
di GIANMARCO DI NAPOLI
Non è un caso. Non è un semplice caso che il suo nome resterà per sempre indicato con il numero uno nell’albo dei cittadini onorari del Comune di Mesagne: il primo nel storia della città, con una delibera firmata dal sindaco Cosimo Faggiano il 19 maggio 1995, giusto trent’anni fa. Gerardo Acquaviva all’epoca era a dirigente del Commissariato di Mesagne, anche qui con un primato: fu il giovane funzionario di polizia spedito dal ministero ad aprire, proprio tecnicamente aprire, il commissariato di Mesagne in quella che all’epoca era la capitale della Sacra corona unita. Lui e uno straordinario gruppetto di ispettori e agenti che misero le basi di quel cambiamento virtuoso che ha consentito a Mesagne di diventare oggi famosa per tutt’altre qualità.
A San Pietro Vernotico sta per essere istituito un commissariato di pubblica sicurezza: il terzo in provincia di Brindisi, dopo appunto quello di Mesagne – creato nel 1992, in piena guerra di mafia, e quello di Ostuni, istituito alla fine di un’altra guerra, quella mondiale, addirittura nel 1947.
Gerardo Acquaviva è da qualche anno in pensione dopo una eccellente carriera conclusa prima come questore di Sondrio e poi di Pavia: chi scrive però lo ricorda ancora, come se fosse ieri, a mettere su dal nulla quel Commissariato. Così che sembra essere davvero la persona più adatta per spiegare cosa significhi far sorgere un appendice della questura come avamposto contro la criminalità organizzata in un comune di provincia. Perché anche se San Pietro e questa zona del Salento non sono neanche lontanamente paragonabili alla Mesagne di inizio anni Novanta, l’humus mafioso che covava sotto le ceneri sta lentamente riprendendo forma. E bisogna stroncarlo.
Questore Acquaviva, che valore ha l’apertura di un nuovo commissariato di polizia?
“Direi che il valore è duplice: da un lato rispecchia l’esigenza dei cittadini, quelli onesti (che sono sempre la stragrande maggioranza), di ottenere maggiore sicurezza rispetto ad eventi criminali che si svolgono nelle loro strade. Dall’altro c’è l’accoglimento di questa aspettativa prima di tutto da parte delle autorità locali, quindi questore e prefetto, poi dal ministro dell’Interno. Dunque si tratta di una vittoria di tutti”.
Con quale criterio verrà scelto il funzionario di polizia che sarà inviato a dirigere il Commissariato di San Pietro Vernotico?
“Sicuramente alla notizia della sua istituzione molti giovani commissari avranno presentato domanda per ottenere quell’incarico: alcuni per l’ambizione di mettersi in gioco in un’avventura straordinaria che comincia da zero, altri magari per avere anche un avvicinamento a casa. Il ministero e il capo della Polizia valuteranno e decideranno. Potrebbero scegliere anche pescando fuori dalle autocandidature”.
E lei come fu scelto?
“Io in quegli anni ero a Milano, una città stimolante e con un incarico molto impegnativo: ero a capo di una sezione della Digos, quella che si occupava del terrorismo di destra, ma, avendo anche un’abilitazione alla protezione delle persone a rischio, dirigevo la sezione delle scorte. Mi è capitato di seguire Falcone, Craxi, il cancelliere tedesco Koll e molti altri”.
E cosa successe?
“Mi arriva una nota del ministero dell’Interno che mi comunica di essere stato destinato alla dirigenza dell’istituendo Commissariato di Mesagne. Io sono originario di Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, quindi pugliese a tutti gli effetti. Ma confesso che di Mesagne conoscevo a stento l’esistenza”.
Eppure accetta. Lascia la Digos di Milano, che all’epoca per altro era guidata da Achille Serra, super poliziotto e poi super prefetto, per andare materialmente ad aprire il Commissariato di un paesino sperduto del sud. Per altro assediato dalla Sacra corona che in quel periodo era nel punto più alto della sua sanguinaria e breve ascesa.
“Ricordo che sull’edificio non c’era neanche un’insegna. Le apparecchiature della sala operativa le andammo a prendere usate con un furgoncino dalla questura di Matera dove l’avevano dismessa. I mobili ci furono spediti nuovi dal ministero: arrivò il camion e ce li scaricarono nel cortile. Scesi a inseguirli chiedendo come mai non li montassero e mi dissero che il loro compito era solo quello di trasportarli. Era brutto tempo, stava per piovere, non potevamo aspettare che qualcuno venisse a montarceli, così decidemmo di portarli su noi. E con cacciaviti e altri attrezzi ci arredammo le stanze: iniziammo con il mio ufficio. Ricordo che c’era una poltrona di pelle bellissima: all’inizio pensai, ma cosa ne devo fare io qua di una poltrona. E invece sa quante notti ci ho passato a dormire lì sopra, quando io e tutta la squadra restavamo in ufficio?”.
