Dopo quattro mesi Carmelo sta sempre peggio, ma l’ascensore è ancora rotto

Di Gianmarco di Napoli per il numero 373 de Il7 Magazine
Poche volte in questo singolare mestiere, quello del giornalista, si resta impigliati nelle storie che si raccontano. Quasi sempre tutto scivola via quando si è pigiato sulla tastiera l’ultimo punto e basta, il pezzo parte per la pagina del giornale, per quella di un sito web o è pronto per essere speakerato in un servizio tv. A quel punto la storia viene archiviata nella memoria ram del cronista, diventa parte del suo bagaglio di esperienze, di ricordi che a volte si riaccendono.
Ho sempre avuto una regola quando scrivo un pezzo di cronaca su un episodio triste, drammatico, doloroso: assorbire tutte le emozioni sul posto, rielaborarle mentalmente mentre ritorno in redazione e farle esplodere solo al momento della scrittura, in tutta la loro forza. E’ come la valvola della pentola a pressione: la sollevi solo al momento opportuno. E alla fine, quando hai scritto, ti senti del tutto svuotato.
L’altra regola è quella di voltare subito pagina perché se ti occupi di cronaca e ti trovi spesso a raccontare eventi tragici o comunque non felici, ad avere a che fare frequentemente con la parte peggiore della nostra società, è fondamentale fare un reset quotidiano e metterti alle spalle ciò che hai visto, rielaborato e raccontato perché altrimenti ne resti prigioniero.
Insomma, un giornalista di regola non deve legarsi alle storie che racconta e ai loro protagonisti, in modo da essere lucido per affrontare quelle successive.
A volte però in una storia ci si resta impigliati. Non so spiegare esattamente perché succeda, ma avviene: forse dipende dalle persone che incontri, forse dal contesto in cui i fatti avvengono. Oppure perché ci si trova davanti a vicende che ci fanno davvero incazzare e sentire allo stesso tempo impotenti.
Una di queste è la storia di Carmelo Gorini. Abita con la moglie nelle palazzine popolari di proprietà del comune di via Benedetto Croce, al rione Paradiso. Qui e nella attigua piazza Pertini sono stati trasferite buona parte delle famiglie che vivevano nelle baracche di Parco Bove. Le nuove palazzine sono state costruite talmente male da far rimpiangere da subito quelle catapecchie che hanno ospitato tre generazioni del quartiere. Umido, impianti che non funzionano, calcinacci che cadono dai soffitti. La gente qui è talmente rassegnata che non ha più neanche la voglia di protestare. Si arrangiano come possono, spesso rimediano con le loro risorse a ciò che dovrebbe essere garantito dal contratto di locazione.
Carmelo Gorini, malato di cancro allo stadio avanzato, sottoposto a chemioterapia e attualmente sotto morfina per lenire i dolori lancinanti della malattia, abita al secondo piano di una di queste palazzine. A luglio l’ascensore si è rotto, non in maniera “consueta”. La parte sottostante si è allagata completamente, vai a capire per quale perdita, e la cabina si è bloccata. Questo costringe Gorini (e anche le famiglie ai piani superiori dove abitano anziani e disabili) a salire a piedi per le scale. Carmelo all’inizio lo faceva con fatica, poi l’evolversi della malattia gli ha reso impossibile utilizzarle. Lo abbiamo incontrato più volte in questi mesi: ci siamo tornati mercoledì e lo abbiamo trovato sul divano, con il volto e i piedi gonfi per i farmaci e la sofferenza. Sono quattro mesi che non ha la possibilità di scendere per strada, fare due passi, farsi accompagnare a guardare il mare. Quando deve fare la chemioterapia lo mettono sulla sedia e lo portano giù per le scale.
In questi quattro mesi il Comune non è stato in grado di rimettere in funzione quell’ascensore. Carmelo, mi ha raccontato la moglie, un paio di volte era così disperato che lo ha ripreso sul balcone, determinato forse a farla finita. E’in depressione, lo segue una psicologa. Ed è comprensibile.
Ecco, io non prenderò pace fino a quando questa storia non verrà risolta. E mi chiedo con qualche coscienza chi è nelle condizioni di risolvere il problema in pochi giorni ne ha lasciati passare 120 senza intervenire. Ripenso a Carmelo, un paio di mesi fa, in piedi e incazzato. L’ho ritrovato sul divano, disteso, con la morfina e sotto la finestra che si affaccia sulle panchine di piazza Pertini, così vicine e per lui irraggiungibili. La porta del suo appartamento è sempre aperta, sul pianerottolo ci sono tre sedie che sono diventate la meta delle sue passeggiate più lunghe. Dieci metri più in là l’ascensore con la scritta fuori servizio. E no, questa volta non si può proprio voltare pagina.
Senza Colonne è su Whatsapp. E’ sufficiente cliccare qui  per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati
Ed è anche su Telegram: per iscriverti al nostro canale clicca qui</a