Editoriale di GIANMARCO DI NAPOLI
Se, come sembra, non ci sono i presupposti per un’ispezione ministeriale al Comune di Brindisi per verificare la possibilità di infiltrazioni mafiose, dopo la scoperta che la Festa patronale del Casale è stata più volte organizzata da un pregiudicato, è solo grazie alla buona stella del sindaco Riccardo Rossi e della sua maggioranza. Il malavitoso che attraverso la sua associazione culturale (sembra un ossimoro) “Colonne Romane” otteneva ogni anno l’autorizzazione a organizzare le bancarelle della festa, Gennaro Di Lauro, ha «soltanto» piccoli precedenti per spaccio di droga e per lancio di oggetti sul terreno di gioco. Almeno tale era la sua posizione davanti alla giustizia prima che venisse arrestato qualche settimana fa dalla Dda di Lecce insieme a un altro pregiudicato, quello sì con collegamenti “ufficiali” alla Sacra corona unita (Mino Carrisi).
Il sistema con cui il Comune di Brindisi autorizza l’organizzazione di manifestazioni (al di fuori della Festa patronale della città che è gestita da un suo comitato) è privo di qualsiasi forma di controllo sul richiedente. E’ sufficiente presentare istanza allo Sportello unico Attività produttive e se non ci sono altre candidature a quella stessa manifestazione l’autorizzazione viene concessa. Così per anni, emerge dall’indagine condotta dalla Squadra mobile, Di Lauro era stato l’unico a richiedere di organizzare la fiera del Casale, perché nessun altro osava farlo ben sapendo che “era cosa sua”. E di ottenerne la gestione.
La fortuna dell’attuale amministrazione è che Di Lauro, fino all’arresto, non risultava avere precedenti per mafia. Perché se li avesse avuti, con questo sistema di autorizzazione privo di qualsiasi forma di verifica, non se ne sarebbe accorto nessuno. E in quel caso sì che il rischio di scioglimento del Consiglio comunale sarebbe stato molto più concreto. E meritato.
Nell’immediato, per evitare altre situazioni analoghe, sarà necessario approvare un regolamento per l’organizzazione di fiere, feste e mercatini. Ma probabilmente sono altre, e molto più nascoste, le crepe nelle quali si insinua la criminalità riuscendo ad avere accesso ad affari ben più lucrosi della manciata di euro ricavata dalla gestione delle bancarelle nella festa. Ed è sull’individuazione di queste possibili crepe e su un sistema di controllo pignolo, preciso e scrupoloso su privati, società e associazioni che hanno a che fare con l’ente pubblico che si devono concentrare sempre più le amministrazioni comunali. Perché lo scioglimento per infiltrazione mafiosa non è quasi mai determinato da effettivi collegamenti tra i sindaci e criminalità ma piuttosto dalla permeabilità di un sistema che consente alla malavita di infiltrarsi facilmente. Spesso per una superficialità o un’assenza totale di controlli.
Riteniamo le dichiarazioni rese qualche giorno fa dall’ex sindaco di Carovigno, Massimo Lanzilotti, che auspicava una verifica da parte della prefettura su possibili infiltrazioni mafiose nel Comune di Brindisi, totalmente inopportuna. Lanzilotti può legittimamente criticare (avendone titolo) la decisione del ministero dell’Interno di sciogliere la sua Amministrazione e anche quella di aver prorogato di altri sei mesi il commissariamento du Carovigno. Ma non ha alcun ruolo che giustifichi la sua richiesta di accertamenti su un altro Comune, con il quale non ha nulla a che vedere. Per altro un’uscita eticamente scorretta.
Lanzilotti invece, visto che ha ufficializzato la sua decisione di ricandidarsi a sindaco di Carovigno, farebbe bene a leggere le motivazioni per cui il ministro dell’Interno (con la sollecitazione della prefetta, del procuratore di Brindisi e di quello antimafia di Lecce) ha chiesto e ottenuto dal presidente della Repubblica che il commissariamento di Carovigno durasse il massimo del tempo consentito: “L’attività della commissione straordinaria è stata improntata alla totale discontinuità rispetto al passato, al fine di dare inequivocabili segnali della forte presenza dello Stato e interrompere le diverse forme di condizionamento riscontrate nella vita amministrativa del Comune, con il prioritario obiettivo di ripristinare il rapporto fiduciario tra la collettività locale e le istituzioni”.
In questi mesi i commissari straordinari di Carovigno sono intervenuti con apposite direttive sugli uffici comunali “circa la corretta applicazione della normativa antimafia, disposizioni che nella passata gestione erano state sistematicamente disapplicate”, scrive il ministro. E ancora è stato elaborato un protocollo in materia di permessi a costruire che prevede l’estensione delle cautele previste nella normativa antimafia alle attività edilizie e urbanistiche. Inoltre sono stati aggiornati i regolamenti comunali, molti dei quali non più adeguati al mutato assetto normativo o addirittura mancanti, in particolare nelle materie potenzialmente più esposte a condizionamenti o favoritismi.
Tutto questo potrà garantire una gestione amministrativa ordinata e conforme ai principi di efficienza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
Ma possibile che per arrivare al rispetto delle regole sia necessario attendere lo scioglimento dei consigli comunali, con la macchia dell’infiltrazione mafiosa? O invece gli amministratori eletti dai cittadini dovrebbero assumersi l’onere di prestare la massima attenzione a tutto ciò che ha che fare con il denaro pubblico, prevendo ciò che la malavita può fare per cercare di appropriarsene?
L’assoluzione del sindaco di Carovigno dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, nel processo nato parallelamente allo scioglimento del Consiglio, e il fatto che l’ex sindaco di Ostuni (altro comune sciolto per mafia), Guglielmo Cavallo non abbia ricevuto neanche un avviso di garanzia confermano che spesso la criminalità riesce a insinuarsi senza che dal Palazzo ne abbiano consapevolezza (salvo probabili contiguità negli uffici). Ma la legge non contempla l’ignoranza, che in questo caso è anche un’aggravante.
Emblematiche furono in questo senso le parole di Cavallo all’indomani dello scioglimento del Consiglio comunale di Ostuni: il sindaco ammise una certa leggerezza nei controlli e assicurò che dal momento in cui erano emerse presunte irregolarità sulla questione dei parcheggi a mare (gestiti dalla malavita) i suoi uffici avevano verificato ogni bando successivo. Ma troppo tardi: il Consiglio venne sciolto.
Ecco. Le vicende di Carovigno e Ostuni, le cui comunità sono state loro malgrado macchiate in maniera grave per anni dall’onta dello scioglimento per mafia, e quella di Brindisi – che probabilmente riuscirà a cavarsela nonostante le evidenti leggerezze commesse – devono servire da insegnamento a chi si assume l’onere di guidare i Comuni: una normativa più precisa nei regolamenti e una task force in grado di controllare con attenzione ogni singolo atto valgono molto di più qualsiasi progetto finanziato. Chi governa una città ha il dovere di tutelarne prima di tutto l’immagine e troppi amministratori ancoa non hanno imparato la lezione.