
Nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Massimo Calò, il detenuto leccese di 53 anni deceduto all’ospedale Vito Fazzi lo scorso 4 febbraio, è emersa in alcuni post sui social (poi rimossi) l’ipotesi che l’emorragia cerebrale (che secondo il medico legale Alberto Tortorella ha determinato la morte dell’uomo) non sia stata causata da una caduta dal letto della cella, ma sia la conseguenza di un’aggressione ad opera di altri detenuti nel corso della quale Calò sarebbe stato colpito con una caffettiera.
La versione della caduta era stata raccontata dallo stesso detenuto ai sanitari del penitenziario e poi riferita dai famigliari nella denuncia che ha dato avvio al procedimento penale. Non si può escludere, tuttavia, che l’uomo sia stato costretto a fornire tale versione dalle stesse persone coinvolte nel pestaggio.
Massimo Calò, che stava scontando gli ultimi mesi di una condanna a quattro anni di reclusione per una rapina compiuta nel 2021, secondo la ricostruzione della famiglia è morto a seguito di un ematoma alla testa (poi sfociato in emorragia) per il quale i sanitari del penitenziario non disposero accertamenti esterni al carcere, sottovalutandone la potenzialità lesiva. La sua situazione si aggravò nelle ore successive all’accaduto, sino al malore accusato due giorni dopo l’episodio, a seguito del quale Calò perse i sensi e fu trasportato d’urgenza presso il Fazzi, dove gli fu diagnosticata l’emorragia che qualche settimana dopo lo condusse alla morte.
Le indagini proseguono per ricostruire con esattezza le circostanze dell’episodio ed è possibile che nei prossimi giorni, se saranno identificati i detenuti coinvolti nella presunta aggressione, siano notificate ulteriori informazioni di garanzia.
Marina Poci
(foto da La Repubblica)