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«Continuerò a raccontare la storia di coraggio e libertà di mia figlia Marcella Di Levrano»

Di Marina Poci per il numero 422 de Il7 Magazine
Nel programma del “Concerto per la Legalità in memoria di Marcella Di Levrano”, organizzato il 2 ottobre a Torino dall’associazione Orme in collaborazione con Libera contro le Mafie, c’erano brani classici e sinfonici di Shostakovich, Beethoven, Mascagni… e addirittura uno composto appositamente per lei dal maestro Fortunato D’Ascola, intitolato “Il diario” e ispirato alle pagine alle quali la 26enne mesagnese trucidata dalla SCU affidava le sue riflessioni più intime e i suoi desideri più profondi: è stato, quel concerto che ha aperto le “Giornate della Legalità” nella città sabauda, soltanto una delle ultime iniziative sorte in tutta Italia nel ricordo della giovane a cui, appena tre anni fa, grazie alla ostinazione della famiglia e all’intervento degli avvocati Vincenza Rando, senatrice e già vice presidente nazionale di Libera, e Fernando Orsini, è stato riconosciuto lo status di vittima innocente di mafia.
Della serata del 2 ottobre e di quanto la storia della mesagnese sia nota, diffusa e ricordata nei più svariati contesti su tutto il territorio nazionale, ci parla sua madre, che raggiungiamo telefonicamente a pochi giorni dall’evento torinese e mentre già si prepara a vivere un altro importante appuntamento: voce dolce, timbro pacato, tono colloquiale eppure mai dimesso, la signora Marisa Fiorani, quando racconta della sua Marcella, si fa ascoltare senza alcuna fatica.
C’è, in questa donna precocemente e brutalmente privata della figlia, una genuina forma di resistenza all’orrore che, nonostante non sia più giovanissima, la porta a testimoniare in giro per l’Italia, con infaticabile impegno, l’esempio di generosità, coraggio e libertà della sua ragazza, uccisa tra la fine di marzo e il 5 aprile del 1990 a causa della sua informale collaborazione con la Squadra Mobile di Lecce, del cui dirigente, Romolo Napoletano, era stata confidente a partire dal 24 giugno 1987.
Marcella, determinata a cambiare vita per assicurare un futuro di benessere e tranquillità alla figlia Sara, fu lapidata a morte perché aveva fornito informazioni sul traffico di sostanze stupefacenti, divenuto uno degli affari più ghiotti della Sacra Corona Unita, e sui vertici dell’associazione, a cui, senza mai appartenervi, era stata contigua per via di alcune frequentazioni iniziate quando aveva bisogno di procurarsi la quotidiana dose di eroina.
“In Piemonte la storia di Marcella è conosciuta da diversi anni e sono moltissime le realtà che lavorano per rinnovare e diffondere il suo ricordo. Pensi che, a San Giusto Canavese, una villa confiscata al narcotrafficante Nicola Assisi, appartenente alla ‘Ndrangheta, si chiama adesso “Villa Marcella Di Levrano” ed è diventata un luogo di rinascita e un presidio di legalità. A Rivoli c’è un giardino intitolato a mia figlia: pensare che un posto in cui i ragazzini si incontrano e passano del tempo insieme porta il nome di Marcella è qualcosa che ogni volta mi emoziona e mi commuove. Di questo non smetterò mai di ringraziare Libera e don Luigi Ciotti, che lavorano in stretta collaborazione con le istituzioni, gli enti locali, le scuole e tutte le altre associazioni antimafia: senza le loro iniziative, le vittime innocenti di mafie non potrebbero essere così conosciute. Anche i ragazzi di Orme li ho conosciuti tramite Libera: ad ottobre dello scorso anno abbiamo tenuto insieme un incontro con i detenuti nel carcere Le Vallette e da allora siamo rimasti in contatto. Abbiamo trovato una formula che funziona bene, intervallando la mia testimonianza a brani musicali suonati dal vivo, e abbiamo voluto ripetere l’esperimento anche quest’anno”, spiega Marisa Fiorani, ricordando con affetto che a Marcella piaceva Renato Zero (“era una “sorcina”, il suo diario, che conservo gelosamente, è ricco di foto e di frasi tratte dalle sue canzoni”), ma che certamente avrebbe apprezzato anche i brani che i maestri Giulia Pecora e Marta Voghera (violini), Gabriele Totaro (viola), Lucia Mameli (violoncello) e Fortunato D’Ascola (contrabbasso) hanno eseguito nella serata del 2 ottobre.
