina di 9 anni e suo figlio di 18 anni immunodepresso diabetico, erano in ansia.
“Giorni interminabili – racconta ancora la donna – dopo il quinto ho perso la pazienza, non capivo perché ci mettessero tanto per conoscere l’esito. Fortunatamente sono una persona tranquilla, e sempre con il sorriso. Cercavo di tranquillizzare anche la mia famiglia a casa. Ma è stata dura. Non è colpa di chi ti cura, ma è il sistema che è sbagliato. Non capisco perché ci abbiano messo tanto, a Taranto francamente non p così”. Stefania è arrivata in ospedale con una forte crisi respiratoria, ancora oggi fa terapia con l’ossigeno, ma ormai riesce a respirare bene, solo ogni tanto mentre parla fa qualche colpetto di tosse. Nella sua voce si sente tanta forza, e quella voglia di tornare alla vita di sempre anche se dovrà aspettare ancora un po’. Tra qualche giorno, quando sarà attivato l’ex ospedale di Mesagne con i posti letto post acuzie, sarà trasferita lì in attesa che il virus venga totalmente negativizzato. La struttura non è ancora pronta per ospitare questi pazienti, gli operatori sanitari non hanno tutti i dispositivi di protezione individuale. “Ci sono stati momenti in cui ho pensato di morire – dice – mi mancava il respiro, era come essere sott’acqua mentre qualcuno ti spinge la testa per non farti risalire. È esattamente la sensazione che ho provato. Ancora oggi non mi sento tranquilla, come si fa ad esserlo, basta guardarsi intorno in questa stanza. Ci sono stati instanti in cui mi sono chiesta dove mi trovassi. Una esperienza del genere la devi prima assorbire e poi smaltire. Anche se spero di tornare presto a lavoro per aiutare i miei colleghi in questa lotta. In tantissimi mi sono stati vicini. Ho ricevuto centinaia di telefonate, che mi hanno supportato e fatto sentire tanto affetto”. Stefania Radeglia è impegnata anche nel sociale, è la vice presidente dell’associazione Fand ( per diabetici) fondata dall’endocrinologo Antonio Caretto. Vuole rimettersi in pista al più presto e vuole rivedere i suoi figli, anche se dovrà attendere ancora dei giorni. “Fortunatamente loro al momento non hanno sintomi – aggiunge – siamo stati molto attenti a casa durante i miei giorni di febbre. Io ero in isolamento nella mia stanza. La mia bambina mi ha solo abbracciato di dietro una volta. E in un’altra circostanza ha messo in guanti mentre io avevo i miei, e a distanza con i corpi, ci siamo strette le mani. Avevo bisogno di toccarmi. Ora sono io che ho tanto bisogno di loro. Un giorno tutto questo sarà finito”.