Che importanza ha avuto la sua squadra?
“Un’importanza totale. Se abbiamo ottenuto risultati straordinari, se la mia carriera ha avuto un importante impulso, è stato proprio grazie a quegli uomini che ho avuto la fortuna di guidare. Non esistevano orologi né turni di festa. Ispettori dal grande fiuto investigativo, agenti che sulle volanti non uscivano solo per fare un giretto ma davvero facevano sentire la loro presenza. E poi un ruolo fondamentale in quegli anni per me personalmente lo ebbe Pietro Antonacci, che era a capo della Squadra mobile. Lui è mesagnese e il pomeriggio quando terminava il lavoro nella questura a Brindisi veniva in Commissariato e metteva a nostra disposizione le sue capacità e la sua esperienza. Ho imparato tantissimo da lui e gli sono davvero grato per quegli insegnamenti”.
Il team fu costituito subito?
“No, iniziammo con tre agenti inviati da Roma, poi qualche ispettore. Eravamo davvero in pochi. La svolta arrivò circa un mese dopo l’apertura del Commissariato, quando venne trovato in campagna, alla periferia di Mesagne, un vigilante: crivellato di colpi e poi bruciato nel cofano della sua auto. In quel momento dal ministero capirono che la battaglia sarebbe stata durissima e che servivano uomini e mezzi adeguati. E così avvenne”.
Quale fu la reazione della città all’apertura del Commissariato?
“Fu quasi pari al nostro entusiasmo. Attorno a noi si strinsero tutti: il sindaco Faggiano, le autorità locali. Ma si creò una grande collaborazione anche con le altre forze di polizia. I carabinieri ci accolsero con grande disponibilità. Comprendemmo tutti che dovevamo costruire un fronte comune. Quando facemmo i primi fermi, convalidati dall’allora sostituto procuratore Michele Emiliano, ricordo che quando le volanti della polizia sfilarono davanti alla villa gli anziani si tolsero il cappello”.
Pensa che un Commissariato di polizia possa avere un impatto importante anche su una realtà come quella di San Pietro Vernotico?
“Sicuramente sì. Un presidio delle forze dell’ordine, soprattutto strutturato come può essere un commissariato di pubblica sicurezza che è una questura in miniatura, può restituire energie e vitalità inespresse. E ridare vigore all’economia del paese perché se i commercianti sono strozzati dal pizzo o dal timore comunque di subire vessazioni dalle organizzazioni criminali scappano via o non investono”.
Che consiglio si sentirebbe di dare al dirigente che guiderà il nuovo Commissariato?
“Di stare in mezzo alla gente, di osservarla, di ascoltarla. Il Commissariato deve diventare un punto di riferimento per tutte le attività che hanno uno sviluppo sociale. Il cittadino deve avere la sensazione che venendo in quegli uffici qualsiasi tipo di problema possa essere risolto. La nostra regola era: dal Commissariato non si manda via nessuno. E la gente deve averne consapevolezza e deve imparare a riporre la propria fiducia nella polizia. E i cittadini questo impegno lo apprezzano: pensi che nei primi mesi che ero a Mesagne un giorno vennero in commissariato alcuni commercianti. Avevano fatto una colletta per regalarmi un telefonino cellulare: mi misero sul tavolo un milione e mezzo di lire. All’epoca i cellulari costavano tantissimo. Quel gesto mi commosse, li ringraziai, ma ovviamente non accettai il denaro. Il giorno successivo andai al negozio e ne comprai uno a rate”.
Lei poi ha fatto tanto altro: ha diretto la divisione anticrimine di Venezia, è stato vicequestore a Cremona e poi questore a Sondrio e a Pavia. Cosa le è rimasto di quella esperienza a capo del Commissariato di Mesagne?
“E’ stata quella più emozionante, l’incarico che ha cambiato completamente la mia vita e che ha inciso nella mia formazione professionale più di ogni altro. Fare il questore è un’occasione straordinaria, è il riconoscimento di un percorso professionale importante. Ma nulla è stato più coinvolgente di quel Commissariato aperto in punta di piedi con tanti timori e tanta passione”.
Quindi condivide la scelta di istituirne uno a San Pietro Vernotico?
“Non solo la condivido, ma se fosse possibile ci andrei io. Sì, mi piacerebbe tornare indietro e ricominciare. Proprio dall’apertura di un nuovo Commissariato di polizia, in un comune della provincia di Brindisi.