Raccontare Marcella è diventato, per Marisa, parte della routine quotidiana: cerca di essere presente, compatibilmente con gli impegni familiari, a tutte le intitolazioni di presidii e di beni confiscati, non si sottrae alle richieste di testimonianze, specie se riguardano gli istituti scolastici, partecipa a tutti gli eventi in cui è possibile fare esercizio di memoria collettiva. Marisa c’è sempre, perché il tentativo di Marcella di emanciparsi dai suoi errori sia di esempio a coloro che potrebbero vivere il suo stesso dramma e a quanti sono tenuti a preservare l’incolumità di chi trova il coraggio di cambiare vita.
“Andare nelle scuole è ogni volta una sfida: i ragazzi mi chiedono di tutto, vogliono sapere come stia mia nipote, come mai Marcella non sia stata protetta, che tipo di ragazza fosse. Addirittura, in più di qualche caso, mi è stato chiesto se anche io abbia fatto uso di sostanze stupefacenti. La prima volta sono rimasta imbarazzata, poi con calma ho spiegato che mia figlia ha conosciuto l’eroina fuori da casa, durante gli anni in cui frequentava la scuola superiore, e che ha avuto difficoltà a uscire dalla dipendenza. Ma quando ha scelto di farlo, non è tornata indietro, malgrado fosse spaventata dalle conseguenze che allontanarsi da quel mondo poteva comportare. Era fiduciosa che si sarebbe salvata e che le istituzioni l’avrebbero accolta. Purtroppo non è stato così. Ecco perché l’intitolazione a lei del consultorio familiare di Mesagne è così significativa: viene riconosciuto che in quel posto si può ricevere aiuto nel nome di una ragazza che, invece, non è stata sostenuta abbastanza quando ne avrebbe avuto bisogno”.
“Una drogata in meno”, si disse a Mesagne quando il suo corpo martoriato, con il viso sfigurato dalla violenza di chi voleva silenziarne la voce, fu ritrovato dai Carabinieri all’interno del bosco dei Lucci. “Una vittima innocente di mafia”, precisa la madre, “che non è stata protetta adeguatamente”.
Una mancata protezione della quale l’allora sostituto procuratore della Repubblica di Lecce Francesco Mandoi, che periodicamente riceveva dal dirigente della Mobile le informative basate sulle dichiarazioni di Marcella, non ha taciuto nel suo libro “Né eroe né guerriero – Memorie e sfide di un magistrato”: Mandoi, che già da PM a Brindisi aveva conosciuto Di Levrano, trovata in possesso di sostanze stupefacenti nel corso di un controllo di routine, parla di “una donna che aveva il desiderio di allontanarsi dall’ambiente nel quale si trovava a causa della sua dipendenza, provandone un reale disgusto” e di una collaborazione con gli uffici della Questura di Lecce iniziata “fidandosi di chi l’avrebbe potuta ascoltare e con la speranza di dare una svolta alla sua vita disperata”. Purtroppo, per timore di ritorsioni, Marcella non acconsentì mai a formalizzare le sue dichiarazioni, registrate a sua insaputa e rivelatesi preziosissime per i magistrati in procinto di istruire il primo maxi processo alla SCU e gli altri che seguirono. Come ammesso da Mandoi, e anche dal sostituto procuratore Alberto Santacatterina nella richiesta di archiviazione della seconda indagine per l’omicidio della giovane, la mesagnese pagò con la vita la paura dei capi della Sacra Corona Unita che testimoniasse in tribunale.
A quel tempo non esisteva una normativa organica che consentisse a forze dell’ordine e magistratura di orientarsi nel mare magnum dei collaboratori di giustizia e dei testimoni di giustizia. Il dottor Mandoi scrive che i pubblici ministeri, consapevoli che le informazioni di Marcella rappresentavano una carta importante, volevano essere sicuri di usarle al momento giusto e con le garanzie della massima efficacia del processo: “L’intenzione era quella di assicurare l’incolumità della testimone e soprattutto di sua figlia, alla quale Marcella teneva moltissimo. Non ci siamo riusciti e questo costituisce ancora oggi un grande rammarico”, si legge testualmente nel suo libro.
Proprio con il procuratore Mandoi, al quale è grata per l’onestà intellettuale e la delicatezza con cui ha parlato di sua figlia, Marisa Fiorani trascorrerà l’intera giornata del 23 ottobre prossimo a Legnano, la mattina in una scuola privata, l’istituto comprensivo Barbara Melzi, in cui due anni fa è nato un presidio intitolato a Marcella, e la sera in un incontro pubblico con Libera e altre associazioni impegnate sul territorio: “Qualche giorno prima, però, incontrerò gli scout in un altro paese dell’hinterland milanese e anche novembre sarà un mese molto impegnativo, con eventi e testimonianze soprattutto al Nord. Vede, io non sono acculturata, mi esprimo con parole semplici e non ho mi interessa far bella figura quando parlo, ma porto cucita sulla pelle la storia di riscatto di mia figlia. E posso assicurare a tutti che, sinché ne avrò la forza, continuerò a raccontarla a chiunque la voglia ascoltare”.